Da anni il leitmotiv della propaganda di Matteo Salvini in tema di immigrazione è che i migranti che scappano da una situazione di guerra sono una minima parte rispetto a quelli che arrivano in Italia con lo status di migranti economici. Per il ministro dell’Interno è necessario accogliere i primi e respingere i secondi perché i migranti economici non fuggono da reali condizioni di pericolo per se stessi e per le loro famiglie. Come se la guerra fosse l’unico motivo plausibile per innescare un fenomeno migratorio. Come se, in altre parole, i migranti economici fossero persone che si spostano da una situazione di relativa tranquillità nel proprio Paese per cercare fortuna in altre zone del mondo. Come altre narrazioni sul fenomeno migratorio, anche questa è falsa e non tiene conto delle condizioni reali dei Paesi da cui fuggono le persone che vediamo arrivare in Europa.
La Nigeria è un ottimo esempio di “paradiso” in cui Salvini vorrebbe rispedire i migranti economici. Si tratta del Paese da cui proviene la maggior parte dei migranti che sbarcano sulle coste italiane: oltre 37mila nel 2016 e 18mila nel 2017. Eppure, di tutti i nigeriani arrivati in Europa negli ultimi anni, solo una piccola percentuale ha ottenuto lo status di rifugiato politico (meno del 5% nel 2016), solo il 25% ha ricevuto una qualche forma di protezione prevista dall’ordinamento giuridico del Paese in cui ha fatto richiesta d’asilo. La maggioranza dei nigeriani non riceve alcun tipo di protezione, etichettati come rifugiati di serie B.
A un’analisi superficiale dei suoi dati economici, la Nigeria non sembra un Paese da cui fuggire. Nel 2017 l’economia è cresciuta del 1,94%, trainata dall’estrazione di 2,5 milioni di barili di petrolio al giorno. Nonostante l’economia nigeriana dipenda dall’attività petrolifera, anche i settori slegati dalla produzione di greggio hanno visto una timida crescita dello 0,8% nello stesso periodo. Inoltre, negli ultimi anni la Nigeria ha conosciuto un boom demografico che l’ha portata a sfiorare i 200 milioni di abitanti, destinati a diventare 300 entro il 2050, stando a un report delle Nazioni Unite che la colloca al terzo posto tra i Paesi più popolosi del futuro.
Ma crescita economica e demografica non significano automaticamente redistribuzione della ricchezza e benessere generale della popolazione. Secondo uno studio del 2018 di Oxfam e del gruppo Development Finance International, il Paese è l’ultimo in una lista di 157 nazioni classificate per l’impegno dei loro governi nella riduzione della disuguaglianza. La spesa pubblica della Nigeria per la sanità e l’istruzione viene definita da Oxfam “vergognosamente bassa” e “riflette una tutela sociale molto scarsa per i cittadini”. Nel 2016 oltre otto milioni di nigeriani soffrivano di insufficienza alimentare a causa della crisi che ha sconvolto il nordest del Paese, mentre la disoccupazione giovanile nel 2018 si attestava al 36,5%. Lagos, principale megalopoli nigeriana, è stata incoronatadall’Intelligence Unit dell’Economist come la terza peggiore città del mondo (su 140), subito dopo la capitale siriana Damasco e Dhaka, in Bangladesh. Nonostante la crescita economica, il numero di persone che vivono in condizioni di povertà è impressionante: 91 milioni nel 2018, pari al 46,6% della popolazione totale.
Un’economia basata sul petrolio ha come conseguenza una forte dipendenza della Nigeria dalle multinazionali straniere, che controllano una grossa parte della ricchezza del Paese. L’esproprio forzato di terreni ai danni delle comunità agricole locali e il forte impatto ambientale dei processi estrattivi rendono insostenibili le condizioni di vita della popolazione del Delta del Niger, che spesso è costretta a emigrare altrove. Il governo nigeriano svende le terre alle multinazionali, che si macchiano di numerosi illeciti per salvaguardare o accrescere i propri profitti: nel 2014 le Ong Re:Common, Global Witness e The Corner House hanno presentato un esposto che ha portato a processo l’Eni, molto attiva nel Paese. La multinazionale italiana, insieme all’anglo-olandese Shell, avrebbe pagato una maxitangente di un miliardo e 92 milioni di dollari, ripartita tra i vari membri del governo nigeriano, per aggiudicarsi l’esplorazione del giacimento petrolifero Opl 245. Secondo una ricerca condotta dal Resources Development Consulting (Rdc) la struttura fiscale data al contratto avrebbe permesso alle due corporation del petrolio di non pagare sei miliardi di dollari di tasse dovute allo Stato. Per multinazionali e Governo questo significa guadagni milionari. Per i nigeriani, invece, la perdita equivale a due anni di spesa pubblica del governo federale. Le multinazionali occidentali non sono responsabili solo dello sfruttamento delle risorse del territorio del Delta del Niger e dei relativi danni ambientali. Indirettamente sono anche una delle cause del crollo della spesa pubblica nigeriana in materia, ad esempio, di sanità e istruzione.
Un altro motivo che spinge i nigeriani a lasciare il proprio Paese sono le violenze del gruppo terroristico Boko Haram, attivo nel nord della Nigeria. Questa organizzazione estremista islamica ha condotto numerosi attacchi e attentati che sono costati la vita a oltre 58mila persone tra il 2011 e il 2019, costringendo centinaia di migliaia di nigeriani a fuggire dalle zone più colpite dall’azione di guerriglia del gruppo integralista e a fuggire in altre regioni del Paese o in quelli confinanti, come il Camerun.
Numerose donne nigeriane arrivano in Italia dopo essere cadute vittima di tratta. Nel 2018 la Nigeria si trovava al 133esimo posto nella classifica dei 144 Paesi che rientrano nel Rapporto Mondiale sul Divario di Genere stilato dal World Economic Forum: un netto peggioramento rispetto al 2006, anno in cui si trovava al 94° posto. Negli strati sociali più poveri il 75% delle ragazze non va a scuola e nelle aree urbane il 51% delle donne non non riceve alcuna educazione. In questo contesto di povertà estrema moltissime ragazze vengono vendute dalle famiglie ai trafficanti, per finire a prostituirsi per le strade di Lagos (ottava città al mondo più pericolosa per le donne) o in qualche città europea. Molte si indebitano con i trafficanti per espatriare, convinte di poterli ripagare una volta trovato un lavoro nel Paese di destinazione, dove invece finiscono per essere costrette a prostituirsi.
Sfruttamento economico da parte delle multinazionali straniere, devastazioni ambientali, diseguaglianze sociali, attacchi terroristici, tratta di esseri umani: anche se in Nigeria non esiste una guerra dichiarata, le condizioni di vita della popolazione, soprattutto della parte più povera, bastano per spingere a migrare chiunque ne abbia la possibilità, o il coraggio. Chi fugge dalla Nigeria non viene in Italia a fare villeggiatura, a campeggiare a spese degli italiani, come Matteo Salvini ha dichiarato quasi due anni fa, e continua a dichiarare, in un clima da campagna elettorale permanente che ormai sembra la normalità nel dibattito politico italiano.