Non solo grandi dimissioni. Oltre al lavoro i giovani mollano anche i social per tornare a vivere. - THE VISION
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I millennial sono la prima generazione che ha come parte essenziale della propria vita adulta il digitale. Circa 13 milioni di persone – nate a cavallo tra il 1985 e il 2000, di cui il 75% è connesso a internet – che danno vita a una generazione globale, capace di essere in contatto con amici lontani migliaia di chilometri. Lo stesso Umberto Eco ha sostenuto che uno dei lati positivi di internet fosse proprio l’eliminazione delle distanze e la velocità delle informazioni. Il 24% della popolazione mondiale è costituita da millennial, tutti attivi sui social.

Una ricerca portata avanti dal Pew Research Center, svolta nel corso del 2021, svela che per più del 90% dei millennial, nel 2021, la presenza media è stata su quattro piattaforme e le ragioni principali sono svago, notizie e novità o cercare risposte a quesiti di vario tipo. Gli utenti navigano sui social come Instagram e Pinterest per scoprire nuovi marchi e prodotti, per leggerne recensioni e trovare offerte imperdibili. Qualsiasi sia la motivazione che porta i soggetti ad aprire almeno una volta al giorno i loro profili, Instagram sembra essere diventata la piattaforma preferita, seguita da TikTok e Twitter, mentre Facebook sta perdendo attività in questa fascia d’età. Più della metà di questi utenti naviga sul web o controlla le notifiche mentre è sull’autobus, mentre è in pausa studio o a qualche evento fuori; il 60% degli utenti tra i 20 e i 35 anni guarda serie tv e film per poter poi parlarne anche nelle discussioni presenti sui social.

Secondo gli studi di David Greenfield, professore di psichiatria all’Università del Connecticut, l’attaccamento ai social network e allo smartphone è ormai uguale a qualsiasi altra dipendenza: causerebbe infatti importanti interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito cerebrale della ricompensa, e che di fatto incoraggia le persone a svolgere attività che credono daranno loro piacere e faranno sentire loro un profondo senso di benessere. Tutte le volte che si vedono apparire diverse notifiche sul cellulare il livello di dopamina sale nella speranza di essere cercati o di sapere cose nuove, novità che miglioreranno il momento.

Eppure, sempre più giovani, in particolare la fascia di età tra i 20 e i 25 anni, dopo essersi creati diversi account social – a volte solo per necessità di avere informazioni di vario tipo – li abbandona o li elimina, e le motivazioni sono diverse. Sui social ormai si fa tutto: si leggono i giornali, si consultano ricette, si chatta con gli amici e si guarda cosa fanno, ma un numero sempre più alto li sente come un peso e un limite che provoca ansia e che inibisce i rapporti reali e con gli amici; così tanto che una buona percentuale di millennial, come alcuni della gen Z, ha scelto in principio di non aprire nessun account, oppure di chiuderlo.

Lisa ha 24 anni, è laureata all’Università di Genova in Scienze dei materiali e di social non ne ha neanche uno, da sempre – escludendo WhatsApp. Alla base di questa scelta c’è la necessità di viversi il momento, guardare il panorama che si ha intorno nel posto dove si è in vacanza con gli occhi e non attraverso una fotocamera per correre a caricare una foto sui social e far vedere a tutti cosa si sta facendo. Invece di stare ore su Facebook si può uscire, fare una passeggiata e perdersi guardando il mare o bere un caffè e chiacchierare con persone vere, che siano presenti, che ti conoscono per ciò che sei al di là di ciò che appari nel mondo virtuale.

“Non mi piace l’idea di far vedere a persone non vicine a me (con vicine intendo amici stretti, famiglia, parenti, fidanzato) cosa faccio o cosa non faccio. Non mi interessa farmi conoscere o vedere da altre persone. Mi interessa che le persone vicino a me sappiano chi sono e che tipo di persona sono, del resto non mi importa. Le foto che faccio mi piace che siano un mio ricordo personale e non un ricordo di persone che non so nemmeno chi siano. A parte magari le cose un po’ più importanti, tipo l’università, i libri, gli esami, dove ci sono aggiornamenti o eventi in città a cui si può partecipare, ma per quello ci sono ancora altri canali. Non penso che questo mi escluda assolutamente da niente, le notizie importanti e interessanti si vedono anche sui siti Internet, sui giornali o in televisione, in generale c’è sempre una valida alternativa per sapere tutto. I miei amici hanno tutti i social, compresa mia madre, ma fortunatamente non mi hanno mai criticata, anzi, mi hanno sempre sostenuta e dicono che faccio bene anche un po’ perché al giorno d’oggi la maggior parte della gente pubblica cose di ben poca rilevanza. Al posto di usarli si potrebbe vivere di più e meglio la vita. Non stare sempre a scrollare la Home di Instagram in attesa di nuove foto degli altri per sapere cosa fanno, e magari invidiarli pure perché sono a scalare Machu Picchu, in Perù, o chissà dove. Credo che l’ideale sarebbe passare del tempo in tranquillità con gli amici e magari, lasciare tutti il telefono a casa”. Come Lisa, in molti casi è per il desiderio di mantenere tutelata la propria privacy che molte persone hanno scelto di abbandonare o non avere un account sui social network. La scelta non è così strana e non lo sono le loro motivazioni. L’unico dato che fa riflettere è la fascia d’età: fanno parte della generazione caratterizzata, quasi basata, dalla familiarità con i media, come scritto sopra, i primi a esserne davvero all’interno su più fronti e, da un certo punto di vista, anche i primi a scapparne.

Martina ha 26 anni, studia psicologia e ha chiuso i suoi account su Facebook e su Instagram. Una sera, a cena con le amiche, si è resa conto che guardava più il telefono che parlare con loro o mangiare. Così ha preso la decisione drastica di chiudere gli account, inizialmente le sue stesse amiche hanno criticato la scelta, ma non si è pentita di averli abbandonati; al loro posto ha scoperto la passione per la pittura e le passeggiate: “Entrambe le cose mi rilassano, subito mi sembrava che il tempo non passasse mai senza social, poi ci ho fatto l’abitudine. Ora se il tempo mi passa lentamente cambio semplicemente attività, se ho tanto tempo vuol dire che posso fare anche tante cose.”

Luca, invece, di anni ne ha 23 e l’account su Facebook ce l’ha: l’ha aperto durante l’ultimo anno di università a Genova per cercare casa a Roma, dove oggi studia, ma poi lo ha abbandonato. Tutta la sua famiglia è sui social e sono anche molto attivi, soprattutto le sue due sorelle più grandi. Luca, però, non ci trova tutta questa utilità, infatti casa l’ha trovata poi tramite amici e non sui gruppi Facebook. Esordisce così: “A saperlo prima neanche l’avrei aperto, ora non lo uso proprio, penso lo chiuderò presto”.

Le ricerche condotte nell’ambito di diversi approcci disciplinari, come la sociologia e l’antropologia, hanno evidenziato come le reti sociali operino a più livelli, e svolgano un ruolo cruciale nel determinare le modalità di risoluzione di problemi e i sistemi di gestione delle organizzazioni, nonché le possibilità dei singoli individui di raggiungere la propria realizzazione, ovvio è che se ci si rende conto che queste siano più fonte di ansia e preoccupazione, scappare è più che lecito. L’importanza crescente dei social network richiede soluzioni che li mantenga come luoghi sani e adatti a convivere civilmente. Ma la crisi dei millennial non riguarda solo il tempo passato sui social network, passa dai rapporti sociali, amici e famiglia, ma anche il lavoro e ciò che intimamente provano. Abbandonano i social perché si sentono soffocati, abbandonano il lavoro quando si rendono conto che ciò che fanno non li rende felici o non rende giustizia a tutto ciò che hanno studiato e, ancora, non gli lascia tempo di vivere, perché questo vogliono: vivere.

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