La scomparsa della regina Elisabetta II all’età di 96 anni segna “la fine di un’era”. Divenuta un’icona della cultura pop anche grazie alla propria longevità – tanto che secondo il Washington Post, 9 persone 10 che attualmente vivono nel mondo sono nate dopo la sua incoronazione – nei giorni della sua commemorazione non dobbiamo però dimenticare che, pur avendo incarnato un impegno profondo e sincero nei confronti dei suoi doveri, la sua figura ha rappresentato negli anni a cavallo tra le epoche, emblema della monarchia e dell’impero colonialista britannico.
Divenuta regina del Regno Unito a 25 anni, il 6 febbraio del 1952, quando nel secondo dopoguerra lo zucchero veniva ancora razionato, Elisabetta II crebbe in una famiglia reale il cui credo nella potenza dell’impero britannico era cresciuto nonostante l’autorità politica si fosse ridotte. Alla sua morte, la regina era ancora anche su altri 14 Paesi, soprattutto piccoli residui dell’ex impero nei Caraibi e nel Pacifico meridionale. Inizialmente immaginato come un consorzio di colonie “bianche”, il Commonwealth ha le sue origini in una concezione razzista e paternalistica del dominio britannico come forma di tutela ed educazione delle colonie. Riconfigurato nel 1949 per ospitare le repubbliche asiatiche di recente indipendenza, il Commonwealth fu il seguito dell’impero e un veicolo per preservare l’influenza internazionale della Gran Bretagna. In molti casi, le istanze di indipendenza dei popoli furono sedate col sangue.
Anche per indagare le origini del degrado ambientale, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, bisogna tornare indietro al Sedicesimo secolo, quando il colonialismo inglese iniziò ad alimentare l’economia delle madrepatrie, con conseguenze disastrose per i territori colonizzati e le popolazioni locali. Le comunità indigene si disgregano assieme alle loro società, allontanate dalle proprie terre, confinate in territori inospitali e indebolite da guerre, epidemie e schiavismo.
Potremmo non sapere mai cosa la regina ha fatto o non sapeva dei crimini commessi in suo nome, ma di certo bisognerebbe tenere insieme la complessità della sua figura nel tentativo di fare i conti con l’eredità coloniale.