Quando un Paese si incattivisce – e l’Italia ha varcato già da parecchio questa soglia – appaiono rivoluzionari i gesti più semplici, mentre le parole che un tempo rientravano nei codici del quieto vivere oggi diventano un vero e proprio atto di resistenza. L’opinione pubblica si sveglia in preda allo stupore quando qualcuno dice che i migranti sono esseri umani, che il razzismo è un male dei nostri tempi o che stiamo distruggendo il Pianeta. Quando la normalità diventa eccezionalità significa che il Paese ha preso una direzione sbagliata e il riassestamento non può che partire dalle persone pulite. Una di queste è Claudio Marchisio.
“Un centrocampista completo”, “gli occhi più belli della Serie A”. Per anni Marchisio è stato associato a queste due frasi. Lo stereotipo del calciatore ignorante, rozzo e superficiale imponeva di non approfondire ulteriormente, relegando l’ex juventino a una posizione in cui il suo personaggio oscurava la persona. Tutti i luoghi comuni hanno un fondo di verità, ma dietro ventidue uomini sudati che rincorrono il pallone esistono anche storie che si discostano dall’immaginario collettivo e dal pregiudizio che accompagna un’intera categoria.
L’emancipazione di Marchisio è partita dai social. Con oltre 4 milioni di follower su Instagram, si è reso conto di poter lanciare alcuni messaggi con una cassa di risonanza enorme. Già nelle interviste televisive si notava il suo garbo, una proprietà di linguaggio superiore a quella di gran parte dei suoi colleghi, ma le domande che gli venivano poste riguardavano le scelte dell’allenatore, le posizioni in campo o le sensazioni sulla prossima partita. Sul web Marchisio ha osato infrangere la parete, parlando di argomenti legati alla politica e alla società. La gente si è stupita quando, pochi giorni prima della finale di Champions League del 2017 contro il Real Madrid, ha pubblicato su Facebook uno sfogo in seguito alla tragedia di 34 morti per un’imbarcazione affondata al largo della Libia. “Viaggi della speranza che finiscono in tragedia per molte persone. Come sta cambiando il mondo?”. In mezzo all’approvazione per il post, sono sbucati gli odiatori del web con commenti del tipo: “Pensa alla finale di Champions, che è meglio”. Il sottotesto è nitido: sei un calciatore, non puoi toccare certi argomenti.
Eppure Marchisio ha continuato a leggere, informarsi e a riflettere sugli avvenimenti del mondo. Nel 2018, durante la Giornata del rifugiato, ha pubblicato una foto con un cartello dell’Unhcr e la scritta With Refugees, scrivendo come didascalia: “E tu da che parte stai?”. Due indizi fanno una prova: Marchisio ha capito che la politica si fa ogni giorno, nella quotidianità. I commenti alle sue prese di posizione si sono sempre divisi in tre categorie. Quelli che lo hanno elogiato, chi l’ha fatto con inutili premesse (“Anche se non sono juventino ti stimo”, come se la fede calcistica compromettesse il giudizio su una persona) e, inevitabilmente, quelli che gli hanno gettato fango addosso. Nell’epoca dell’imbarbarimento sociale e delle narrazioni politiche deviate, Marchisio è subito diventato uno dei “buonisti di merda”.
Per capire quanto poco gli interessino gli insulti degli odiatori seriali, Marchisio ha commentato il rapimento di Silvia Romano con queste parole: “L’esempio di Silvia Romano vola alto, sopra la tristezza dei pidocchi che la criticano. La nostra meglio gioventù che ci riempie di orgoglio”. Un attacco indirizzato non soltanto agli urlatori nascosti dietro le tastiere, ma anche a quell’intellighenzia che sentenziava: “Quella di Silvia Romano è smania di altruismo”. Da quel momento i profili social di Marchisio sono diventati delle bacheche progressiste – o, più semplicemente, umane – dove sono state portate avanti battaglie a favore dei diritti LGBTQ+, dei pastori sardi, dei curdi, dei migranti e contro il razzismo. Un anacronismo in una nazione sempre più intollerante.
Marchisio è bianco, benestante, eterosessuale e fa una vita da privilegiato. Questi sono i punti su cui si basano le critiche nei suoi confronti, per cui non potrebbe parlare di certi argomenti perché proviene da un’altra realtà. Una versione più elaborata di insulti-slogan tanto vuoti quanto stupidi come “comunista col rolex” o “frocio col culo degli altri”. Lui però non si è sottratto alla discussione, rispondendo direttamente ai commenti più duri: “Io penso di essere libero, come te, di poter pensare e commentare. Qui non si parla di denaro, ma di possibilità di vivere, di scappare da guerre, da persone violente. Il mio pensiero andava a difendere la vita e la libertà delle persone”. La potenza del messaggio politico di Marchisio si trova proprio nella scelta di non nominare mai partiti o politici, rimarcando un concetto semplice: un’azione disumana lo è in quanto tale, non perché compiuta dal Salvini di turno, e va condannata strutturalmente, senza appesantirla con risvolti utili solo a rafforzare il nemico e a mettere in secondo piano il tema trattato.
Quando i sovranisti si lanciano come avvoltoi sui fatti di cronaca per avvalorare le loro tesi contro “l’uomo nero”, Marchisio commenta: “Le bestie non hanno colore, provenienza o religione. Le bestie non devono diventare motivo di propaganda politica”. I destinatari della sua opinione sono chiari, ma lui non li cita proprio per non dare loro ulteriore rilevanza. È accaduto lo stesso quando ha commentato l’immagine straziante di un padre e di una figlia annegati nel Rio Grande mentre cercavano di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti. Ha scritto: “La verità ci costringe a fare i conti con le nostre responsabilità. Ci raggiunge con immagini che abbattono quei muri con cui cerchiamo di proteggerci. Ma da cosa cazzo ci proteggiamo? Fino a quando pensiamo di poter tollerare che qualcuno permetta tutto ciò anche a nome nostro?”. Un tweet è stato sufficiente per prendere una posizione più netta di qualsiasi sermone antisalviniano decantato in uno studio televisivo.
La sua carriera da calciatore si è conclusa prima del previsto a causa dei continui problemi fisici. Pochi mesi dopo, a ottobre, è di nuovo balzato agli onori della cronaca quando dei ladri sono entrati nella sua abitazione in provincia di Torino, hanno puntato delle pistole in testa a lui e alla moglie e si sono portati via tutto. Le bestie del web non hanno perso l’occasione per fare speculazioni sulla nazionalità dei ladri, ma Marchisio non ha ceduto all’emotività del momento e nel raccontare l’esperienza ha detto che “Chi fa discriminazioni territoriali è un poveretto”. Il tenore dei commenti alla sua dichiarazione non è altro che lo specchio di questo periodo storico: “Marchisio il buonista radical chic, ha per caso fatto andar via i suoi ospiti senza preparargli un caffè?”, “Ben gli sta al buonista”, “Il principino ha sempre avuto a cuore le risorse, non essere incazzato più di tanto”.
La battaglia di Marchisio ha preso una forma ancor più definita quando, il mese scorso, ha annunciato l’inizio di una collaborazione con l’edizione di Torino del Corriere della Sera. Il pubblico si aspettava qualche articolo sul calcio, sulla tattica, sulle banalità del pallone. Invece i primi due articoli che ha scritto sono stati su due argomenti che ha cuore: Silvia Romano e la lotta contro il razzismo. Nel farlo non si è limitato a mettere su carta dichiarazioni di circostanza e frasi da tema delle medie migliorate da un buon editor, ma ha deciso di lanciare degli spunti di riflessione, tenendo vivo un dibattito su temi delicati senza cadere nella banalità. Ha preso posizione, ancora una volta, senza temere le critiche. Non si è tirato indietro quando ha definito “inaccettabile” che Silvia Romano non sia ancora tornata a casa, chiedendo al governo di agire perché “non c’è più tempo da perdere”.
Nel secondo articolo ha lanciato una riflessione sulla scelta di Eniola Aluko, giocatrice della Juventus che ha deciso di lasciare l’Italia in seguito a pesanti discriminazioni. Marchisio non ha indossato le vesti del bianco che spiega a un nero come reagire agli insulti razzisti. Ha invece addossato le colpe a “una comunicazione politica violenta”, all’incertezza dettata da un contesto economico difficile e alla dieta quotidiana di paura di molti italiani. Tutto questo “Sta portando tutti noi alla chiusura, alla durezza e all’ostilità, soprattutto verso coloro che non riconosciamo come immediatamente affini. È una deriva pericolosa e va chiamata con il suo nome: razzismo”. Non si nasconde, Marchisio, nemmeno quando ammette che da maschio bianco che vive in un Paese europeo non può capire quello che ha provato Eniola e che costantemente vivono sulla propria pelle decine di migliaia di persone in tutta Italia. L’intero articolo si basa proprio sulla consapevolezza di una diversa prospettiva e sull’esigenza di cambiarla per comprendere un fenomeno che sta sfociando sempre di più in una deriva sociale inarginabile. Il mondo del calcio è una testimonianza diretta di queste barbarie, ma a parlare non è il Marchisio calciatore, ma l’essere umano.
L’errore più grande che i media stanno commettendo è quello di incasellare Marchisio nella solita e inutile tiritera legata alla frase “La sinistra riparta da…”. Per anni, per lo meno dalla morte di Berlinguer, si è cercato l’erede, il salvatore della Patria, il paladino di vecchi valori ormai apparentemente perduti. Ogni frase ragionata e pacata pronunciata da qualsiasi personaggio pubblico – che sia un attore, un calciatore o un cantante – viene associata a una rivincita della sinistra, a un esempio da seguire per fronteggiare la marcia trionfale della destra. Ma tra essere un politico e fare politica passano diversi livelli di interpretazione. Marchisio non è un politico e non vuole esserlo, nessuno conosce le sue scelte alle urne ed è anche superfluo indagare. Il senso civico di un individuo non richiede patentini elettorali. Per un futuro migliore non è la sinistra a dover ripartire da Marchisio, ma l’intero Paese. Senza attribuirgli ruoli messianici, ma apprezzandone la dote principale: essere una persona pulita, in un’epoca marcia.