Mentre 1,5 mln di italiani soffre di ludopatia lo Stato incassa 10 miliardi annui dal gioco d'azzardo - THE VISION
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Il gioco d’azzardo sembra un po’ una di quelle trappole per vespe che vengono realizzate con una bottiglia di plastica vuota e mezzo litro di birra. Le sostanze presenti nella bevanda attirano l’insetto ma, quando questo si infila nell’imbuto e finisce a contatto con il liquido, esso si trasforma in una trappola, costringendolo a dimenarsi fino allo sfinimento. È la stessa impressione che si prova leggendo le parole della deposizione di Nicolò Fagioli, calciatore della Juventus finito nell’occhio del ciclone per via del recente scandalo legato al calcioscommesse. “All’inizio un calciatore, avendo molto tempo libero, finisce con il provare l’ebbrezza della scommessa per vincere la noia. Con il passare del tempo diventa un’ossessione”. Fagioli ha dichiarato di aver chiesto prestiti di decine di migliaia di euro ad alcuni compagni di squadra, di aver contratto debiti per quasi tre milioni di euro e di aver ricevuto pesanti minacce fisiche, nell’ordine di “ti spezzo le gambe”, a causa dell’impossibilità di restituire i soldi persi. Parliamo di un calciatore che da giugno 2022 guadagna uno stipendio di un milione di euro netto l’anno e che all’improvviso si è trovato a dimenarsi tra debiti insanabili e una carriera calcistica appesa a un filo.

Da quando la notizia è diventata di dominio pubblico, sono imperversati commenti e giudizi sulla vicenda. Qualcuno, come la giornalista Giulia Zonca su La Stampa, afferma che “chi vuole capirlo mira solo a proteggere un sistema viziato”, anche se pare abbia confuso il concetto di “comprensione” con quello di “giustificazione” o “compassione”. Ciò che ha fatto il giocatore juventino è infatti ingiustificabile per questioni di etica e normativa sportiva, e naturalmente dovrà prendersi tutte le responsabilità delle proprie azioni (sconterà una lunga squalifica dopo il patteggiamento). Ma, allo stesso tempo, questa vicenda mette in luce una storia di solitudine e dipendenza di un ragazzo di ventidue anni che si è ritrovato in una situazione più grande di lui nonostante uno status privilegiato raggiunto già da qualche anno, grazie a un mestiere d’élite e a una prospettiva di carriera invidiabile. Una storia che racconta come il rischio di ritrovarsi intrappolati in questo vortice non solo non risparmi nessuno, ma si riveli particolarmente difficile da affrontare.

Il gioco d’azzardo patologico nel nostro Paese risulta essere un problema crescente. Lo dimostrano i dati raccolti e pubblicati nel Libro Blu, una pubblicazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che rileva una continua crescita della quantità di denaro investita nel gioco d’azzardo. Nel 2021 si parlava di una cifra complessiva di 111 miliardi di euro, salita a 136 miliardi nel 2022. Allo stesso tempo, i dati pubblicati da un recente studio dell’Istituto Superiore di Sanità sono eloquenti. Nel nostro Paese vengono individuati un milione e mezzo di “giocatori problematici”, ovvero persone che a causa del gioco hanno subìto conseguenze importanti a livello psicologico, oppure hanno visto compromettersi alcuni rapporti sociali, mentre risulta che almeno un italiano su tre giochi d’azzardo almeno una volta l’anno. Il problema riguarda ampiamente anche i minorenni, ai quali per legge il gioco sarebbe precluso.

Si calcola che siano circa 70mila i minori a rischio, dato che si può spiegare solo tenendo conto dell’enorme disagio sociale che le nuove generazioni sono costrette ad affrontare. Un minorenne avrebbe forse una tentazione inferiore a iniziare a giocare, infatti, se non si trovasse di fronte quella strutturale carenza di opportunità che caratterizza molte realtà sociali nel nostro Paese. Allo stesso tempo, la visione del denaro come unica misura di successo sociale, indotta da un consumismo ormai imperante, spinge spesso i ragazzi verso la ricerca di un guadagno facile e immediato. E, di fronte a una realtà che offre prospettive sempre più scarse e un futuro su cui aleggia una costante incertezza, spesso il gioco d’azzardo rappresenta una soluzione illusoria ma accessibile anche a chi non ha grandi disponibilità economiche in partenza. Il tema vero, comunque, è – come del resto è avvenuto nel caso di Fagioli – che a questo problema si collegano altre vicende che rendono la situazione ancor più complessa e difficile da affrontare. Sempre secondo l’ISS, il 27,7% dei giocatori ha ottenuto prestiti da società finanziarie, mentre il 14,2% ha chiesto, nel corso della propria vita, prestiti a privati.

La ludopatia è annoverata dal 2013 nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, sotto la dicitura GAP, Gioco d’Azzardo Patologico. Secondo la letteratura scientifica, questo disturbo presenta caratteristiche ben riconoscibili. La costante necessità di avere denaro a disposizione genera infatti una forte irrequietezza; questa condizione si associa inoltre a un bisogno ossessivo di giocare, anche al fine di risollevare situazioni finanziarie negative, che spesso si sono create proprio con il gioco. Il problema, naturalmente, non riguarda solo le fasce di reddito più alte, anzi. Una recente indagine di Caritas ha individuato dei caratteri piuttosto precisi per delineare le vittime preferenziali del gioco d’azzardo. I centri di ascolto dell’ente riportano che la maggior parte delle persone di cui si trovano a prendersi cura sono stranieri, disoccupati e, in generale, con un livello d’istruzione medio-basso. In sostanza, si individua una maggiore frequenza della problematica a “persone con minori risorse economiche e culturali”. La stessa indagine metteva in luce la difficoltà a far emergere il problema con il gioco. “Nel 23% dei casi,” si legge, “la ludopatia è stata individuata soltanto nel corso di svariati colloqui; nell’11% a indicarla è stato un parente della vittima, e solo nel 7% è stata confidata al volontario del centro di ascolto direttamente dalla persona interessata che ha chiesto aiuto proprio in qualità di giocatore”.

Se è difficile riconoscere di avere un problema con il gioco, infatti, lo è ancor di più accettare di trovarsi in una situazione in cui è necessario chiedere aiuto. È significativa la testimonianza del conduttore Marco Baldini, che raccontava in un’intervista di avere avuto una grande paura di “chiedere aiuto quando avrei dovuto chiederlo, e di essere additato come un appestato”, ritenendolo il più grande errore commesso durante la sua dura esperienza con la ludopatia, che lo aveva portato anche a pensare al suicidio. Il timore di una stigmatizzazione sociale rappresenta spesso un grosso freno infatti per chi, una volta spinta la propria situazione al limite, deve iniziare un percorso per uscirne.

A livello normativo, poi, emerge una situazione un po’ contraddittoria. È vero che esistono delle leggi che normano il gioco e in un certo senso cercano di tutelare le vittime della ludopatia. Il divieto di gioco per i minori di 18 anni, per esempio, si associa a sanzioni per i titolari di attività che consentono loro di entrare nelle aree destinate al gioco. Allo stesso tempo, lo Stato finanzia un Fondo per il GAP “al fine di garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette”. Tra l’altro, i fondi destinati a questo capitolo sono stati progressivamente ridotti di qualche milione, rispetto ai 50 previsti inizialmente. Bisogna ricordare, però, che il gioco d’azzardo vale per lo Stato un introito di più di 10 miliardi di euro annui. Quindi, tecnicamente, lo Stato stesso non ha alcun interesse nel contrastare un settore che consente di mettere entrate importanti a bilancio. Una parte della prevenzione viene affidata agli enti locali. Alcuni di essi, come la Regione Piemonte, avevano provato a incentivare i comuni a normare il gioco d’azzardo garantendo agevolazioni ai comuni certificati come “no slot”, anche se i numeri non erano stati particolarmente esaltanti

Certo, uno Stato che dice di tutelare e curare chi soffre di una dipendenza e, viceversa, dipende dagli introiti derivanti dal gioco deve prima di tutto ritrovare una coerenza etica. È ovvio che fare a meno di introiti importanti come quelli del gioco d’azzardo sarebbe problematico per le casse dello Stato, anche se trovare fonti di finanziamento ben più etiche, come una tassa sulle grandi ricchezze, non è impossibile. Di certo sarebbe doveroso quantomeno occuparsi di ridurre il problema. Non si parla di vietare il gioco d’azzardo legale, scelta che finirebbe soltanto per alimentare il gioco illegale, ma di imporre qualche restrizione. Un primo passo potrebbe essere una stretta sulle norme contenute nel D.L. 87 del 12 Luglio 2018, conosciuto come Decreto dignità, che di fatto vieterebbe “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro”. Un divieto prontamente aggirato grazie a diversi stratagemmi, tra cui la creazione di siti di intrattenimento il cui nome richiama quello delle agenzie di scommesse. Ma sono state addirittura le linee guida pubblicate dall’Agcom nel 2019 che hanno consentito di escludere le “rubriche ospitate dai programmi televisivi o web sportivi che indicano le quote offerte dai bookmakers”, perché considerati informazione e non pubblicità.

Di pari passo, c’è la necessità di investire a livello di aiuti nei confronti di chi vive questa dipendenza. Non solo in termini di percorsi riabilitativi, ma soprattutto in ambito di prevenzione. Le enormi difficoltà dei giocatori a riconoscere il problema come patologico vengono anche riportate da diversi psicoterapeuti. La paura di essere stigmatizzati a livello sociale rappresenta un grosso ostacolo, che sta solo alle porte del percorso lungo e impegnativo necessario per uscire da questo tunnel. Proprio per questo un importante strumento di prevenzione può essere rappresentato dalla comunicazione efficace e limpida per parlare di un fenomeno complesso. A maggior ragione in un periodo come questo, in cui una tematica seria come la dipendenza dal gioco d’azzardo sembra essere banalizzata da trasmissioni come La Zanzara, che propone in modo ricorrente personaggi come Nevio Ciriello e Filippo Romeo – ormai conosciuti come Nevio lo stirato e Filippo Champagne, facilmente trasformabili in fenomeni del web – perché raccontino propri problemi con il gioco attraverso siparietti che di fatto minimizzano le conseguenze di questa dipendenza.

La ludopatia è un tema serio che continua a rovinare la vita di molte persone appartenenti a tutte le fasce della popolazione. Si passa da personaggi noti a persone comuni, finite in questo vortice senza accorgersene, le cui storie sono molteplici e che vanno a intensificarsi tra le fasce più fragili della popolazione. Si assiste spesso a una frettolosa colpevolizzazione di situazioni che, se analizzate a fondo, celano frequenti dinamiche complesse: fragilità individuali, scarsità di strumenti culturali e comportamentali per far fronte a situazioni difficili, che possono presentarsi nella vita di tutti. L’importanza di comprendere le vittime del GAP sta proprio nella necessità di capire i meccanismi psicologici insiti in questa problematica, per lavorare sulla prevenzione e sull’aiuto di chi ne è ormai dipendente. Procedere di pari passo con una normativa più stringente e una sensibilizzazione più concreta è doveroso nei confronti di quel milione e mezzo di italiani che, oggi, nella trappola del gioco d’azzardo si sentono affogare.

 

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