Fra i molti dati raccolti nel 32° Rapporto Italia di Eurispes, istituto di ricerca fra i più attivi e attendibili del nostro Paese, un paio in particolare hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica; secondo lo studio infatti il 15,6% degli italiani afferma che l’Olocausto non sia mai avvenuto, mentre il 16,1% è concorde nel ritenere eccessivo il numero delle vittime storicamente riportato. Queste cifre, già gravi se prese singolarmente, assumono tratti inquietanti se confrontate con lo stesso dato rilevato nel 2004, che vedeva i negazionisti della Shoah fermarsi a un più fisiologico 2,7%. Un tale incremento non può lasciare indifferenti e dovrebbe anzi al più presto essere analizzato per quello che è, ovvero l’evidenza incontestabile di quell’insieme di sentimenti, credenze e pregiudizi razziali che negli ultimi anni è tornato ad attraversare l’Italia come l’Europa.
A riprova di questo, la panoramica pubblicata lo scorso novembre dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra) riguardante i dati ufficiali forniti dai più importanti Paesi membri relativi allo scorso decennio, dal 2008 al 2018, conferma tendenze poco incoraggianti. Una media del 39% delle persone ebree intervistate dichiara infatti di essere stata vittima di molestie o aggressioni di matrice antisemita nei cinque anni precedenti alla ricerca, mentre solo il 19% di esse afferma di aver denunciato l’evento alla polizia o alle autorità competenti. Anche per quanto riguarda l’Italia l’ultimo dato disponibile risale al 2018, quando i reati d’odio contro gli ebrei, investigati dalla Digos, sono stati 56, in evidente aumento rispetto ai 32 dell’anno prima. Da sottolineare poi il dato dei fermi: dal 2010 al 2018 solo 7 persone nel nostro Paese sono state effettivamente arrestate per condotta criminale riconducibile a episodi antisemiti.
Queste cifre, fornite alla Fra direttamente dal Ministero dell’Interno e perciò inoppugnabili, sembrano però non tenere conto delle varie forme e dei diversi canali attraverso cui può avvenire la discriminazione. Non si spiegherebbe altrimenti il dato ben più agghiacciante rilevato dall’Osservatorio sul pregiudizio antiebraico contemporaneo, secondo cui sempre nel 2018 in Italia sarebbero stati addirittura 181 i casi di molestie, di cui una buona parte avvenuta online. È sicuramente la cifra più alta registrata nell’ultimo decennio.
Oggi, in Italia, la situazione appare sempre più incancrenita e pronta ciclicamente a esplodere in recrudescenze isolate quanto rappresentative. Proprio nell’ultimo periodo, con l’approssimarsi della ricorrenza della Giornata della Memoria, siamo stati tutti testimoni di una sequenza di attacchi antisemiti nei confronti di ebrei o figli di partigiani, come a Bologna, Torino e Cuneo. L’individuazione del bersaglio e la sua delirante messa in accusa, il disegno di una stella a cinque punte e una scritta dall’eco nazista sulla porta: “Juden hier”, “Qui ci sono ebrei”. Questo per esempio – ma è solo l’ultimo caso dei diversi che cronicamente affollano i nostri spazi pubblici, dagli stadi ai muri delle città – è successo ad Aldo Ricolfi, figlio della staffetta partigiana Lidia Beccaria Ricolfi, deportata nel campo di Ravensbrück nel 1944. Questo accade in Italia, nel 2020, ed è problema reale che necessita di una riflessione seria e radicale.
In un recente studio redatto dall’istituto di ricerca triestino Swg, inerente all’evoluzione del rapporto fra gli italiani e il Giorno della Memoria dal 2014 al 2020, si calcola che poco meno di sei italiani su dieci sappiano con esattezza che ricorrenza si celebri il 27 gennaio, mentre per il 67% degli intervistati la maggioranza del Paese sarebbe poco o per nulla coinvolta nel ricordo della Shoah. Significativo poi il dato secondo cui l’appartenenza politica conduce a leggere i fatti attraverso ottiche differenti e talvolta diametralmente opposte. È singolare pensare come, dal 2017 ad oggi, solo per gli elettori dei partiti di destra si sia registrata una drastica riduzione di chi riconosce la diffusione di un atteggiamento antisemita nel Paese (-10 punti percentuali): in special modo gli elettori di Lega e Fratelli d’Italia, che per il 17% e il 14% del campione ritengono rispettivamente retorico o inutile ricordare il genocidio degli ebrei e delle altre vittime del nazismo attraverso il Giorno della Memoria. Per finire, il numero di denunce per atti discriminatori segnalati all’Oscad sarebbe arrivato a superare abbondantemente le mille unità annue – 1.111 per la precisione.
Il nodo è certamente storico e umano, ma le cause profonde di quel 15,6% di persone che nega la Shoah non possono non essere ricercate nell’attuale assetto politico e in quella propaganda nazionalista che pare aver attecchito molto bene nell’opinione pubblica del Paese, portando la destra sovranista a essere verosimilmente la prima forza di coalizione alle prossime tornate elettorali. Un dato che atterrisce, perché rende netta la sensazione di trovarsi di fronte ai frutti velenosi di quello che una determinata parte politica sta da anni seminando, ma che si comprende meglio se visto come la consequenziale reazione a una serie sterminata di episodi che negli ultimi anni, fra un post e l’altro, ha contribuito a minare le fondamenta della nostra democrazia. Se è vero che i cittadini corrispondono ai politici che li rappresentano, come si può non pensare che il brutale e inaccettabile sdoganamento di toni offensivi – e spesso xenofobi – attuato dalla macchina propagandistica di Matteo Salvini e Giorgia Meloni non influisca nel legittimare opinioni insostenibili, alimentando i conflitti sociali in un’atmosfera di crescente diffidenza – che diventa facilmente odio e discriminazione nei confronti di stranieri, minoranze, diversi? Quel 15,6% è solo la ferita più fresca e superficiale di un corpo comunitario e sociale che già da tempo viene attaccato.
D’altronde l’Italia è ancora quella nazione in cui Alessandra Mussolini, nipote del Duce e dalla cui bocca non sono mai uscite parole di condanna verso l’ideologia e l’operato del nonno, può permettersi di definire Liliana Segre, sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz, una “strega di Biancaneve fomentatrice d’odio”. L’Italia è anche quella nazione in cui per le continue minacce ricevute Segre è costretta a vivere scortata dallo Stato e in cui un ex ministro dell’Interno può decidere, per meri fini elettorali, di sostituirsi alla legge e citofonare a casa della gente, istituendo a favore di telecamera un processo sommario nei confronti di cittadini inermi senza il minimo scrupolo. Questa è la morte dello Stato di diritto, in nome di pratiche che riportano al totalitarismo.
L’Italia poi, sempre secondo lo studio di Eurispes, è quel Paese in cui si persevera nella sistematica sottovalutazione del fenomeno antisemita: per meno della metà del campione (47,5%) gli atti di antisemitismo avvenuti in Italia sono il segnale di un pericoloso aggravamento della situazione, mentre per il 37,2% sono semplici bravate messe in atto per provocazione o per scherzo. In un contesto nel quale molti dei principali indicatori delineano un’Italia sempre più chiusa e preoccupata – il 35,2 % del Paese risulta convinto che gli immigrati tolgano il lavoro agli italiani – la risposta dovrebbe essere chiara e la battaglia farsi culturale.
Questo problema non può certo essere etichettato attraverso la semplice etichetta dell’ignoranza. Certo, posizioni del genere nascono dalla mancanza di conoscenza e di capacità critica di lettura del reale, ma questa ignoranza è stata nutrita e coltivata proprio da chi vuole sfruttarla per ottenere potere. Il problema quindi è molto più grave, in quanto non ascrivibile a una mancanza del singolo cittadino, ma a un cultura impoverita e ormai diffusa in larga scala. D’altronde non è raro che ad assumere posizioni discutibili, talvolta esplicitamente inneggianti all’ideologia nazifascista, siano anche professori universitari o insegnanti di liceo, persone acculturate e ben consapevoli di ciò che fu e significò lo sterminio degli ebrei.
È complesso capire come affrontare una questione così trasversale e decisiva per la salvaguardia di quella identità antifascista su cui si basa la nostra Costituzione. È senz’altro giusto e doveroso celebrare ricorrenze e stimolare il più possibile il ricordo degli orrori dell’Olocausto affinché non si ripetano, ma questo evidentemente non basta e forse non è mai bastato se pensiamo a quante minoranze ancora oggi vengono discriminate per ragioni religiose, etniche o semplicemente economiche, anche in Italia. In una società come la nostra, in cui le verità storiche si fanno sempre più soggettive e falsificabili, è fondamentale lottare per disinnescare il pregiudizio che trasforma in nemici chiunque non ci assomigli o non risponda ai nostri bisogni, nel timore che l’altro debba sempre, per forza, privarci di qualcosa, invece di donarcela. Del resto, già Hannah Arendt ci aveva spiegato che la banalità del male consiste proprio nel suo carattere irrazionale, fine a se stesso, e nella sua connaturata presenza nell’essere umano. Per combatterla oggi servono impegno e responsabilità: una politica che torni compatta a rispettare regole civiche ineludibili, una scuola in grado di formare il senso critico dei cittadini attraverso conoscenze storiche approfondite e una sana discussione, media che invece di aizzare polemiche sterili aiutino a fornire gli strumenti per comprenderle e per placarle, infine una società aperta e coraggiosa, capace di ricordare e di prendere posizione. Schierarsi contro l’oblio e la falsità è necessario, ma è possibile solo quando si hanno una visione e un orizzonte morale che permettano di riconoscerle come tali.