Morisi è l’amico che sbaglia, gli altri solo tossici: Salvini, è ora di parlare seriamente di droghe - THE VISION

Solo pochi giorni fa aveva fatto discutere la notizia delle dimissioni di Luca Morisi dal team social di Matteo Salvini. Morisi era uno dei più stretti collaboratori del leader della Lega, nonché responsabile di quella da lui stesso soprannominata “la Bestia”, ovvero la strategia social di Salvini. Inizialmente Morisi aveva parlato di “questioni familiari”, ma ieri dai giornali si è appreso che risulta coinvolto in un’indagine per droga. Il social media manager è infatti indagato per detenzione e cessione di stupefacenti dopo che due giovani fermati ad agosto lo avevano indicato come la persona che aveva fornito loro “droga liquida”, presumibilmente ghb. Una perquisizione nella sua abitazione avrebbe confermato la detenzione della sostanza, insieme a una piccola quantità di cocaina.

Luca Morisi

Morisi si è difeso dicendo di non aver commesso alcun reato, ma si è scusato pubblicamente sia con Salvini che con i propri familiari, ammettendo “fragilità esistenziali”. Dal canto suo, lo stesso leader della Lega ha accolto le scuse del collaboratore con un post sui social, definendolo “un amico che sbaglia [che] ha fatto male a se stesso più che ad altri”. L’atteggiamento indulgente di Salvini con Morisi non è passato inosservato, visto soprattutto il disprezzo che il leader della Lega ha sempre manifestato contro quelli che lui chiama “drogati” e “tossici”. Anche Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ha commentato le parole di Morisi e di Salvini, ricordando la durezza sempre dimostrata dai leghisti nei confronti del fratello, ucciso di botte dai carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro nel 2009 mentre era in custodia cautelare per un caso di droga. 

In effetti, il fatto che il capo della comunicazione social di un politico che più volte ha fatto campagna elettorale sulla pelle di tossicodipendenti ed emarginati e che suonava il campanello a presunti spacciatori, l’autore di quei post con la parola “DROGATO” scritta in maiuscolo per provocare ancora maggiore indignazione, risulti coinvolto in una vicenda di cessione di sostanze stupefacenti è abbastanza incredibile. Di fronte a questa notizia è facile attaccare l’ipocrisia di Salvini o infierire su Morisi, ma lo è altrettanto rifarsi alla stessa retorica moralista e proibizionista sulle droghe che il leader della Lega ha sempre utilizzato per i propri fini politici.

Ilaria Cucchi

Uno dei capisaldi di questa retorica è proprio il buttare tutto ciò che sta nell’universo del consumo della droga in uno stesso calderone: per chi è genericamente “contro la droga” – come è sempre stato Salvini – non c’è differenza tra consumo e dipendenza, tra una sostanza e l’altra, tra piccolo spaccio e traffico internazionale. Tutto va condannato, possibilmente rifacendosi a un immaginario pruriginoso da cronaca nera anni Ottanta: dalla coltivazione della cannabis per “farsi in casa propria” (permessa dalla legge) alla droga che “è sempre morte”, anche quando si sta parlando di negozi che vendono prodotti a base di CBD. Fu proprio Salvini a proporre, nel 2019, l’abolizione della modica quantità per “i venditori di morte”, come chiamò gli spacciatori durante la conferenza stampa per presentare il progetto. In realtà, non è nemmeno corretto parlare di “modica quantità”, dal momento che l’attuale disciplina sulle sostanze stupefacenti prevede soltanto dei limiti massimi per le varie sostanze entro cui rientra l’uso esclusivamente personale. L’effetto diretto di questo atteggiamento nei confronti della droga è il sovraffollamento delle carceri, dato che il testo unico sulla droga prevede la pena della reclusione sia per chi produce e traffica la droga, sia per chi la detiene in quantità superiore a quella consentita. 

Matteo Salvini

La tolleranza zero nei confronti degli stupefacenti e l’equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti voluta dalla legge Fini-Giovanardi del 2006 aveva fatto sì che nel 2009 i detenuti nelle carceri italiane per reati connessi alla droga fossero il 41% del totale, percentuale scesa del 5% nel 2014, quando la Corte Costituzionale ne decretò l’incostituzionalità. Ancora oggi, come emerge dall’ultima Relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, oltre un terzo della popolazione carceraria è costituito da soggetti detenuti per reati droga-correlati e il 31% dei nuovi ingressi in carcere registrato nel 2020 è dovuto a reati di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti. Secondo la Relazione annuale della Direzione centrale per i servizi antidroga, il 90% della droga intercettata dalla polizia nel nostro Paese negli ultimi cinque anni è costituito da cannabis. Questa sostanza continua a costituire il motivo principale di denunce in Italia: 13.586 nel 2020, contro le 12.974 per la cocaina. Interessante anche il reato contestato: solo al 3% dei denunciati per reati correlati alla cannabis è stato contestato il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, contro il 12% dei denunciati per cocaina. Questo significa che la maggior parte dei procedimenti si concentra su consumatori e spacciatori di quartiere di marijuana o hashish e non sulle reti del narcotraffico, responsabili del movimento delle sostanze stupefacenti su scala nazionale e internazionale.

Questi dettagli sono fondamentali per aprire un discorso sulle droghe che non sia completamente scollegato dalla realtà e che non indulga nella facile retorica dell’allarmismo. L’accanimento e lo stigma verso chi consuma droga, bollato senza appello come tossico o drogato, distoglie la dovuta attenzione da chi con la droga provoca davvero morte e violenza attraverso il narcotraffico e la criminalità organizzata. Morisi, che con le sue scuse non ha negato di aver fatto uso di droga, ha ammesso fragilità che la propaganda proibizionista portata avanti attraverso i canali della sua Bestia non ha mai perdonato a nessuno: se ti droghi, non c’è alcuna compassione possibile, sei solo un tossico e un venditore di morte.

Sarebbe bello che la vicenda di Morisi – questa specie di legge del contrappasso per un leader conservatore che ha costruito la sua immagine sulla tolleranza zero e che oggi fa sempre più fatica a raccogliere consensi – non fosse usata per sbeffeggiare Salvini solo per il gusto di farlo, ma mettesse in luce come il modo in cui il leader della Lega ha sempre parlato di sostanze e di consumo, e che oggi ci appare surreale e condannabile, è più diffuso di quanto pensiamo. È alla base della legislazione sulle droghe ed è ciò che impedisce nel nostro Paese la realizzazione di programmi di prevenzione delle dipendenze che siano davvero efficaci e che non si basino sulla minaccia della detenzione. E sarebbe anche ora che questo dibattito non si concentrasse solo sugli aspetti penali delle droghe, ma anche sul perché i consumi sono in aumento, sul perché certe sostanze sono più diffuse di altre e su come sia possibile che il numero di morti per overdose sia in costante crescita.

Fa bene Salvini a definire Morisi un amico che sbaglia e non un drogato o un tossico, ma sarebbe bello che la stessa comprensione l’avesse riservata anche per tutti coloro che quotidianamente sono stati messi alla gogna dalle pagine sui social del leader della Lega, curate proprio da quell’amico che ha sbagliato e che oggi si trova a dover affrontare la stessa macchina del fango a cui in passato ha sottoposto tutti gli altri. Non dobbiamo aspettarci che Salvini cambi idea sulle droghe dopo questa vicenda, ma possiamo almeno dimostrarci migliori di lui: non per essere buonisti nei confronti di Morisi, che resta tra i principali responsabili del clima di insofferenza verso gli emarginati degli ultimi anni, ma perché in un Paese più giusto, meno proibizionista e più moderno non dovrebbe rischiare dai sei ai vent’anni di carcere per ciò che ha fatto.

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