Dopo una partita intensa e dall’esito incerto fino all’ultimo, domenica 18 dicembre l’Argentina ha conquistato il titolo di campione del mondo, battendo la Francia ai rigori. Una vittoria che ha coronato la carriera di Lionel Messi, autore di due dei tre gol argentini, sancendo definitivamente il paragone calcistico con Diego Armando Maradona, che trionfò nei Mondiali del 1986. L’edizione di quest’anno, la prima a essere ospitata da un Paese arabo, andrà ricordata, però, anche per le controversie che l’hanno segnata: le polemiche sulle modalità di assegnazione, la morte dei lavoratori impiegati, la minaccia di un ammonimento ai giocatori per l’esposizione di una fascia a favore dei diritti LGBTQ+ e il caso di presunta corruzione che ha coinvolto il Parlamento europeo.
Quando nel 2010 la gara venne assegnata al Qatar – invece che agli Stati Uniti, come le persone coinvolte si sarebbero aspettate –, la candidatura era ritenuta una delle peggiori, per l’assenza di strutture e infrastrutture adeguate. Il Paese presentò allora un piano edilizio ambizioso e spettacolare, da cui, nel decennio successivo, emersero le condizioni disumane in cui si trovano ad agire quotidianamente centinaia di migliaia di lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. La maggior parte dell’economia del Paese si basa infatti sul lavoro dei migranti, che però vivono in condizioni terribili, in quanto privilegi e pieni diritti sono garantiti solo a chi è cittadino, che però in Qatar corrisponde solo al 10-15% della popolazione. Anche se non è possibile definire con precisione il numero di morti, secondo un’inchiesta del Guardian, i lavoratori migranti che hanno perso la vita nei cantieri delle infrastrutture legate ai Mondiali sarebbero almeno 6.500. Una prima ammissione è arrivata dal segretario generale del comitato supremo, Hassan al Thawadi, che ha stimato le morti sul lavoro in 400-500 persone. Una sottostima secondo alcune agenzie per i diritti umani.
Parlare di persone LGBTQ+ si è poi dimostrata una linea invalicabile per il Paese, tanto che i calciatori della nazionale tedesca hanno posato per la foto di rito tappandosi la mano con la bocca dopo che la FIFA ha rilasciato un comunicato con cui dichiarava che chiunque avesse indossato fasce non ufficiali avrebbe ricevuto un cartellino giallo, portando così alla sospensione della campagna “One Love”, con cui i capitani delle nazionali si sarebbero presentati in campo con una fascia a favore della diversità. Un’azione simbolica importante in un Paese in cui le coppie dello stesso sesso non hanno alcun riconoscimento legale e gli atti sessuali tra maschi sono ritenuti illegali. Secondo un recente report di Human Rights Watch, poi, le persone LGBTQ+ qatariote vengono arrestate senza possibilità di contattare famiglia o avvocato, subiscono abusi fisici e verbali, e gli viene promessa la libertà a due condizioni: che accettino di seguire un percorso di “conversione sessuale” e che indichino altri membri della comunità.
Nonostante le critiche, la Coppa del Mondo ha mostrato quanto lo sport possa essere utilizzato come soft power: il Qatar ne esce non come una regione isolata, ma un attore chiave, capace di dimostrare la sua crescente influenza sull’Occidente. Soprattutto: visitatori soddisfatti, affari e riconoscimenti internazionali. Anche a scapito dei diritti umani.