“Siete pronti per una notizia bomba?” Lunedì scorso, quando ormai le notizie da Gaza erano scomparse dal radar, Benjamin Netanyahu si è rifatto vivo sulla mia bacheca con queste parole. “Sono completamente d’accordo coi leader di Hamas”. Così tipico di Netanyahu, promettere bombe – nel senso di rivelazioni sconvolgenti che magari davvero vanno a segno – specie presso un pubblico distratto. Chi invece segue la questione palestinese da un po’, per mestiere o per inerzia, o perché non riesce a distogliere lo sguardo dallo spettacolo di una lentissima e inarrestabile decomposizione, di che cosa può stupirsi ancora? Nell’ultimo mese sono morti più di sessanta palestinesi, alcuni dei quali, forse, nel modo più assurdo che potessero “scegliere”: cercando di varcare il confine della Striscia davanti ai cecchini. Qualcuno non aveva nulla da perdere; qualcun altro eseguiva gli ordini o pensava alla pensione che Hamas paga ai parenti di ogni martire. Ora sono tutti morti e l’organizzazione palestinese li reclama come suoi. Un movimento di protesta che era nato come non-violento è stato completamente fagocitato dalla macchina da martiri di Hamas: a un danno simile il sornione Netanyahu deve per forza aggiungere la beffa.
I leader di Hamas, ci spiega, dicono che è ingannevole definire questa protesta “pacifica”, e senz’altro è così; molti hanno cercato di passare il confine armati, e il portavoce dell’esercito israeliano ha persino parlato di un aquilone “equipaggiato” con una bomba molotov. Non c’è nulla di pacifico in tutto questo: lo dice Hamas, lo dice Netanyahu, non c’è da preoccuparsi. Chiunque morirà nei prossimi giorni sarà senz’altro un terrorista. Almeno cinquanta caduti erano militanti di Hamas, spiega Netanyahu; lo ha detto uno dei loro leader, non importa che altri membri di Hamas lo abbiano smentito. Chi segue la vicenda da un po’ non ha davvero di che sorprendersi. Tra i due nemici asimmetrici, Israele e Hamas, c’è un obiettivo comune: dimostrare che Hamas e la Striscia di Gaza sono la stessa cosa. Se la Striscia protesta, è perché si mobilita Hamas; se Israele può reprimerli, è perché è in guerra con Hamas. E noi spettatori attoniti, noi che ancora perdiamo tempo a provare pietà, ora dobbiamo scegliere, o stiamo con Israele o stiamo con Hamas, che (Netanyahu non manca mai di ricordarlo) è un’organizzazione terroristica. Vogliono sterminare gli ebrei, poco importa che non riescano più a fare qualche passo oltre il confine senza essere falciati.
Hamas è forse il miglior nemico che Israele potesse procurarsi, e in un certo senso se lo è procurato; non mi riferisco tanto alle circostanze che portarono gli israeliani negli anni Ottanta a sostenere un nucleo di integralisti islamici in funzione anti-Olp, ma a tutto quello che è successo dal fallimento di Oslo in poi. I governi israeliani avevano bisogno di dimostrare al mondo che i palestinesi erano fanatici antisemiti: l’anziano Yasser Arafat, malgrado insistesse nel portare con sé la pistola nella fondina e chiedesse di morire come martire, non era abbastanza credibile in questo senso.
Hamas invece funzionava egregiamente, e se non fu l’unica organizzazione ad abbracciare la tattica degli attentati suicidi, fu quella che ci investì più risorse: vite umane, dinamite, pensioni ai parenti. Senza Hamas i palestinesi non sarebbero mai diventati, agli occhi degli spettatori occidentali, una tribù di disperati assimilabili ad Al Qaeda. Quando poi nel 2005 Sharon spiazzò tutti ritirandosi dalla Striscia di Gaza, Hamas divenne la forza egemone di una Città-Stato isolata dal resto del mondo, un esperimento sociale che si protrae da allora. Hamas, branca della Fratellanza Musulmana, non è solo in guerra con Israele: anche l’Egitto ha chiuso la frontiera, e persino l’Autorità Nazionale Palestinese raziona l’energia elettrica per punire gli abitanti del loro sostegno al partito integralista. La vita dei due milioni di palestinesi che vivono nella Striscia sarebbe difficile anche se Hamas non destinasse gran parte delle sue risorse alla guerra (razzi, gallerie); una guerra sempre più asimmetrica e disperata che ciclicamente espone la popolazione di Gaza alle rappresaglie sproporzionate di Israele. Nel 2014 l’operazione Margine di Protezione causò più di 2000 morti tra i palestinesi (di cui la metà civili) e 71 vittime israeliane. Nel 2009, l’operazione Piombo Fuso aveva visto una sproporzione di uno a cento: tredici vittime israeliane, circa un migliaio di palestinesi. Chi parla di genocidio, però, è evidentemente fuori strada. D’altro canto si tratta di una situazione davvero particolare, che a qualcuno ha fatto venire in mente le guerre rituali che si combattevano nelle antiche polis Greche: la più famosa è la guerra che ogni anno gli Spartiati dichiaravano ai membri della casta inferiore, gli Iloti.
Le guerre rituali non si combattevano per il territorio (e infatti dopo ogni operazione la Striscia viene riconsegnata a Hamas); erano probabilmente connesse con le cerimonie di iniziazione che trasformavano i giovani in adulti, e servivano per fortificare l’identità delle caste in cui erano suddivise le polis. La guerra a bassa intensità che si combatte ciclicamente a Gaza offre ai giovani israeliani che fanno il servizio di leva un battesimo delle armi non privo di pericoli (ma nemmeno troppo pericoloso); mantiene la società israeliana in uno stato di allerta permanente contro un nemico esterno; ricorda alla comunità internazionale che Israele è minacciata nella sua stessa esistenza. La guerra a bassa intensità serve a mantenere uno status quo che evidentemente ai leader che gestiscono i fondi di Hamas non dispiace: tanto peggio se nel frattempo a Gaza la disoccupazione è oltre il 40%, e l’80% della popolazione vive grazie agli aiuti umanitari. La povertà crea disperazione, la disperazione fomenta i martiri, ogni martire è un successo per Hamas che lo rivendica e per Israele che lo abbatte in modo sempre più efficiente. Chi tenta di fuggire finisce falciato nel mucchio e rivendicato comunque tra i combattenti. Se non saranno i leader di Hamas a farlo, ci penserà Netanyahu, che la vede allo stesso modo: chi vuole uscire da Gaza non può che essere un terrorista. No, davvero, che si dica d’accordo con Hamas non sorprende.