Tra il 1960 e il 1962, gli economisti Friederick Von Hayek e Milton Friedman pubblicarono due libri divenuti poi dei classici, rispettivamente, The Constitution of Liberty e Capitalism and Freedom, nei quali sostenevano che la libertà economica fosse imprescindibile per garantire la libertà individuale. La guerra fredda era anche una contrapposizione ideologica e in ottica anticomunista si provava a esaltare le società di mercato. Dopo più di trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, sarebbe importante però avere la lucidità di guardare con occhio critico alle coordinate politiche sviluppate in quegli anni. Seppur, infatti, sia ancora ben radicata l’idea per cui economisti e difensori del mercato sarebbero allo stesso tempo difensori della libertà, le contraddizioni manifestate dal capitalismo dovrebbero farci dubitare di questa relazione apparentemente virtuosa.
Nella seconda metà del Novecento diventarono preponderanti le politiche di stampo neoliberale. Si diceva che non c’era alternativa alle privatizzazioni e al mercato – notoriamente, “There is no alternative” – ma che non c’era nulla da temere, in quanto la libertà economica avrebbe contribuito alla libertà individuale dei cittadini. Margaret Thatcher, una delle principali fautrici di quella politica, in un discorso al consiglio centrale dei conservatori del 1976, riprese quasi letteralmente gli argomenti di Friedman sostenendo: “La libertà personale e la libertà economica sono indivisibili”. Questa posizione si diffuse nel mondo politico occidentale e l’Italia non fece eccezione. Silvio Berlusconi, nel famoso discorso del 1994 che sancì la sua discesa in campo, iniziò dicendo “L’Italia è il Paese che amo. […] Qui ho appreso la passione per la libertà” e, poco dopo, parlando dei comunisti, continuava, “Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo. Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l’apporto libero di tante persone tutte diverse l’una dall’altra”. L’allusione a una qualche corrispondenza tra libertà individuale e libertà economica fa da sfondo a quel discorso di Berlusconi e in seguito diventerà un cavallo di battaglia della sua retorica politica e dei suoi successori, protagonisti del mondo liberista e conservatore italiano. Basti pensare che, in un discorso a Piazza del Popolo del 2020, Matteo Salvini citò direttamente il nome di Margaret Thatcher dicendo proprio: “Non esiste libertà se non c’è libertà economica”.
Quando questi politici e pensatori utilizzano, forse in maniera pretestuosa, la parola libertà, sembrano avere particolarmente a cuore l’idea di “libertà dallo Stato”. Alludendo alle dittature del passato e del presente viene enfatizzato il fatto che lo Stato può rappresentare una minaccia alla libertà individuale e che, se vogliamo difendere la libertà, dobbiamo limitare l’ingerenza statale nella vita delle persone. Tuttavia, questa posizione è piuttosto problematica e semplicistica, se non del tutto arbitraria, in quanto lo Stato è solo uno di quei tanti fattori che può eventualmente limitare la libertà. Come indicato da Paula Jean Swearengin, nel documentario Alla conquista del Congresso, le ingenti attività nelle miniere di carbone nel West Virginia, in particolare a Coal City, riducendo enormemente la qualità dell’aria e dell’acqua hanno deteriorato le condizioni di salute dei residenti provocando molteplici casi di cancro nella popolazione. Se è vero che il libero mercato ha garantito agli imprenditori la possibilità di estrarre carbone, sono le stesse attività economiche che hanno causato l’innalzamento dei tassi di cancro. Perciò, se si sottolinea che il mercato ha garantito libertà agli imprenditori privati, si deve anche riconoscere che ha tolto delle libertà ai cittadini di determinate aree, come, per esempio, la libertà di vivere nel loro territorio respirando aria pulita.
Sembra esserci una certa pretestuosità nei ragionamenti che riguardano libertà e mercato e sarebbe importante fare un po’ di chiarezza. Alcuni filosofi politici sostengono che la libertà individuale debba essere intesa come una relazione tra l’individuo, i possibili fini dell’individuo, e i potenziali vincoli di altri individui. L’idea è che siamo liberi di fare tutto quello che gli altri non ci impediscono di fare. Se, ad esempio, ho del vino sul tavolo e nessuno mi impedisce di berlo, sono a tutti gli effetti libero di bere quel vino. Quest’idea di libertà è molto diffusa nel mondo liberista, a volte definita come “libertà negativa”. Tuttavia, questa concezione non dimostra che il mercato è garante di libertà, tutt’altro. In un saggio chiamato Freedom and Money, Gerald Allan Cohen, importante filosofo contemporaneo di tradizione marxista, ribadisce ancora una volta che nel sistema capitalista il potere economico è nevralgico per la distribuzione della libertà individuale. Nonostante quello che dicono liberisti e conservatori, infatti, essere a favore del mercato non significa avere a cuore la libertà. È vero che nel sistema capitalista il mercato diventa uno strumento di autodeterminazione, ma è solo al servizio di chi ha potere economico.
Per illustrare questo aspetto, possiamo immaginare di essere davanti a una discoteca: in casi come questo, abbiamo la libertà di entrare solo se abbiamo i soldi richiesti per il biglietto; la security ci impedirebbe di entrare se provassimo a farlo senza. Esempi come questo, secondo Cohen, evidenziano il funzionamento del sistema capitalismo-libertà: sono libero di vivere indisturbato in una casa se ho i soldi per pagare l’affitto, libero di mangiare al ristorante se ho i soldi per pagare il conto, libero di fare una crociera se ho i soldi per il biglietto, e via dicendo. Ma questo significa che, piuttosto che garantire libertà, il mercato distribuisce libertà a seconda del potere economico degli individui.
Inoltre, il mercato sancisce che chi ha potere economico può imporre le proprie scelte agli altri, violando così la loro libertà. Lo spiega bene il caso precedentemente menzionato del West Virginia: è chiaro che il mercato ha garantito all’imprenditore la libertà di estrarre carbone, ma allo stesso tempo l’imprenditore ha ridotto la libertà della popolazione di respirare aria pulita. In questo caso, per difendere la libertà della popolazione, lo Stato dovrebbe intervenire limitando il mercato e di conseguenza la libertà degli imprenditori; ma se questo è vero, la retorica antistatalista di liberisti e conservatori è fuorviante: lo Stato non è necessariamente una minaccia alla libertà individuale perché, così come può ridurla, può anche promuoverla.
Va riconosciuto che il mercato permette un’ampia scelta tra qualsiasi tipologia di prodotti, ormai facilmente ottenibili se si ha sufficiente potere economico. Tuttavia, dobbiamo comprendere se è questa la tipologia di libertà a cui aspiriamo durante le nostre vite. Se da una parte quest’ampia possibilità può influire positivamente sulla nostra vita, dall’altra questa “libertà di consumare” non è sufficiente per considerarci liberi, anzi. Sono famose le parole che fanno da incipit a Trainspotting: “Scegliete la vita; scegliete un lavoro, scegliete una carriera; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. […] Ma perché dovrei fare una cosa così?”. Questo passaggio mette chiaramente in discussione il valore della libertà che il mercato offre: piuttosto che la libertà di scegliere tra un maxitelevisore o un apriscatole elettrico, ci sono altri aspetti della nostra vita in cui sembra importante essere liberi, come la possibilità di gestire il proprio tempo autonomamente.
Tuttavia, nel sistema capitalista, gli individui sono schiavi dei loro bisogni e della necessità di creare reddito per mantenersi, anche a condizione di spendere gran parte del loro tempo in attività che non suscitano il loro interesse e di vivere in case anguste solo perché vicine ai posti di lavoro. Questa sembra essere tutt’altro che libertà. Nel suo libro How to Be an Anticapitalist in the 21st Century, Erik Olin Wright, sociologo e attivista statunitense, sostiene che un reddito di base universale potrebbe essere decisivo per garantire libertà all’interno del sistema capitalista. Se almeno questa condizione si verificasse, le persone avrebbero la capacità di gestire le proprie attività economiche autonomamente, di dire “no” alle pessime condizioni di lavoro dell’epoca capitalista, di dedicarsi ad attività creative senza essere schiave dell’idea di dover costantemente creare reddito.
Nonostante quel che dicono alcuni economisti, politici e pensatori, consacrare il mercato come strumento di libertà è illusorio. Il mercato può garantire una vasta disponibilità di prodotti tra i quali scegliere ma, all’interno del sistema capitalista, questa è distribuita attraverso la ripartizione ineguale del potere economico e, per giunta, questa libertà di scelta sembra essere di dubbio valore. Piuttosto che provare ad ampliare costantemente la libertà all’interno del mercato, potrebbe essere importante comprendere quali sono gli aspetti della vita in cui gli individui dovrebbero essere in grado di scegliere autonomamente e cercare di creare le condizioni affinché ciò accada. Se invece lasciamo la discussione sulla libertà a conservatori e liberisti, perderemo l’occasione di comprendere quali potrebbero essere le condizioni di cui abbiamo bisogno per vivere liberi in società.