Il Governo Conte I con Matteo Salvini ministro dell’Interno ci ha abituati al ritornello delle navi con a bordo migranti che rimanevano giorni, se non settimane, vicino alle nostre coste in attesa dell’autorizzazione a sbarcare. I tg aprivano quasi ogni giorno con l’immagine di una Ong bloccata che chiedeva di poter sbarcare. La risposta di Salvini era sempre un secco “No”, in attesa che altri Stati europei si dichiarassero disponibili ad accogliere una parte dei migranti. A differenza delle decine di casi in cui Salvini ha negato l’accesso in acque italiane a navi non governative, due casi si sono configurati diversamente sul profilo giuridico. Uno è quello della nave Gregoretti, per cui Salvini è stato iscritto sul registro degli indagati dalla procura del Tribunale dei Ministri di Catania con l’accusa di sequestro di persona aggravato.
Tra il 27 e il 31 luglio 2019 la nave Gregoretti della Marina Militare italiana si aggirava in acque italiane con a bordo 131 migranti recuperati da due navi, una della Guardia di Finanza e una della Guardia Costiera. Come riferiscono le comunicazioni del comandante della Gregoretti, citate nella richiesta di autorizzazione a procedere inoltrata al Senato, la nave ha chiesto più volte di sbarcare. La Gregoretti è un’imbarcazione destinata a vigilare sull’attività di pesca nelle nostre acque. Le sue dimensioni e il suo personale sono ridotti e non erano pronti ad affrontare un’emergenza come quella rappresentata da 131 migranti in condizioni precarie. La procura evidenzia il fatto che i migranti fossero posizionati sul ponte della nave e quindi continuamente sottoposti agli agenti atmosferici, tra cui i 35° del sole cocente di luglio. Ventiquattro di questi migranti presentavano inoltre sintomi clinici. Nonostante questo, il ministro Salvini non concedeva l’autorizzazione a sbarcare e ritardava nell’indicazione di un POS (Place of Safety) come previsto dalle convenzioni internazionali. 131 persone scappate da guerre o povertà si trovavano, senza alcuna colpa, a essere usate come strumento di una battaglia politica, che pur di ottenere un risultato arrivava a privarle dei loro basilari diritti umani. Dopo giorni di comunicazioni tra la nave, il ministero dell’Interno e i vari organi amministrativi, Salvini concede lo sbarco, ottenendo la redistribuzione dei migranti in quote per Stato aderente.
Questo modus operandi ha rappresentato in modo esemplare la politica migratoria di Salvini e del Governo. Il ministro dell’interno ne è sempre uscito pulito dal punto di vista giudiziario, tranne in due casi: appunto il caso Gregoretti e il caso Diciotti. Anche nel secondo Salvini è stato indagato ma la Giunta del Senato per le autorizzazioni a procedere si è espressa in modo sfavorevole grazie al voto del M5S, che al tempo ha salvato l’alleato di governo dal processo.
Per la questione Gregoretti la parola spetta ora al Senato della Repubblica. Sull’autorizzazione a procedere la Giunta ha votato la relazione del presidente Gasparri che chiedeva di non autorizzare il Tribunale dei Ministri a procedere. I voti sono stati pari: cinque favorevoli alla relazione del presidente (da Forza Italia e Fratelli d’Italia) e cinque contrari (dalla Lega). In caso di parità il regolamento prevede che vincano i “No” e quindi l’autorizzazione è stata concessa dalla Giunta. Tuttavia dovrà esprimersi l’aula del Senato per concedere definitivamente l’autorizzazione. La parità di voti in Giunta si è ottenuta grazie alla mancata presenza della maggioranza. Pd, M5S, Italia Viva e Leu hanno scelto infatti di non partecipare al voto dopo aver dichiarato per settimane che Salvini andasse processato, rischiando paradossalmente di salvarlo dal processo. Le forze di maggioranza hanno giustificato l’assenza sostenendo che se avessero votato per il processo a Salvini la Lega l’avrebbe strumentalizzato negli ultimi giorni di campagna elettorale emiliano-romagnola. Ancora una volta dunque si è sacrificata la giustizia in nome della convenienza elettorale.
Il voto del Senato sarà un passaggio delicatissimo per la nostra democrazia. La narrazione salviniana (che si rifà a quella di Berlusconi), nonostante i senatori della Lega abbiano votato per mandare a processo il loro leader elevandolo a martire, racconta che la magistratura è un organo politico con una sua ideologia, che vuole fermare il cambiamento rappresentato dal “capitano”. La lamentela è la stessa di Berlusconi, il grande statista abbattuto dai “giudici comunisti”, ma la strategia è diversa. Mentre Berlusconi faceva leggi ad personam per salvarsi dai processi, Salvini va oltre: vorrebbe gli fosse riconosciuto il potere di violare le leggi, pretendendo che la magistratura non lo persegua. Ma se il Senato non permettesse ai magistrati di giudicare un uomo che si ritiene abbia violato la legge si affermerebbe un principio molto pericoloso rispetto all’immunità dei politici.
L’immunità parlamentare e ministeriale è nata con la Costituzione Repubblicana in risposta al fascismo. Si voleva tutelare i liberi rappresentanti del popolo nel Parlamento e nel Governo da un’eventuale politicizzazione della magistratura che poteva agire nei confronti dei politici per eliminarli. È un concetto nobile di cui, però, si è finito per abusare largamente nel tempo. Paradossalmente, un organo nato per difendere la democrazia si è tramutato in un organo che tutela i politici che la minano. Se l’idea era quella di respingere azioni illegittime della magistratura nei confronti di atti legittimi dei politici, oggi si respingono azioni legittime della prima nei confronti di atti illegittimi dei secondi.
I salviniani ritengono che il primo abbia agito, come prevede la Costituzione, “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante, ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”. La procura smentisce questo assunto affermando che i 131 migranti trattenuti sulla Gregoretti non rappresentavano alcun pericolo per la sicurezza pubblica. I giudici ricordano come, negli stessi giorni in cui Salvini negava lo sbarco della Gregoretti, decine, se non centinaia di migranti, approdavano sulle coste italiane con barche di piccole dimensioni (i cosiddetti “sbarchi fantasma”). Salvini in quei giorni permetteva lo sbarco di piccole barche partite dalla Libia ma non permetteva lo sbarco a una nave battente bandiera italiana, in violazione del Decreto Sicurezza Bis da lui stesso voluto. Il citato Decreto, poi convertito in legge, prevede infatti “l’attribuzione al Ministro dell’interno, in qualità di Autorità nazionale di pubblica sicurezza, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre dello Stato, nonché nel rispetto degli obblighi internazionali, il potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, con l’eccezione del naviglio militare”. Essendo la Gregoretti una nave militare italiana, però, aveva tutto il diritto di sbarcare immediatamente. Inoltre la scelta di Salvini non si prefigura come atto politico, bensì come atto amministrativo, sostiene sempre il Tribunale dei Ministri. Questo per dire che Salvini non aveva discrezionalità nella scelta di far sbarcare o meno i migranti. La Costituzione e le convenzioni internazionali lo obbligavano a tutelare la libertà e la vita di quelle persone, facendole sbarcare.
Ciò che rende se possibile ancora più grave la mossa politica di Salvini, manifestando ancora una volta il suo sprezzo per le leggi e per le Istituzioni dello Stato, è il fatto di aver strumentalizzato anche la decisione a procedere contro di lui per farsi campagna elettorale in Emilia Romagna. Ha deciso di mettere sullo stesso piano se stesso e lo Stato, usando proprio questa equiparazione come arma di difesa: io sono lo Stato, nessuno mi può giudicare. E se ci provate sarò un martire. La Lega è riuscita a sovvertire i valori in campo: non si tratta più di giudicare se sia accettabile o meno calpestare i diritti umani in nome della propaganda, si tratta di provare a capire se in nome di un’elezione regionale sia “conveniente” o no permettere alla Giustizia di fare il suo corso.
Soprattutto per questo motivo chi voterà contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini non voterà su un singolo caso, bensì sceglierà se porre la convenienza politica, e le sue scadenze, al di sopra della legge. Non si dovrebbe permettere che l’incapacità di un uomo di assumersi le sue responsabilità mini l’equilibrio della nostra democrazia.
Foto in copertina di Antonio Masiello