Come temuto da tempo, il Texas ha appena reso effettiva la legge sull’aborto più restrittiva degli Stati Uniti. Con la SB8 non sarà possibile interrompere la gravidanza nel momento in cui si può percepire l’attività cardiaca dell’embrione, cioè dopo le sei settimane di gestazione – un lasso di tempo molto breve, in cui spesso non ci si accorge nemmeno di essere incinte. La legge non ammette eccezioni, nemmeno in caso di stupro o di incesto e prevede anche delle ricompense fino a diecimila dollari per chiunque aiuti le autorità a individuare medici o cliniche che pratichino aborti in maniera illegale.
L’arrivo di questa legge non è del tutto inaspettato, visto che si tratta di una storia che va avanti da dieci anni, ma si tratta comunque di qualcosa che nessuno pensava potesse davvero accadere. Il Texas è infatti uno degli Stati ad aver adottato il cosiddetto “heartbeat bill”, la legge del battito del cuore, insieme ad Alabama, Georgia, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Missouri e Ohio, ma in tutti questi altri Stati la legge ha incontrato ostacoli legali che ne hanno impedito l’attuazione. A dare il via libera al Texas con una decisione che molti commentatori hanno definito “senza precedenti” è stata infatti la Corte Suprema, a maggioranza repubblicana. Durante la sua presidenza, Donald Trump ha nominato tre giudici della Corte Suprema, ribaltandone l’equilibrio a favore della sua componente conservatrice. L’ultima nomina è avvenuta poco dopo la morte della giudice progressista Ruth Bader Ginsburg il 18 settembre del 2020, il cui incarico è stato assunto nell’ottobre dello stesso anno dalla conservatrice e antiabortista Amy Coney Barrett.
La Corte Suprema statunitense, oltre a ricoprire una funzione simile alla nostra Cassazione, ha anche il compito di risolvere le controversie fra Stati, di pronunciarsi su casi di importanza nazionale e infine di intervenire nei casi in cui una legge nazionale violi una legge federale. Negli Stati Uniti l’aborto è stato depenalizzato nel 1973 proprio da una sentenza della Corte Suprema, la famosa “Roe v. Wade”, che si pronunciò su un caso di una donna che voleva abortire in Texas. I vari Stati hanno poi approvato le proprie legislazioni sull’aborto, pur rispettando l’unico principio stabilito dalla sentenza, e cioè che non è possibile interrompere la gravidanza dal momento in cui il feto può vivere autonomamente al di fuori dell’utero.
Non è la prima volta che la Corte Suprema si esprime su una legge nazionale che tenta di limitare l’accesso all’aborto. A giugno dello scorso anno, quando Ruth Bader Ginsburg era ancora in vita, aveva stracciato una legge della Louisiana che avrebbe imposto il ricovero ospedaliero, facendo sì che un solo ospedale in tutto lo Stato potesse eseguire l’operazione. Anche in questo caso, leggi fotocopia sul cosiddetto “admitting privilege” erano passate in ben otto Stati prima di essere bloccate dalla Corte. La nuova strategia antiabortista è passata quindi al battito fetale, che gli anti choice considerano la prova della vita autonoma del feto, nonostante ciò non abbia alcuna base scientifica. Il primo tentativo di far passare una simile legislazione è avvenuto nel 2013 in Ohio, su pressione del gruppo cristiano Faith2Action, che si definisce “il luogo di nascita dell’heartbeat bill”. La legge all’epoca non passò (nonostante un Parlamento a maggioranza repubblicana), ma funse da modello per tutte quelle successive.
Il modello delle leggi-fotocopia sul battito fetale è stato fornito dal gruppo di giuristi American Center for Law and Justice, presieduto dall’ex avvocato di Trump Jay Sekulow. Secondo il Forum sui diritti riproduttivi del Parlamento europeo, l’American Center for Law and Justice avrebbe investito più di 15 milioni di dollari in propaganda anti-gender e antiabortista in Europa. Gregor Puppinck, direttore della divisione europea European Center for Law and Justice, il giorno prima della sentenza che ha vietato ogni forma di interruzione di gravidanza in Polonia, inviò un documento alla Corte costituzionale polacca per ribadire che il diritto internazionale dei diritti umani non prevede quello di aborto. Negli Stati Uniti, i gruppi di pressione puntano molto sulle leggi-fotocopia per portare avanti i propri interessi. Secondo un’indagine di USA Today, tra il 2010 e il 2018 il solo Mississippi avrebbe introdotto 774 leggi-fotocopia, tra cui l’heartbeat bill.
A maggio, la Corte Suprema era stata chiamata a pronunciarsi proprio su una legge del Mississippi che vieta l’aborto dopo quindici settimane, ma la sentenza verrà emessa in autunno. Secondo un’analisi del New York Times, pubblicata in occasione dell’inizio del dibattimento sul Mississippi, è difficile che una vittoria degli antiabortisti possa portare in automatico a un ribaltamento della Roe v. Wade e, anche se fosse, l’aborto non diventerebbe illegale in tutti gli Stati Uniti. Tuttavia, si creerebbero enormi disparità territoriali per l’accesso al servizio: il 41% delle statunitensi rimarrebbe senza cliniche abortive vicine e la media di chilometri da percorrere per raggiungerne una passerebbe da 56 a 450. Il numero delle interruzioni di gravidanza legali diminuirebbe del 14%; una vittoria per gli antiabortisti, ma che più realisticamente si tradurrebbe in 100mila procedure illegali e a rischio in più all’anno. Le restrizioni sull’aborto infatti non cancellano l’aborto, ma lo rendono solo più pericoloso.
Dall’inizio dell’anno, sono novanta le leggi proposte che pongono una qualche limitazione all’aborto, un record imbattutto dal 1973, di cui il 90% in Stati già considerati “ostili” rispetto alla pratica. In Idaho, Oklahoma e South Carolina è in vigore la stessa legge appena approvata in Texas; in Montana il termine massimo è stato fissato a venti settimane; in South Dakota potrebbe essere vietato abortire in caso di diagnosi di sindrome di Down e in Arizona in caso di malformazioni del feto; in Arkansas e Oklahoma l’aborto potrebbe essere vietato in ogni caso a meno che la madre non sia in pericolo di vita. Di fronte a un possibile ribaltamento della Roe v. Wade, alcuni Stati sono già corsi ai ripari. Il New Mexico, per esempio, ha adottato una legge che renderebbe ineffettiva una possibile cancellazione della sentenza.
La sentenza sull’aborto in Texas, oltre ad avere drammatiche conseguenze per le texane, rafforzerà il potere e la strategia dei gruppi antiabortisti, determinati a fare a pezzi la legislazione sull’aborto un passo per volta. Vista l’influenza che questi gruppi hanno anche in Europa, si tratta di una notizia che dovrebbe preoccupare anche noi: secondo il sito d’inchiesta OpenDemocracy, i gruppi fondamentalisti cristiani americani avrebbero speso circa 90 milioni di dollari in Europa negli ultimi anni. Uno di questi, Heartbeat International, con sede in Ohio (come si è visto, il primo Stato a emanare un heartbeat bill) è attivo anche nel nostro Paese grazie alla federazione con il Movimento per la vita. Una delle principali battaglie di Heartbeat International è quella sull’abortion reversal pill, una terapia che dovrebbe annullare gli effetti dell’aborto farmacologico già avviato e sulla quale non c’è alcuna garanzia di sicurezza o di efficacia. Tuttavia, in North Dakota è stata presentata una legge che obbliga i medici a informare le pazienti di questa possibilità.
È ormai chiaro che le minacce alla sopravvivenza della Roe v. Wade cominciano a essere troppo numerose per continuare a considerarle un fenomeno di nicchia che interessa solo i fondamentalisti religiosi. Si tratta di un disegno internazionale con radici che potrebbero essere troppo profonde da debellare.