I momenti di condivisione, come una manifestazione per la libertà di stampa, sono importanti, non c’è dubbio, ma hanno un valore più “interno” che esterno. Rafforzano e rinsaldano il senso di appartenenza a una categoria, ma quale altro effetto possono avere se agli slogan da piazza non si affiancano azioni concrete? Si è scatenata l’indignazione per gli attacchi del Movimento 5 Stelle contro la stampa. Mentre scrivo sono tanti i raduni e le manifestazioni di giornalisti in tutta Italia, armati di buona volontà e buoni hashtag come #GiùLeManiDallInformazione. Tornando a casa sarà bello poter raccontare di quando “Eravamo tanti perché nessuno può chiamarci puttane”. E poi? Poi basta, perché soffermandosi sull’insulto anche questa volta si è persa di vista la strategia che c’è dietro.
La guerra all’informazione e ai giornalisti non è una novità della versione governativa dei Cinque Stelle. Purtroppo questo Paese, e molti giornalisti, hanno scarsa capacità mnemonica, dato che il tentativo di screditare l’informazione canonica è da sempre una delle idiosincrasie dei pentastellati. Era ancora il dicembre 2013 quando Grillo lanciava sul Blog delle Stelle la rubrica “Giornalista del giorno”, che metteva alla gogna i professionisti che avevano osato parlare male di lui. Maria Novello Oppo de L’Unità fu la prima giornalista a entrare nella black list di giornalisti sgraditi al Movimento. Bastava criticare in qualsiasi modo la politica grillina per far parte di questo prestigioso club. Gli articoli e i giornalisti incriminati non erano passibili di querela, non presentavano come vere notizie false, non diffamavano nessuno. Semplicemente muovevano critiche, e la risposta era la messa all’indice, articolo e autore. E, cosa non secondaria, si chiamavano all’azione i lettori/elettori. Alla fine del post si leggeva infatti: “PS: segnalate gli articoli dei ‘giornalisti’ stile Oppo per la nuova rubrica del blog: ‘Giornalista del giorno’”.
Il punto è che lo scontro con i giornalisti, ieri come oggi, risponde ad una necessità molto chiara: la volontà di accreditare come reali solo le informazioni veicolate attraverso i propri canali, siano essi blog o gruppi social. Ma questo è un meccanismo che non hanno inventato i Cinque Stelle, ovviamente.
Fare ricerche nei meandri dell’internet regala sempre delle discrete gioie. E così basta digitare “Berlusconi contro giornalisti” per avere una dettagliata cronistoria di quando contro la stampa si alzavano gli scudi del Cavaliere e del suo partito. Sono convinto che non passerà inosservata la somiglianza, al limite della sovrapponibilità, fra le dichiarazioni di Berlusconi e quelle di Di Maio and Co.
Per esempio, in molti ricorderanno la scena della Merkel che attende spazientita il saluto dell’allora presidente del Consiglio mentre questi parla tranquillamente al telefono, diffusa su tutte le testate e i tg. Un’immagine entrata nell’epica berlusconiana e che però ai tempi aveva creato più di un fastidio al Cavaliere, che rispose indispettito agli attacchi della stampa. “Non voglio arrivare a dire di azioni dirette e dure nei confronti di certi giornali e certi protagonisti della stampa”, dichiarava Berlusconi, “Però sono tentato, perché non si fa così». Poi, quando gli si chiedeva che tipo di azioni avesse in mente, sentenziava: “Ma lei pensa che se io dico di non guardare più una televisione o altra non c’è nessuno che mi segue in Italia?”. Era il 2009, l’anno in cui l’offensiva di Forza Italia contro la stampa viveva il suo momento caldo e che sanciva la definitiva consacrazione della “macchina del fango”: il 3 settembre l’allora direttore di Avvenire Dino Boffo si dimetteva a causa della campagna contro di lui promossa da Vittorio Feltri. Attraverso delle accuse costruite ad arte – che lo stesso Feltri ammetterà essere false – l’ex direttore de Il Giornale attaccava Boffo su alcune vicende personali, ritenendo incoerenti le critiche rivolte dal direttore di Avvenire al presidente del Consiglio. Critiche. A chi gli chiedeva un commento alle vicenda, Berlusconi riprendeva: “Credo possiate leggere i giornali di oggi dove c’è tutto il contrario della realtà. Abbeveratevi della disinformazione di cui siete protagonisti. Povera Italia, con un sistema informativo come questo”.
Il parallelismo fra le dichiarazioni dei rappresentanti Cinque Stelle con quanto detto da Berlusconi non sta solo nella scelta lessicale, nell’identificazione dei nemici – quei “certi giornali” – o nelle minacce di ripercussioni. Ad accomunare il Cavaliere e i Cinque Stelle c’è anche la necessità di indottrinare il proprio elettorato – mosso, come quello grillino, da una passione simile a una fede calcistica – a informarsi sui canali “fidati”.
Come detto dallo stesso Di Maio infatti, per il Movimento l’informazione tradizionale rappresenta “Un argine che non permetteva di veicolare i nostri temi”. “Assodato che lì non c’era modo di veicolare i nostri temi, abbiamo creato un altro modello di informazione. Quello basato sulla rete”, ha detto il vice premier. “Oggi abbiamo un canale con cui quando lanciamo una campagna, per esempio quella dei vitalizi, riusciamo a battere tutto lo share dei tg e dei quotidiani ma anche dei canali generalisti delle tv nazionali.” E come funziona questa rete? Un’emblema è l’ormai celebere intervista manipolata di Jeroen Dijsselbloem.
Il 30 ottobre 2018 la pagina Facebook “MoVimento 5 Stelle Europa”, canale ufficiale degli europarlamentari del Movimento, pubblica il video di un’intervista a Jeroen Dijsselbloem, ex presidente dell’Eurogruppo, inventandosi traduzioni di dichiarazioni che nell’intervista originale non esistono. Il video, originariamente pubblicato dal sito di news complottista Pandora TV, è poi circolato su Facebook, fino a ottenere più di novemila condivisioni. L’operazione viene sbugiardata, ma due giorni dopo sul Blog delle Stelle viene pubblicato un post dove, invece di scusarsi per l’accaduto, il Movimento rilancia con il titolo “Cosa ha detto veramente Dijsselbloem”. Il post non solo difende la condivisione del video, ma attacca la stampa che l’ha smascherato, dicendo che: “Fare informazione significa anche raccontare queste verità che qualcuno, nostalgico dell’establishment finanziario, vorrebbe occultare”.
Un altro esempio recente risale al 30 agosto di quest’anno, quando si è tenuta l’asta per i titoli di Stato italiani, che ha visto la continua crescita dello spread tra Btp e Bund tedeschi, arrivato a toccare quota 285. Proprio per questo l’asta aveva registrato il tutto esaurito grazie ai rendimenti più alti per via dello spread. Rendimenti più alti vogliono dire più soldi per chi compra. E così, via XX Settembre ha collocato 2,25 miliardi di Btp a 10 anni pagando un tasso del 3,25%, in rialzo di 37 punti base rispetto al 2,87% della precedente asta dello scorso 30 luglio. Era dal maggio del 2014 che non si superava la soglia simbolica del 3%. Il Tesoro ha inoltre venduto 3,75 miliardi di Btp a 5 anni pagando un tasso del 2,44%, in rialzo di 63 punti base rispetto all’1,8% dell’asta precedente. È abbastanza evidente che se sei lo Stato che emette i titoli, e sei quindi anche quello che ci paga sopra gli interessi, il fatto che i tassi aumentino non è una cosa positiva. Infatti, rispetto all’ultima asta di aprile prima dell’esplosione dello spread, le scadenze emesse costeranno allo Stato un centinaio di milioni di interessi in più. In sostanza paghiamo di più per finanziare il nostro debito. Eppure sui canali Facebook del Movimento si esultava proprio perché i rendimenti erano saliti assieme agli investitori (che all’occasione nella narrazione grillina si trasformano in speculatori) e sul Blog delle Stelle la notizia veniva presentata come una vittoria, il segnale che la bontà del lavoro del governo era riconosciuta anche dai mercati. E la ciliegina sulla torta stava tutta nella chiusa del post: “Secondo voi leggeremo questa notizia sui giornali?”
Ecco in cosa consiste il modello di informazione di cui parla Di Maio: un modello che si regge in piedi solo se la fiducia nella “veridicità” delle notizie veicolate è massima. Per questo c’è la necessità di attaccare chi non fa parte di esso. Mentre accusi di ogni nefandezza l’informazione tradizionale fidelizzi il tuo elettorato, che sarà portato a pensare: “Sì, queste cose gli altri non le dicono perché fanno gli interessi dei poteri forti”.
Ma c’è anche un altro aspetto che permette un parallelismo fra Berlusconi e M5S, quando si parla di attacchi alla stampa: l’ombra del conflitto d’interessi. Se infatti il patron di Forza Italia era anche il patron di Mediaset, che veicolava la “sua” informazione, il Movimento, oltre alle decine di pagine Facebook a esso collegate, usa il Blog delle Stelle. Questo è gestito dall’associazione Rousseau, nella persona di Pietro Dettori. L’associazione a sua volta gestisce la comunicazione dei Cinque Stelle. Presiede “pro bono” l’associazione, Davide Casaleggio che è anche presidente della Casaleggio Associati, ideatrice della piattaforma online Rousseau poi donata all’omonima associazione, che percepisce dai parlamentari grillini 300 euro al mese. Ora, con tutta la buona volontà, davvero siamo sicuri che le loro notizie siano del tutto disinteressate?
Da questa mattina sul Blog delle Stelle ci sono due post: il primo è a firma di Alessandro Di Battista, parla di editori in conflitto d’interessi e, sulle orme di Grillo, stila una lista dei giornalisti “graditi e sgraditi”; il secondo invece ha il titolo “Il segreto di Pulcinella dell’informazione italiana“, e dice che “La stragrande maggioranza dei principali giornali italiani a tiratura nazionale è posseduto da editori in pieno conflitto di interessi”. Ma mentre il Movimento va dritto verso il suo obiettivo, la categoria di cui faccio parte manifesta in piazza per la libertà di informazione, ma per l’ennesima volta non ha capito perché viene attaccata.