Nelle ultime settimane, il nome di Khaby Lame si è guadagnato i titoli dei quotidiani italiani: è “il re di TikTok”, “l’italiano più seguito di TikTok”, “il torinese che batte Zuckerberg”. In effetti Lame è un vero e proprio fenomeno della rete: prendendo in giro i più assurdi tutorial di life hack si è guadagnato in brevissimo tempo 61 milioni di follower su TikTok e 16 milioni su Instagram, superando anche quelli del creatore di Facebook. La sua è stata raccontata come una storia di riscatto: un ragazzo di vent’anni, nato in Senegal e cresciuto nelle case popolari, che dopo essere stato licenziato a causa della pandemia grazie a un’intuizione semplice ma geniale diventa non solo famosissimo, ma anche ricco. Presto, però, qualcuno si è accorto che la favola di Lame non era perfetta: nonostante i suoi successi, il TikToker non ha ancora la cittadinanza italiana. Lame infatti non è nato in Italia, sebbene sia arrivato nel nostro Paese all’età di un anno e sia cresciuto qui, frequentando le scuole italiane, e in un’intervista ha spiegato che il fatto di non essere cittadino italiano gli sta dando anche problemi per il suo lavoro, rendendogli difficile ottenere il passaporto per andare negli Stati Uniti.
La situazione di Khaby è condivisa da migliaia di giovani di origine straniera nati o cresciuti in Italia. Al momento, infatti, la cittadinanza si ottiene automaticamente solo per nascita (ius sanguinis), cioè se almeno uno dei due genitori è in possesso della cittadinanza italiana, per adozione da parte di un cittadino italiano oppure al compimento del diciottesimo anno di età se i genitori sono stranieri e se si dimostra di aver vissuto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Si può richiedere, invece, nel caso di matrimonio con un cittadino italiano oppure per residenza. I cittadini stranieri ed extracomunitari diventano italiani solo dopo aver vissuto dieci anni nel nostro Paese e dimostrando di aver acquisito un reddito personale e familiare di almeno ottomila euro.
I tentativi di riformare la cittadinanza sono stati diversi: si è a lungo parlato di uno ius soli temperato, proposta avanzata con un ddl nel 2015 e approvata dalla Camera ma non dal Senato, che prevedeva la possibilità di ottenere la cittadinanza per i minori stranieri nati in Italia con un genitore in possesso del permesso di soggiorno permanente o di lungo periodo; e anche di uno ius culturae, già presente nel ddl del 2015 e riproposto nel 2018, di cui avrebbero beneficiato i minori stranieri nati in Italia che avessero completato almeno le elementari. Il tema è tornato alla ribalta nelle ultime settimane anche a causa delle dichiarazioni di Enrico Letta, che ha citato lo ius soli nel suo discorso di insediamento alla segreteria del Pd e che nei giorni scorsi è tornato sull’argomento, definendolo “una battaglia che faremo non per una questione elettorale, ma per il futuro dell’Italia”.
In effetti, al 1° gennaio 2020, i minori stranieri iscritti alle anagrafi comunali erano un milione e 78mila, a cui si aggiungono anche i neomaggiorenni che non hanno ancora ottenuto la cittadinanza a causa di attese e lungaggini burocratiche. Sono tante le cose che possono andare storte nel processo di richiesta: anche se con i Decreti sicurezza l’attesa massima è passata da quattro anni a uno (prorogabile fino a tre), non è sempre facile reperire tutti i documenti necessari, e anche un solo soggiorno all’estero (a volte persino un Erasmus) può pregiudicare l’esito della domanda, senza contare la questione del lavoro che va mantenuto nel tempo.
Ci sono poi casi come quelli di Lame: persone molto giovani che vivono in Italia da più di vent’anni ma che per il nostro Stato non sono italiane per il semplice fatto che non sono nate sul territorio nazionale. Tuttavia, siccome Khaby è “il re di TikTok” e non un ragazzo qualunque, il fatto che sia un “non italiano” – come è stato definito – rende la sua storia un’anomalia, come se ci si dovesse sorprendere che una persona di così grande successo, che all’estero viene riconosciuta come nostra connazionale, non sia italiana. È vero, che Khaby Lame non sia un nostro concittadino è assurdo e ingiusto, ma non perché si tratta di una celebrità, ma perché è assurdo e ingiusto che milioni di ragazzi, italiani a tutti gli effetti, non abbiano la cittadinanza, e spesso non abbiano nemmeno la prospettiva di poterla ottenere in tempi brevi.
Lo stupore per il fatto che Khaby Lame non sia un “vero italiano” pone anche un altro aspetto insidioso, cioè l’idea che la cittadinanza sia qualcosa che ci si deve guadagnare: è bravo e simpatico, la cittadinanza se la merita! Ma un pensiero simile, di fatto, non tiene conto che nessun italiano nato da genitori italiani ha la cittadinanza perché è una brava persona, è talentuoso, famoso o ha milioni di follower: l’unico merito, se così si può chiamare, è essere nato nel posto giusto e con i genitori in possesso dei giusti requisiti.
Tuttavia, la legge italiana prevede proprio una scorciatoia basata sul merito: secondo l’articolo 9 della legge 91/92, si può infatti ottenere la cittadinanza per aver “reso eminenti servizi all’Italia”, un evento che si è verificato poche volte dall’approvazione della legge e legato a circostanze davvero eccezionali. È il caso, ad esempio, dell’atleta Yassine Rachik, reso italiano con un decreto del presidente della Repubblica nel 2015. O di Ramy Shehata, che con un compagno di classe di origine marocchina sventò il dirottamento di un scuolabus delle medie nel 2019 chiamando le forze dell’ordine. E poi ci sono casi in cui le procedure vengono accelerate o semplificate, perché la cittadinanza è necessaria: senza, ad esempio, non si può partecipare a determinati eventi sportivi. Fece scalpore lo scorso anno il caso del calciatore uruguaiano Luis Suarez che la ottenne in due settimane, anche grazie a un esame di italiano concordato su cui ora sta indagando la procura di Perugia. Questi casi, dai più limpidi a quelli più discutibili, sembrano suggerire che italiano è solo chi è capace di portare un indiscutibile valore aggiunto all’Italia. L’importante, però, è che questo valore si traduca in qualcosa di eccezionale, che si può vedere, misurare e celebrare: non basta fare attivamente parte della società e avere una vita come tante.
E infatti italiani non sono i milioni di stranieri che lavorano e contribuiscono al Pil italiano, ma che non portando lustro al nostro Paese, non possono essere sbandierati come orgoglio nazionale o sfruttati per lo storytelling aspirazionale. Il successo di Khaby Lame è stato spiegato come un caso di “genio italiano”, fatto che a lui non ha garantito la cittadinanza e che comunque non può essere usato come fattore discriminante per ottenerla: anche chi non è un genio ha comunque diritto a votare, viaggiare, partecipare alle gare sportive o ai concorsi pubblici indetti dal Paese in cui è cresciuto e in cui vive da decenni, proprio come accade per tutti gli italiani bianchi nati da genitori italiani bianchi che non brillano per chissà quali straordinarie capacità, ma non per questo non vedono riconosciuti i propri diritti.
C’è, insomma, un certo grado di utilità che ogni persona razzializzata in Italia deve raggiungere per essere considerata italiana. È la stessa retorica che si nasconde dietro gli sportivi neri che giocano nelle nostre squadre: sono idealmente nostri connazionali finché vincono e portano prestigio alla nazione, ma smettono di esserlo nel momento in cui, ad esempio, denunciano il razzismo del nostro Paese. Non si tratta di una retorica di destra: anche a sinistra la regolarizzazione dei migranti è considerata non tanto come qualcosa di giusto, quanto più di necessario: i migranti sono utili, fanno tanti figli e fanno i lavori che nessuno vuole più fare. In una parola, ci servono.
Così, i diritti si trasformano in qualcosa di negoziabile, che si commisura in base a quanto ci si è comportati e ci si comporta bene e non sono più qualcosa che ci spetta dalla nascita, in maniera indistinta e universale. L’augurio allora è che la cittadinanza non venga data solo a Lame, ma anche a tutti quegli italiani di seconda generazione che la aspettano ormai da troppi anni, e che ciò venga fatto non grazie a una concessione speciale, ma grazie a una legge valida per tutti. Perché Khaby Lame sarà anche il re di TikTok, ma per il suo Paese non è nemmeno un cittadino qualunque.