Da qualche mese a questa parte, cioè dall’ascesa del nuovo governo al potere, c’è nell’aria una volontà implicita di stigmatizzare gli atti di umanità. Nell’era giallo-verde il bene viene seguito da un asterisco, è ondivago e può persino rappresentare un ostacolo politico. Chi pensa che sia un’esagerazione o un pensiero strumentalizzato forse non ha ancora letto la manovra appena approvata.
Dalla Croce Rossa alla piccola onlus di provincia, dalla Comunità di Sant’Egidio (che a Natale ha dato 60mila pasti ai poveri) agli istituti d’istruzione senza scopo di lucro, hanno tutti trattenuto il fiato quando nella Manovra è comparsa una voce inaspettata, una norma che cancella per questi enti l’Ires agevolata, che dal 12% passa al 24% e destabilizza l’intero Terzo settore. Si è subito parlato di tassa sul volontariato o di patrimoniale sulla solidarietà, termini che non si discostano troppo dalla realtà: cancellare l’articolo 6 del d.p.r. 601 risalente al 1973 (ovvero le agevolazioni sull’Ires) consiste nella perdita per il Terzo settore di 118 milioni nel 2019, e di 157 nei due anni successivi. Questi soldi verrebbero usati per comprare ambulanze, per assistere i disabili o per dare un pasto a chi non può permetterselo. In pratica il governo ha deciso di diventare la nemesi di Robin Hood, rubando ai poveri per alimentare le utopie di altri poveri (reddito di cittadinanza). Utopie, appunto.
Questa indecifrabile mossa ha una sola spiegazione: ai piani alti speravano che nessuno se ne accorgesse, che non si notasse una piccola voce in una manovra già di per sé scellerata. Ma così non è stato e le proteste non si sono fatte attendere. Franco Massi, presidente di Uneba (Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale), ha così commentato: “Penalizzare gli enti senza scopo di lucro, che hanno bilanci in pareggio e che non producono né distribuiscono utili, non va contro gli azionisti che non ci sono ma contro gli assistiti. Se la prendono con gli ultimi”. Il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, ha fatto notare che i governanti: “Dicono di aver sconfitto la povertà e compiono azioni che vanno a far male alla gente in difficoltà e applaudono”. Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo Settore, ha dichiarato: “Il governo dovrebbe ripensarci. Temo che si sia sottovalutato l’impatto di questa norma, una sorta di patrimoniale”. Il ripensamento alla fine è arrivato, anche perché la castroneria era troppo marchiana persino per il governo degli improvvisati.
Di Maio è stato il primo a mettere una pezza, dicendo: “Quella norma va cambiata nel primo provvedimento utile. Si volevano colpire coloro che fanno finto volontariato e ne è venuta fuori una norma che punisce coloro che hanno sempre aiutato i più deboli”. Conte è stato ancora più esplicito: “Devo assumermi le mie responsabilità. Quando si commette un errore e lo si riconosce, bisogna anche ammetterlo”. Queste retromarce aumentano ancor di più i dubbi sulle capacità di un governo che scrive norme dai terribili effetti collaterali, e se ne ravvede solo dopo aver ricevuto una pioggia di sacrosante critiche. Ad ammettere l’errore sono stati moltissimi esponenti del governo, esclusa colei che, con toni supponenti, è solita anteporre all’effettiva competenza le proprie cieche convinzioni: Laura Castelli.
Castelli, ormai esperta in gaffe su qualunque tema, ha detto: “Noi tassiamo i profitti delle no profit, mica tassiamo i soldi della beneficenza”. Peccato che, per legge, gli utili e gli avanzi delle associazioni di volontariato non possano essere distribuiti, a meno che non vengano destinati ad altre onlus con fini benefici. Quindi, ancora una volta, Castelli ha detto la propria senza minimamente sapere di che cosa stesse parlando. Ci sarebbe da ridere, se non fosse sottosegretaria all’Economia.
Secondo l’Istat, in Italia i volontari sono circa cinque milioni e mezzo, e tra questi più di 800mila sono impiegati in organizzazioni senza scopro di lucro, che sono oltre 300mila. La tattica di individuare le eventuali mele marce e utilizzarle per demonizzare l’intero settore è una prassi consolidata del governo giallo-verde. Basti pensare al trattamento riservato alle ong, ovvero le organizzazioni non governative che, in quanto onlus riconosciute dalla Farnesina, sono senza scopo di lucro. Ultimamente chi salva le vite in mare non è visto di buon occhio, come se facesse un atto eversivo. Di Maio è stato il primo a parlare di “taxi del mare”, mentre Salvini ha completato l’opera facendo diventare le ong, nell’immaginario collettivo, un covo di scafisti. Così, chi si prodiga per gli ultimi è automaticamente nel torto. Siamo diventati il Paese dove Gino Strada, che con Emergency garantisce da decenni cure mediche nei Paesi più poveri e devastati dalle guerre, viene additato come un nemico. Lo stesso Strada che un tempo il M5S indicava tra i papabili candidati alla Presidenza della Repubblica. Ormai fare del bene è passato di moda, è una pratica obsoleta che si avvicina pericolosamente al buonismo, ovvero il termine che usano i sovranisti per giustificare le loro derive razziste e xenofobe. Se prima si trinceravano in motti come “aiutiamoli a casa loro”, ora hanno trovato il modo per sconfessare anche quelli.
Silvia Romano ne è l’esempio più concreto. La cooperante di una onlus, rapita in Kenya più di un mese fa, è diventata oggetto di un odio viscerale e incontrollato che ha preso piede in rete. La sua colpa, secondo l’hater medio di Internet – ma non solo – è quella di “essersela cercata”. Come se andare in Africa per scopi umanitari fosse un capriccio che chi emette sentenze nascosto dietro lo schermo e forse non ha mai alzato un dito per aiutare gli altri può permettersi di giudicare negativamente. L’altro refrain legato alla vicenda di Romano è: “Con tanti poveri e bisognosi qui in Italia, doveva andare per forza in Africa?”. Posto che ormai nemmeno i poveri italiani vengono aiutati – e la norma inserita nella Manovra lo prova – viene da chiedersi quale sia l’origine di questo benaltrismo, se non un ennesimo diversivo per non ammettere un razzismo latente o una ritrosia nei confronti di chi si batte per gli ultimi. Quindi, riepilogando: aiutarli in Italia no, “a casa loro” nemmeno. In pratica: che morissero tutti.
Per fortuna esiste una parte sana del Paese che si distingue per civiltà e altruismo e che ne riconosce il valore. È il caso di Irma Dall’Armellina, che all’età di 93 anni ha deciso di andare in un orfanotrofio in Kenya come volontaria, nonostante i problemi di deambulazione. Il Kenya, la stessa terra scelta da Silvia Romano. Dall’Armellina ha ricevuto un’onorificenza dal presidente Mattarella, che l’ha inserita tra i 33 “eroi italiani” del 2018. Nel discorso di fine anno alla nazione, Mattarella ha voluto sottolineare proprio il valore delle associazioni che operano nel volontariato definendole “una rete preziosa di solidarietà”. Ha inoltre detto che “meritano maggiore sostegno da parte delle istituzioni”, e se qualcuno si è tappato le orecchie credendo che non si riferisse agli ultimi avvenimenti politici, il Presidente ha fugato ogni dubbio aggiungendo: “Vanno evitate tasse sulla bontà”.
Il volontariato non è una degenerazione da libro Cuore, un espediente per mettersi sotto i riflettori o un passatempo da radical chic annoiati. È bene rimarcare quest’ovvietà, perché negli ultimi mesi quel che sembrava ovvio ha cambiato i suoi connotati, attraverso una distorsione che i nuovi alfieri della politica hanno voluto attuare scientemente. Bisogna smettere di pensare che sia un’onta prodigarsi per gli altri, sostenere gli ultimi o anche solo avere un pensiero distante dagli schemi di chi schiuma rabbia e invita all’odio. È un paradosso, ma questi sono i tempi in cui è necessario combattere per togliere quell’asterisco dopo la parola “bene”.