La Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la cosiddetta sentenza “Roe v. Wade” del 1973, la storica decisione che per cinquant’anni ha garantito alle donne statunitensi il diritto all’interruzione di gravidanza, eliminando la tutela a livello federale. La bozza della decisione era stata già pubblicata il due maggio scorso, in esclusiva dal quotidiano Politico. Il fatto che i giudici si siano espressi in merito non è una sorpresa. Lo scorso dicembre, infatti, la Corte ha esaminato un caso inerente alla costituzionalità di una proposta di legge del 2018 per lo Stato del Mississippi (la Dobbs v. Jackson). Tale legge, nel caso entrasse in vigore nello Stato, vieterebbe la maggior parte degli aborti dopo le 15 settimane, cosa che la mette in contrasto con l’attuale precedente costituito dalla “Roe v. Wade”, che invece ne prevede 23.
Per più di una generazione di cittadini statunitensi, la “Roe v. Wade” è stata parte della mitologia legata alla storia dei diritti riproduttivi. Prima di questa sentenza, l’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti era sostanzialmente una questione regolata dai singoli Stati federali. Su cinquanta, solo quattro garantivano infatti una completa liberalizzazione dell’aborto, mentre in altri sedici era consentito solo in casi particolari, come la violenza sessuale, l’incesto, gravi malformazioni del feto o di pericolo per la vita della madre. Nei restanti trenta, l’aborto rimaneva invece una pratica totalmente illegale. All’inizio degli anni Settanta, nell’America travolta dalla controcultura e dalle lotte per l’emancipazione, due casi simili finirono davanti alla Corte Suprema. Uno è appunto “Roe v. Wade”, mentre l’altro è il meno noto “Doe v. Bolton. “Jane Roe” era in realtà lo pseudonimo di Norma McCorvey, una giovane donna texana che aveva cercato di terminare illegalmente una gravidanza indesiderata nel 1969. Henry Wade era invece il Procuratore distrettuale della Contea di Dallas incaricato di perseguirla. Con l’aiuto di due avvocati per i diritti civili, il caso di McCorvey arrivò alla Corte suprema, i cui giudici, nel gennaio del 1973, deliberarono a favore della facoltà delle donne di autodeterminarsi – con una maggioranza schiacciante di 7 a 2. La decisione fu presa in base a una particolare interpretazione del diritto alla privacy sancito dal quattordicesimo emendamento della Costituzione.
Grazie a questa sentenza negli USA cambiò completamente la legislazione in merito all’interruzione di gravidanza, con la conseguenza che anche gli Stati in cui veniva considerata un crimine erano comunque obbligati a permetterla entro la fine del secondo trimestre. “Roe v. Wade” entrava così nella cultura americana in un momento di grandi cambiamenti demografici e sociali, ma anche politici. Questi stessi cambiamenti, infatti, avrebbero di lì a poco contribuito a riposizionare completamente i due principali schieramenti. La difesa dei diritti riproduttivi non è infatti sempre stata una priorità dei liberali: l’elettorato cattolico e tradizionalista era inizialmente appannaggio dei democratici, mentre i repubblicani erano il partito che prometteva di tenere lo Stato fuori dalla vita privata dei cittadini. Non per niente, quattro membri su nove di quella stessa corte che riconobbe il diritto all’autodeterminazione delle donne americane erano stati nominati dal conservatore Richard Nixon.
Ma la politica è fatta di opportunità e scambi e così nel 1980 i repubblicani iniziarono un rapido riposizionamento rispetto all’aborto, che diventò presto una delle loro battaglie principali. Da una parte si trattava di un ammiccare al crescente movimento pro-life degli ambienti evangelici; dall’altra di drenare il partito democratico stesso del suo elettorato bianco e cattolico, disorientato dai cambiamenti portati dal movimento per i diritti civili e dalla liberazione sessuale degli anni Sessanta e Settanta. Ma la promessa di essere pro-life non sembrava sufficiente, e quindi ribaltare Roe per i repubblicani è diventata una vera e propria missione da Ronald Reagan in poi. La strategia è stata quella di nominare giudici della Corte suprema disposti a rimettere in discussione la sentenza, costruendo passo dopo passo una maggioranza antiabortista e aspettando poi il caso giusto.
A questa radicalizzazione della corte da parte dei repubblicani, i democratici, ora legati all’elettorato progressista, rispondono con nuovi giudici che minimizzano gli effetti delle nomine precedenti. Nel mentre, nell’opinione pubblica il sostegno alla libera scelta cresce insieme a una sempre maggiore polarizzazione dell’elettorato. Oggi, secondo un sondaggio del Pew Research Center, almeno sei americani su dieci ritengono che l’aborto debba essere legale e accessibile. Nel caso dell’elettorato democratico, questa preferenza si attesta all’80%, mentre per i repubblicani si ferma al 35%.
Basandoci quindi sull’attuale affiliazione politica dei governatori e sulle leggi precedentemente approvate – ma al momento bloccate dalla Corte suprema – è possibile farsi un’idea della nuova America all’indomani di questa decisione storica. Su cinquanta Stati, la metà potrebbe proibire o limitare sensibilmente l’aborto quasi immediatamente, rendendolo una caratteristica esclusiva degli Stati a guida democratica – situati sulla costa est e ovest e in parte al centro. Gli stati repubblicani, invece, sono concentrati al centro e al sud, in quello che appare come una sorta di grande cluster rosso. Alle donne che avranno bisogno di accedere ai servizi riproduttivi in questi Stati non resterà che spostarsi in quelli democratici, con tutte le difficoltà e le spese del caso.
Una donna residente in Mississippi dovrebbe in teoria guidare per oltre novecento chilometri solo per poter raggiungere una clinica in Illinois, attraversando Tennessee e Kentucky, e una volta raggiunta la meta i tempi potrebbero poi non essere rapidi, perché se è vero che questi stati blu sono potenzialmente isole sicure per le donne che desiderano abortire, è anche logico ipotizzare che le amministrazioni locali si troveranno a doversi occupare sia delle richieste delle residenti che delle donne provenienti da altri Stati. Inoltre, viaggiare e aspettare poi per giorni il proprio turno presuppone mezzi e possibilità economiche non trascurabili. In sostanza, come prima del 1973, i diritti riproduttivi al di fuori di pochi stati rischiano di diventare in primo luogo prerogativa esclusiva di chi se li può permettere.
Ma questa rilettura del quattordicesimo emendamento potrebbe avere anche altre sinistre conseguenze. Nella bozza, il giudice Samuel Alito specifica come la Roe sia diversa da altre sentenze scaturite dall’interpretazione di quell’emendamento, in quanto l’aborto non è specificato nella costituzione. Tuttavia, allo stesso modo, non lo sono neanche il matrimonio interraziale (del 1967), l’accesso ai contraccettivi (del 1965) o il matrimonio omosessuale (del 2015). In teoria, la Roe era stata definita una sentenza definitiva dagli stessi membri della Corte che ora vi si oppongono, per cui, secondo alcuni esperti, non c’è ragione di credere che altre sentenze non possano seguire lo stesso iter.
Data l’ondata di indignazione degli ultimi giorni è possibile che questo evento porti a un’importante mobilitazione popolare a supporto dei democratici, soprattutto in vista delle elezioni di metà mandato di novembre. È anche possibile che molte donne repubblicane che vivono attualmente in Stati conservatori non accettino di buon grado l’eventualità di una simile intromissione dello Stato nella loro vita privata e scelgano in futuro di dare il loro voto ai liberali. Ciò non toglie che i segnali che lasciavano presagire che la Roe fosse a rischio erano già sotto gli occhi dell’opinione pubblica sei anni fa.
L’allora candidata democratica Hillary Rodham Clinton aveva infatti sottolineato come il vincitore delle elezioni del 2016 avrebbe potuto appuntare fino a quattro giudici. Allo stesso modo, Trump aveva promesso in più occasioni di voler nominare candidati apertamente antiabortisti. Nonostante questo, l’affluenza nel 2016 è stata solo del 56%: un dato tutto sommato normale per le elezioni americane, che raramente superano il 60%, ma che ha anche permesso ai repubblicani di arrivare primi negli Stati con il miglior rapporto in termini di premio in seggi per il congresso e quindi di vincere la presidenza grazie al sistema dell’Electoral College – pur prendendo tre milioni di voti in meno rispetto ai democratici. Resta il fatto che il momento per rendere la Corte suprema più progressista era sei anni fa e che le conseguenze di questo mancato appuntamento con la storia si faranno sentire ancora per molti anni.
Allo stesso modo, anche in Europa i diritti riproduttivi femminili sono spesso ridimensionati dalle azioni di una minoranza radicale. In Italia, in particolare, l’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto garantito dalla legge 194 del 1978. Tale diritto è però minato dalla forte presenza di medici obiettori nel sistema sanitario nazionale, che in alcune regioni rendono di fatto impossibile usufruirne. Nel mentre, gli antiabortisti nostrani hanno accolto con favore la notizia proveniente dalla Corte americana. Dobbiamo allora tenere ben presente che anche per i diritti già conquistati è necessario un continuo impegno civico di salvaguardia. L’Atlantico, tutto sommato non è poi così ampio: gli Stati Uniti sono meno lontani di quanto sembra.