L'industria del tabacco è in fin di vita. Per sopravvivere punta sui bambini poveri nel mondo.
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Il primo annuncio pubblicitario sul fumo di cui si ha traccia negli Stati Uniti risale al 1789, in un quotidiano locale newyorkese. Da quel momento, l’industria del tabacco ha pubblicizzato senza limitazioni i suoi prodotti per più di un secolo. Durante il Ventesimo secolo le cose sono progressivamente cambiate: dal movimento anti tabacco della Germania nazista, uno dei primi e più intransigenti dell’Occidente per la volontà dei suoi sostenitori di preservare la salute della “razza pura ariana”, si è poi progressivamente arrivati a importanti pubblicazioni che mettevano in evidenza i rischi del fumo per la salute. A partire dai primi casi studio della fine degli anni Trenta, di cui uno dei precursori pubblicato proprio nel Terzo Reich, gli anni Sessanta sono stati contraddistinti da una serie di report che hanno portato a una stretta sulle legislazioni in materia. Tra questi, quello del Royal College of Physicians del Regno Unito del 1962 e quello dell’amministrazione degli Stati Uniti Smoking and health: report of the advisory committee of the surgeon general of the public service del 1964, a cui seguì il divieto di promozione di prodotti derivati del tabacco sul territorio statunitense l’anno successivo. L’Italia aveva già decretato il divieto con la legge numero 165 del 1962.

La progressiva guerra al fumo che è seguita ha portato a diffuse campagne di sensibilizzazione sui danni che provoca, all’aumento dei prezzi, agli avvertimenti sulle nocività correlate sui pacchetti e a leggi anti fumo nei luoghi pubblici. Per quanto riguarda l’Unione europea, il Tobacco advertising ban è entrato in vigore nel 2005, uniformando le direttive di controllo della pubblicità nei vari Stati membri.

La percentuale dei fumatori è in calo costante nella maggior parte d’Europa e negli Stati Uniti, ma i profitti delle compagnie del tabacco continuano a crescere. Questo è dovuto in parte alle campagne sui social media che i vari produttori hanno messo in campo, pagando alcuni influencer per postare su Instagram foto dove associano ingannevolmente al loro bell’aspetto il consumo di sigarette, usando hashtag connessi ai brand (come #likeus per Lucky Strike o #RedIsHere per Malboro).

Però, la maggior parte dei guadagni dell’industria del tabacco deriva oggi dalle milioni di persone che non sono ancora state messe in guardia da anni di campagne anti fumo: i nuovi clienti di riferimento del settore sono gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo, tra cui vari Stati africani (come Burkina Faso, Camerun, Benin, Nigeria, Uganda), India, Indonesia, Sri Lanka e altre zone del Sud-Est asiatico. In queste nazioni la legislazione pubblicitaria sui prodotti a base di tabacco è inesistente, inefficace o ignorata, creando un terreno fertile per i profitti delle grandi multinazionali. Ad aggravare la situazione contribuisce anche la diffusione, in alcune zone, di prodotti ancora più pericolosi per la salute, come le Bidis, piccole sigarette rollate a mano popolari in India e nel Sud-Est asiatico, che producono lo stesso livello di nicotina e catrame di quelle normali. Oppure le Kreteks tipiche dell’Indonesia, fatte con chiodi di garofano e tabacco, che aumentano ancora di più il rischio di patologie polmonari acute.

La diffusione incontrollata di sigarette e derivati che sta colpendo i Paesi in via di sviluppo è drammatica soprattutto perché i principali interessati sono i giovanissimi, se non i bambini nei casi più gravi, come dimostra il report Big tobacco: tiny targets. Nel documento viene denunciato come le maggiori compagnie di tabacco stiano bersagliando i più piccoli con pubblicità, promozioni e product placement strategici vicino alle scuole primarie e secondarie in almeno 23 Paesi del mondo. Gli escamotage pubblicitari vanno dai comuni poster su tabelloni, finestre e porte, ai gadget, fino ad arrivare alle ragazze immagine che fanno da sponsor per strada. In Burkina Faso e in Uganda il 100% delle scuole prese a campione presenta qualche forma di promozione dell’uso del tabacco nei loro dintorni, così come l’85% di quelle in Camerun. Molto spesso gli stessi negozi che vendono sigarette sono visibili addirittura dai cancelli degli istituti. Per rendere i prodotti appetibili ai più piccoli, la vendita di sigarette aromatizzate è molto diffusa, e il marketing rivolto ai giovanissimi segue le stesse logiche degli alcopop, alcolici con aromi di vario tipo. Nei negozi, questi prodotti vengono solitamente posizionati negli scaffali più bassi, all’altezza degli occhi dei bambini, accanto a bevande zuccherate, caramelle e cioccolatini. Inoltre, esiste la possibilità di comprare le sigarette singolarmente per rendere i prezzi più accessibili agli scolari.

Alcune multinazionali, come la Bat (British American Tobacco) o la Pmi (Philip Morris International), ignorano e violano le leggi nazionali esistenti che, in teoria, devono limitare la promozione delle sigarette. Come dimostrano le legislazioni in materia delle varie Nazioni del mondo consultabili su Tobacco control laws, la pubblicità del tabacco è proibita nella maggior parte degli Stati. Ad esempio, nella Repubblica Democratica del Congo la promozione in televisione, radio e sui cartelloni o altre forme di stampa è illecita, mentre non lo è su piattaforme online e nei punti di vendita. Anche la vendita ai minori di 18 anni è vietata per legge in gran parte dei mondo, a eccezione di Tajikistan, Sud Sudan, Camerun, Guinea-Bissau, Marocco, Belize e Isole Falkland. Un altro discorso sono i controlli sulla messa in atto di questo divieto, come dimostra anche l’Italia, dove in più di un’occasione è stata dimostrata la facilità con cui un minorenne può comprare tabacco o sigarette e un under 18 ogni 10 è già un fumatore abituale.

Minore è l’età in cui si sviluppa una dipendenza e più difficile è uscirne: per questo i bambini sono il target perfetto per massimizzare i profitti a lungo termine, creando delle nuove generazioni di tabagisti abituali che finanzieranno le multinazionali per decenni. Queste ultime sono perfettamente consapevoli che la loro unica speranza per il futuro è quella di rendere indispensabile il fumo per i giovanissimi e, come dimostra il caso dell’Indonesia, in cui il 42% dei ragazzi tra i 13 e i 15 anni è un fumatore. A differenza di altre sostanze, l’impatto che il tabacco ha sulla salute non produce danni nel breve periodo, motivo per cui i suoi effetti collaterali non sono ancora evidenti nei Paesi dove si è diffuso recentemente. A  differenza dell’Europa e dei Paesi industrializzati, che hanno dovuto scoprire e subire per primi le conseguenze della diffusione sistematica dei prodotti del tabacco, questi Stati hanno a disposizione un immenso archivio di letteratura scientifica da analizzare per capire cosa succederà ai loro cittadini nel prossimo futuro. Tuttavia, come dimostrano le inchieste di Sarah Boseley, health editor del Guardian, l’industria del tabacco svolge un’intensa attività di lobbying su molti governi africani, arrivando a livelli “vicini alla minaccia” per ostacolare l’approvazione di leggi di controllo più rigide, appellandosi a possibili “ conseguenze dannose sull’economia e il business”.

L’industria del tabacco continua a sostenere la sua importanza nella creazione di posti di lavoro e di profitto, ma non considera a quale prezzo. Il fumo è maggiormente diffuso tra le fasce più povere della popolazione e incide sul peggioramento delle loro condizioni economiche e stili di vita. Ad esempio, in Indonesia le fasce più povere della popolazione spendono circa il 15% del loro denaro in tabacco, mentre in Bangladesh i meno abbienti investono in media 10 volte meno per l’istruzione che per sigarette e affini. Se andiamo a considerare le spese sanitarie per far fronte alle patologie scatenate o aggravate dal fumo (soprattutto quelle croniche, che necessitano di trattamenti continuativi nel tempo), l’uso di tabacco costa 1,4 trilioni di dollari l’anno a livello globale. Al danno economico si aggiunge quello umano, con oltre 7 milioni di morti ogni anno, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove l’accesso alle cure e ai farmaci è limitato, soprattutto tra le fasce meno abbienti della popolazione, dove però si concentra la percentuale maggiore di nuovi fumatori.

Già nel 1982 una pubblicazione aveva denunciato una possibile “epidemia tabagista” in Africa, basandosi sui primi segnali che ricordavano quanto già visto nei Paesi industrializzati prima dell’entrata in vigore delle normative antifumo degli anni Sessanta. Anche se in molte Nazioni in via di sviluppo si stanno introducendo normative più severe, non sempre queste si adeguano del tutto alla Framework Convention on Tobacco Control (Fctc) dell’Oms, limitandone l’efficacia. Un esempio è il caso del Sud Africa, che dal 2018 ha approvato una nuova legislazione che, tra i vari cambiamenti, prevedeva una standardizzazione degli avvertimenti sui pacchetti di sigarette. Questa decisione ha portato alla produzione di pacchetti dove gli avvisi sulle possibili ripercussioni del fumo sulla salute occupano il 20% della loro superficie totale, anche se l’Oms suggerisce un minimo del 30%. Può sembrare un dato insignificante, ma nel lungo periodo questo 10% in meno potrebbe rappresentare migliaia di morti per fumo ogni anno.

Focalizzandoci in particolare sull’Africa, come si deduce dal report Africa 2050: demographic truth and consequences, la maggior parte dei Paesi del Continente ha fatto passi da gigante nella crescita dell’aspettativa di vita, visti i migliori livelli di nutrizione, di sanità e il successo nella lotta alla malaria e alle malattie tropicali. L’incremento della qualità della vita, unito alla crescita demografica, fa stimare che la popolazione africana arriverà a quota due miliardi entro il 2050. Intanto, Un rapporto della Who stima che entro il 2030 4 morti su 5 per cause legate al fumo avverranno nei Paesi in via di sviluppo. Incrociando i due studi è facile capire la gravità in termini numerici dei danni e del numero di morti che il fumo causerà in queste nazioni, se il bombardamento pubblicitario e il marketing per promuovere il fumo tra i bambini non verrà regolamentato o vietato del tutto.

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