Sembra passato un secolo dal settembre scorso, quando il vicepremier Di Maio affermava che il reddito di cittadinanza aveva “abolito la povertà”. Prima di vedere qualcosa di concreto abbiamo dovuto sopportare le dichiarazioni della squadra di governo, intenzionata a destinare il sussidio “solo agli italiani”, e le numerose gaffe sui metodi di erogazione, come l’intervento di Laura Castelli sulle presunte tessere stampate dalle Poste Italiane. Dopo tanti mesi la macchina del reddito di cittadinanza è in funzione: a oggi sono circa 850mila le richieste inoltrate. Eppure gli intoppi sono ancora frequenti: lo scorso primo aprile il Ministero del Lavoro ha deciso il blocco temporaneo delle iscrizioni online a causa di cambiamenti dell’ultimo minuto nel decreto legge, a testimoniare che, dopo tante discussioni, il governo non ha ancora le idee chiare.
Non sembra averle neanche sull’assunzione dei navigator, che dovranno supportare chi richiede il reddito nella ricerca del lavoro. In prima battuta Di Maio aveva stimato 10mila assunzioni: “Li assumeremo subito, faremo dei colloqui, con l’impegno di stabilizzarli con un contratto che riguarda la collaborazione con l’agenzia nazionale per le politiche attive per il lavoro”. Successivamente, complici le proteste delle Regioni, che avrebbero dovuto accollarsi il costo della formazione di queste figure, si è ripiegato su sole 3mila assunzioni. Secondo Cristina Grieco, coordinatrice della commissione Lavoro della conferenza Regioni, i navigator e gli odierni lavoratori dei centri per l’impiego “non sono professioni sovrapponibili”. I navigator “faranno assistenza tecnica. Sono collaboratori precari, difficile dire che saranno stabilizzati. Si faranno un’esperienza e poi proveranno il concorso”. È paradossale pensare che chi aiuterà i richiedenti a inserirsi nel mercato del lavoro sia egli stesso precario. Ma non è l’unica caratteristica bizzarra di questa occupazione: infatti, nonostante del bando per navigator non vi sia ancora nessuna traccia, sul web si trovano già in vendita presunti manuali – al costo di circa trenta euro – per prepararsi al concorso; una speculazione palese su un tema ancora poco limpido.
Mentre il governo cerca di rispettare promesse elettorali al di sopra della propria portata, l’economia italiana risente di una guida così instabile. L’Istat certifica che l’economia italiana è in recessione: nel quarto trimestre del 2018 il Pil ha registrato una contrazione dello 0,2%, confermando il trend negativo registrato con il meno 0,1% del trimestre precedente. La battuta d’arresto arriva dopo quattordici trimestri di performance positive. La recessione tecnica, ovvero la contrazione del Pil nel range dell’1%, è il primo passo per sprofondare nella crisi economica.
A rincarare la dose è arrivato il rapporto economico dell’Ocse, che dichiara che l’economia italiana è “ufficialmente in stallo”. Secondo il report, “La salute del settore bancario è strettamente connessa alla finanza pubblica e ai suoi effetti sui rendimenti dei titoli di Stato”, ma sono proprio le due misure statali messe in cantiere da questo governo a preoccupare l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Il rapporto sostiene che Quota 100, la misura sul pensionamento anticipato, è “da abrogare”, mentre il reddito di cittadinanza “rischia di incoraggiare l’occupazione informale e di creare trappole della povertà”. Messo di fronte ai dati, il ministro Di Maio non ha trovato parole migliori per rispondere che “Rispetto l’opinione di tutti, ma quando non perdi occasione per sparare contro il mio Paese e contro gli italiani no, mi dispiace, ma questo non lo accetto”. Una mancanza di argomenti che può essere colmata solo a suon di slogan: “No intromissioni, grazie. Sappiamo quello che stiamo facendo!”.
Quello che fa il governo lo sa bene anche Unimpresa, l’unione nazionale delle imprese italiane, che analizzando i dati forniti dalla Banca d’Italia ha rilevato gravi mancanze nei conti pubblici italiani. Nell’ultimo anno è raddoppiata la velocità con cui cresce il nostro debito pubblico, con un incremento del 3,10% che porta l’Italia a bruciare quasi sei miliardi di euro al mese. Il debito pubblico ha raggiunto i 71 miliardi di euro: se nel 2017 il debito cresceva al ritmo di 2,93 miliardi al mese, adesso la velocità con cui ci indebitiamo ha registrato un’impennata difficile da rallentare. Per Claudio Pucci, vicepresidente di Unimpresa, la colpa è degli ultimi due governi: “Cresce il debito e rallenta l’economia: vuol dire che le scelte del governo di Giuseppe Conte e in parte di quello precedente guidato da Paolo Gentiloni non sono efficaci”. Le misure di governo risultano inutili: “Si spende di più a danni delle finanze pubbliche, ma i benefici non vengono trasmessi alla cosiddetta economia reale”. Pucci mette in guardia sul messaggio sbagliato che stiamo dando nel panorama internazionale: “L’analisi del debito ci consente di giudicare le scelte di politica economica, di capire come ci valutano gli investitori stranieri e di valutare il futuro. La sensazione è che si punti a ottenere consenso a breve termine e si stiano sacrificando misure di lungo respiro”.
Neanche Confindustria si mostra ottimista, sottolineando come la manovra del reddito di cittadinanza sia di fatto irrilevante per la crescita del Pil. Secondo le stime degli industriali, quest’anno la crescita nel 2019 sarà pari a zero, mentre nel 2020 si registrerà un rialzo dello 0,4%. Rispetto alle stime dell’anno precedente ci si aspetta lo 0,9% in meno di crescita del Pil, con il deficit al 2,6%, contro la soglia del 2% prevista dal governo. La replica di Salvini non si è fatta attendere: “Confindustria ci desse una mano, facesse delle proposte. Sui giornali ci attacca e poi chiede incontri”. Il vicepremier non ha perso l’occasione per sfoggiare la solita retorica populista: “Forse i grandi industriali erano abituati troppo bene dalla sinistra: qualunque cosa chiedevano gli veniva concessa. Ma l’Italia è fatta dai piccoli imprenditori, artigiani, commercianti. Non solo da grandi banche e imprese”.
Al coro degli scontenti si è unito anche il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker: “Crediamo che la crescita dell’Italia arriverà solo allo 0,2%, cioè zero. Il che vuol dire che i problemi dell’Italia continueranno a crescere. Con i nostri amici italiani avevamo un contenzioso, nel corso degli ultimi mesi, relativo al livello della crescita italiana. I livelli annunciati dall’Italia si sono rivelati imprecisi e noi l’avevamo previsto, tutti noi”. Juncker si riferisce al braccio di ferro tra governo e Unione europea dell’autunno scorso, quando la Commissione aveva bocciato gli esiti della manovra italiana. All’epoca Salvini aveva dichiarato: “Noi passi indietro non ne facciamo, i soldi che abbiamo messo in manovra non li abbiamo messi lì a caso: c’è l’idea di un’Italia che cresce”.
Per il momento la crescita per noi è un miraggio lontano, mentre i soldi destinati al reddito di cittadinanza non sembrano “messi a caso”, ma direttamente gettati dalla finestra. I passi indietro che il governo non ha fatto si sono trasformati in una rapida corsa verso la crisi economica. I sintomi della recessione sono stati rilevati da più parti: non si può ignorare che l’Ue, Unimpresa, Confindustria e l’Ocse abbiano lanciato lo stesso allarme sui conti italiani. I due vicepremier glissano sulla gravità della situazione, fra proclami privi di significato e tentativi di deviare l’attenzione degli elettori con love story da rotocalco. Nel frattempo le richieste per il reddito di cittadinanza si ammassano sulle scrivanie di centri per l’impiego, incapaci di gestirne la portata. Un collasso che è la perfetta metafora del futuro economico del Paese.