Quando un’attrice nera in Italia sarà ospite in tv per parlare del suo lavoro e non della sua pelle? - THE VISION

Ad aprire la seconda serata del Festival di Sanremo è stata l’attrice Lorena Cesarini, co-conduttrice della puntata, con un monologo sul razzismo. “A 34 anni scopro che non è vero che sono una ragazza italiana come tante. Io resto nera.“, ha esordito Cesarini, raccontando degli insulti ricevuti dopo l’annuncio della sua presenza alla kermesse canora. “Fino ad oggi, a scuola, sul tram, a lavoro, nessuno aveva mai sentito l’urgenza di dirmi che avessi la pelle nera. E invece, quando Amadeus ha dato la splendida notizia che sarei stata qui, certe persone hanno sentito proprio questa urgenza. Evidentemente per alcuni il mio colore della pelle è un problema”, ha continuato l’attrice, chiudendo il monologo con la lettura di alcuni passi del libro “Il razzismo spiegato a mia figlia” dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun.

Come hanno fatto notare  molti attivisti della comunità nera italiana però, il monologo di Lorena Cesarini è stata l’ennesima occasione in cui una persona è vittima, anche inconsapevole, di una società in cui il razzismo si manifesta nella sua sistematicità in molteplici modi. Il corpo nero è ancora considerato un corpo estraneo, la cui marginalizzazione si lega indissolubilmente anche alle questioni di genere e classe sociale e si alimenta a partire dall’assenza di una riforma adeguata della cittadinanza, dalla mancata o stereotipata rappresentazione nei supporti culturali e dall’incapacità italiana di fare i conti con il proprio passato colonialista. E così la persona nera è costretta a giustificare la sua presenza in quanto vittima, non per la sua storia o per le sue capacità.

Nonostante l’importanza della tematica, come ha raccontato la stessa Cesarini, il suo percorso professionale vede una laurea in Storia contemporanea e il successo come attrice, soprattutto per il ruolo di Isabel Mbamba in “Suburra: la serie”. Eppure sul palco dell’Ariston la sua presenza è stata strumentalizzata sulla base della sua identità, concentrandosi sul suo colore della pelle e su una narrazione vittimista e identitaria che ne cancella qualunque altra capacità professionale. Nel 2022 sarebbe bello riuscire a invitare attori e attrici neri in televisione non per parlare del colore della loro pelle, ma per porgli domande, per esempio, sulla propria arte. Così non è, ma nel frattempo prendere atto di tutta la strada che c’è da fare potrebbe essere un bel passo in avanti.

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