Una delle frasi più pronunciate nelle ultime settimane è: “Da oggi anche l’Italia comincia a dire no ai migranti.” Il ministro dell’Interno Matteo Salvini lo ripete ogni giorno a mo’ di preghiera, il giornale di Casapound, Il primato nazionale, lo ha ribadito in un post ripreso perfino da Rai Sport e anche l’attore Riccardo Scamarcio si è pronunciato pubblicamente sul tema.
Il messaggio che si vuol far passare è chiaro: l’Italia per troppi anni ha sopportato quasi in solitaria il peso degli sbarchi, gli altri Paesi si sono tappati gli occhi e l’Unione europea ci ha lasciati soli. Durante la campagna elettorale, si è soffiato su questi temi, tra chi prospettava rimpatri per 600mila persone e chi sottolineava l’importanza della difesa della razza bianca. Si è creato un clima di terrore, che ha portato un italiano su due a considerare gli immigrati un pericolo e a dichiarare di esserne spaventato. Oggi l’hashtag #chiudiamoiporti è costantemente in trending topic, e le sparate del ministro dell’Interno stanno pagando: secondo gli ultimi sondaggi, la Lega avrebbe sfondato il muro del 30% dei consensi.
In questa situazione, però, la vera notizia è un’altra. Anzi, sono due. In Italia non c’è alcuna emergenza migranti e, soprattutto, non è vero che siamo stati lasciati soli. Osservando i dati, emerge come il “governo del cambiamento”, quello delle azioni di forza sulla pelle di donne e bambini e della crociata “contro le Ong finanziate da Soros”, sia paradossalmente arrivato proprio nel momento in cui gli sbarchi registravano un calo drastico. Nel 2016 sono arrivate sulle coste italiane 167mila persone, nel 2017 gli sbarchi sono stati 114mila, il 31% in meno rispetto all’anno prima. Questo è stato anche conseguenza degli accordi con le autorità libiche dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, che ha svenduto un bel pacchetto di diritti umani per ottenere una diminuzione della pressione migratoria. Il Ministero dell’Interno registra l’undicesimo mese consecutivo di calo degli sbarchi di migranti. Secondo i dati del Viminale ne sono arrivati 10.808 nel 2018, contro i 50.524 dello stesso periodo del 2017 (-79%). A maggio, finora, sono arrivate via mare 1.314 persone, il 90% in meno del maggio 2017. Al di là di questi numeri, va poi sottolineato che, se secondo un terzo dell’opinione pubblica italiana gli immigrati nel Paese sono circa il 30% della popolazione, nella realtà dei fatti costituiscono un misero 8%.
A questo punto, si potrebbe rispondere che – a conti fatti (bene o meno) – l’Italia resta l’unico Paese che sta facendo qualcosa in termini di accoglienza. È questo il dogma di Matteo Salvini, lo stesso di Luigi Di Maio e Beppe Grillo. E invece, anche qui, le cose non stanno esattamente così. Tralasciando per pure questioni geografiche l’esempio di Paesi di primo transito e accoglienza come il Libano – che ospita un milione di profughi siriani pari al 25% della popolazione – e volgendo lo sguardo all’Europa, la situazione non è come ce la raccontano.
Secondo l’Unhcr, l’Italia accoglie 2,4 rifugiati ogni mille abitanti. Un dato che fa scendere il nostro Paese in fondo alla classifica, che al primo posto vede la Svezia con 23,4 rifugiati ogni mille persone. I Paesi del nord sono da tempo tra le mete preferite per chi scappa da guerra e fame, e questo grazie all’efficienza del loro sistema di accoglienza. In Svezia i neo-arrivati si iscrivono al servizio immigrazione e vengono ospitati nei centri di accoglienza dove, tra un pasto e l’altro, hanno diritto all’insegnamento della lingua locale e a una formazione professionale che favorisca la loro integrazione sociale una volta ottenuto il permesso a rimanere. Il modello svedese è entrato in crisi negli ultimi tempi, così come nuove polemiche hanno riguardato altri Paesi del Nord. L’approvazione negli scorsi giorni di un “pacchetto-ghetto” in Danimarca, che tra le altre cose prevede che i figli degli immigrati seguano corsi di 25 ore settimanali sui valori e la lingua danese, ha attirato molte critiche, centrate in particolare su un “assimilazionismo” che andrebbe sempre più a sostituirsi alla tradizionale integrazione. Nonostante queste politiche, comunque, i dati sottolineano come i Paesi scandinavi e limitrofi continuino a svolgere un ruolo fondamentale nell’accoglienza europea.
Andando più a sud, arriviamo a Malta. La piccola isola di 316 chilometri quadrati e 400mila abitanti – e che a sentire Salvini potrebbe risolvere da sola la questione migranti aprendo i suoi porti più di quanto già non faccia – accoglie oggi 18,3 rifugiati ogni mille abitanti, la seconda quota più alta in Europa. C’è poi la Norvegia con 11,4/1000, Cipro con 10/1000, la Svizzera con 9,9/1000, e perfino l’Austria dei blocchi al Brennero e dell’esercito al confine ne ospita più di noi in termini relativi: 10,7/1000. Continuando a scorrere la classifica troviamo, con 8,1 rifugiati ogni mille abitanti, quella Germania definita “nazista” e “colonizzatrice” dai leader nostrani.
Nel 2015, la cancelliera Angela Merkel ha dichiarato che avrebbe sospeso l’applicabilità del regolamento di Dublino III, con il fine di accogliere i rifugiati siriani nel Paese. È così che quell’anno la Germania ha accolto oltre un milione di profughi. Nel 2006, la firma di alcuni accordi sul respingimento dei migranti tra l’Unione europea e la Turchia ha chiuso la rotta balcanica, con il risultato che gli ingressi in Germania sono diminuiti. Nonostante questo, anche nel 2017 la Germania è stato il Paese che ha accolto più rifugiati in termini assoluti: l’Unione europea ha concesso la protezione internazionale a mezzo milione di persone, e di queste 325.370 dai tedeschi. La cifra è dieci volte maggiore rispetto a quella registrata in Italia – pari a 35.130 – ed è superiore a quella di tutti gli altri Paesi europei messi insieme. Ma il dato tedesco dell’anno scorso non è un’eccezione: anche nel 2016 la Germania si posizionava in cima alla classifica dell’accoglienza, con la concessione della protezione internazionale a 445mila persone, sulle 710.400 totali dell’Unione europea.
Il modello di accoglienza tedesco è da sempre considerato tra i migliori in Europa: sono previsti affidamenti in famiglia, appartamenti condivisi, finanziamenti; nel 2016 è stata anche approvata un’apposita legge per l’integrazione. La Germania ha un sistema di richiesta di asilo decentrato, gestito a livello federale ma basato su un meccanismo di quote per la redistribuzione dei migranti sul territorio nazionale. I neo-arrivati trascorrono i primi tre mesi nei centri di accoglienza, e terminato questo periodo, possono già lavorare e cercarsi un alloggio da soli, nell’attesa che venga esaminata la loro domanda. In questa prima fase vengono svolti corsi obbligatori di tedesco, fornita assistenza sanitaria e mobilitate le agenzie per l’impiego per cercare una corrispondenza tra le competenze del rifugiato e le risorse richieste dalle imprese. In quest’ottica, vengono anche predisposti tirocini, apprendistati e corsi di formazione, allo stesso modo di quanto viene fatto dal sistema Sprar in Italia – dove si investe nell’integrazione ma non si premiano le esperienza positive.
Un altro Stato con cui stiamo affrontando una piccola crisi diplomatica è la Francia. Nelle ultime settimane il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha dato dell’ipocrita al premier Emmanuel Macron, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha ironicamente lodato “l’inedita sensibilità” francese sui flussi migratori, e Salvini è arrivato a mettere in discussione il modo in cui il presidente d’oltralpe ha accarezzato il Papa. Qualcosa di vero c’è. La Francia non ha dimostrato un comportamento esemplare nei confronti dei rifugiati che cercavano di entrare nel suo territorio negli ultimi mesi: donne incinte trascinate fuori da treni, incursioni in territorio italiano per schedare i profughi e arresti mirati ai cittadini che fornivano aiuto ai migranti in difficoltà. Le organizzazioni umanitarie hanno denunciato questi episodi, e il giornalista Enrico Mentana è arrivato ad affermare che “al confronto di Macron, in tema di accoglienza, Salvini e Toninelli sono due romantici utopisti.”
Sostenere che lo stato francese non faccia nulla per i migranti però è sbagliato. La Francia ha 4,6 rifugiati ogni mille abitanti, il doppio dell’Italia, e nonostante i blocchi ai confini di Ventimiglia e Bardonecchia e la chiusura dei porti, il Paese transalpino nel 2017 ha accolto oltre 40mila rifugiati, 5mila in più rispetto a noi. I tempi per ottenere l’asilo in Francia sono molto lunghi, si parla di anni, e il problema principale è che al momento della richiesta i migranti devono indicare un indirizzo di residenza, che nella maggior parte dei casi non hanno. Si rallenta così un iter burocratico già macchinoso. In questa fase transitoria, il migrante ha diritto a un pocket money e alla possibilità di cercare lavoro, nel caso in cui l’esame della domanda sia in stallo da più di un anno. L’ottenimento dello status di rifugiato garantisce un permesso di soggiorno di dieci anni, ed è a questo punto che si accede gratuitamente a corsi di lingua francese ed educazione civica, così come ai programmi di formazione che promuovono l’integrazione. Già in questa fase, poi, è possibile richiedere la nazionalità francese.
Nelle settimane scorse, il divieto d’ingresso dell’Aquarius in territorio italiano era stato salutato da Salvini come la strategia per far sì che la Francia si prendesse le proprie responsabilità e aprisse i porti. La nave non è poi attraccata sulle coste marsigliesi, come si augurava il ministro dell’Interno, ma la Francia ha comunque accettato di ospitare una parte dei migranti a bordo, una volta sbarcati. Lo scorso 17 giugno, è stata Valencia ad accogliere l’Aquarius, in un gesto di umanità del neo-governo spagnolo di Pedro Sánchez che però non cancella la rigida politica sui migranti che fino a oggi ha caratterizzato lo stato iberico. Qualche mese fa ci sono state violenze a Melilla, mentre nel 2014 il tentativo di un gruppo di persone di entrare nell’enclave spagnola di Ceuta è finito con 14 morti. Non è una novità, la politica di accoglienza spagnola si caratterizza per la mano libera alla polizia nella repressione del fenomeno migratorio, oltre che a un sistema di accordi di stampo minnitiano con i governi africani, volti a bloccare all’origine i flussi.
Ma anche in questo caso, non possiamo dire che il Paese non conosca il fenomeno dell’immigrazione. Nel 2014 gli arrivi in Spagna sono stati 4.600. Nel 2015 sono saliti a 5.200, nel 2016 a 8.100, e nel 2017 si è raggiunto il picco di 22mila. Nell’ultimo anno, la Spagna ha visto un aumento del 150% degli arrivi, un risultato in controtendenza rispetto ai cali drastici registrati in terre di approdo classiche come Grecia e Italia. Secondo l’Unhcr, nel primo semestre del 2018 in Spagna sono arrivati più di 14mila migranti, un numero in linea con quello italiano. In questo clima, il presidente Sanchez ha dichiarato di voler reintrodurre i servizi sanitari gratuiti per tutti, compresi gli immigrati privi di documenti, e a proposito dei territori di Ceuta e Melilla ha detto che farà di tutto per togliere il filo spinato dalle barriere.
“C’è Malta che non accoglie nessuno, c’è la Francia che respinge alla frontiera, c’è la Spagna che difende i suoi confini con le armi, insomma tutta l’Europa che si fa gli affari suoi,” scriveva Salvini il giorno dopo aver bloccato l’approdo dell’Aquarius sulle coste italiane. Era il 10 giugno 2018 e in quei giorni uscivano i dati che mostravano come il flusso migratorio verso la Spagna fosse pari a quello italiano, Malta fosse il secondo Paese europeo in termini di rifugiati ogni mille abitanti e la Francia accogliesse più di noi. Se a questo si aggiungono i numeri da primato della Germania, il quadro è completo. Per quanto l’Italia abbia dovuto fare grandi sforzi in termini di accoglienza in tutti questi anni, la dialettica che ci dipinge come “campo profughi d’Europa” non è altro che una delle tante carte nel mazzo del populismo, in una campagna elettorale che sembra non finire mai.