Ilaria Cucchi ci insegna come si sconfigge uno Stato corrotto

La foto del cadavere del fratello stretta tra le mani, qualche curioso intorno, l’ingresso del palazzo di giustizia di Roma alle sue spalle, e lo sguardo austero, come una corazza di dignità a coprire il dolore e la rabbia che da anni le si agitano dentro. In quell’immagine di Ilaria Cucchi c’è molto, forse tutto, del coraggio e della determinazione di una donna diventata un modello di cittadinanza attiva. Perché se, da un lato, il caso Cucchi potrebbe trasformarsi in futuro in un baluardo di giustizia per i cittadini, la lunga battaglia di Ilaria per la verità è già un esempio di educazione civica; il cammino tortuoso, doloroso e solitario di una piccola donna – fisicamente e politicamente – che però procede senza perdere mai la fiducia nelle Istituzioni, verso un unico, chiaro obiettivo: una sentenza giusta per i responsabili della morte violenta del fratello.

Ilaria Cucchi

Il nono anniversario della morte di Stefano Cucchi, lo scorso 22 ottobre, è caduto 10 giorni dopo le parole del carabiniere Francesco Tedesco, che raccontando il pestaggio compiuto dai colleghi, ha dato una svolta importante al processo. Ora la strada per la verità sembra in discesa, ma non per questo breve. C’è un’altra immagine di Ilaria, un murales che le ha dedicato l’artista di strada Jorit: il volto della donna, ritratto su un muro di una strada di Napoli, porta sulle guance i segni dei guerrieri di certe tribù, come in altri murales dello stesso artista raffiguranti personaggi che hanno lasciato il segno nella storia, da Che Guevara ad Ahed Tamimi.

Il Murales di Jorit Agoch dedicato a Ilaria Cucchi, Napoli

Una guerriera, dunque. E, in effetti, assomiglia tanto a una guerra quella che Ilaria combatte da nove anni contro insulti e calunnie di alcuni imputati, di politici e rappresentanti delle istituzioni, oltre alle offese gratuite che ancora oggi subisce quotidianamente sul suo profilo Facebook con l’assurda accusa di voler lucrare sulla memoria del fratello. A cominciare da Carlo Giovanardi, che anche con il caso di Federico Aldrovandi ha mostrato un’inspiegabile accanimento contro le vittime degli abusi di potere, e che all’epoca dei fatti era sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Giovanardi continua a dire che Cucchi sarebbe morto per droga, quando questa è l’unica causa di morte che periti e consulenti hanno sempre escluso davanti ai giudici. Gianni Tonelli, ex segretario del Sap (Sindacato autonomo di polizia), oggi deputato della Lega, è stato raggiunto da un decreto penale di condanna per diffamazione in continuazione aggravata  dalla pubblicazione su internet, un provvedimento contro il quale Tonelli ha poi proposto opposizione. Prima di lui, dai suoi colleghi di altri sindacati delle forze dell’ordine, erano arrivate querele. Su Facebook, Mauro Maistro aveva scritto che Stefano, “da morto, è diventato un affarone” per la famiglia, che ne avrebbe fatto un business.  Il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) scrisse che Ilaria istigava “All’odio e al sospetto nei confronti dell’intera categoria di soggetti operanti nell’ambito del comparto sicurezza.”

Carlo Giovanardi
Gianni Tonelli

Ignazio La Russa, all’epoca ministro della Difesa, affermò, come se fosse stato un testimone oculare, “Non so cosa sia successo, ma sono certo del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri.” Non ultimo, il ministro dell’Interno Matteo Salvini – e poco importa se all’epoca intendeva dire che gli fa schifo Ilaria o gli fa schifo il post che lei aveva scritto sollevando dubbi sull’operato dei carabinieri. Oggi, davanti a una esplicita richiesta dell’interessata, non si è scusato.

Ignazio La Russa
Matteo Salvini

Nessuno dei politici, ministri, carabinieri imputati e altri personaggi pubblici che hanno attaccato e offeso la famiglia Cucchi hanno avuto il buon senso di scusarsi con lei e con la famiglia. Eppure lei, una vita semplice e un lavoro da amministratrice di condominio finita involontariamente sotto i riflettori, è andata avanti, superando ogni ostacolo con forza e lucidità. In pubblico non ha mai versato una lacrima, Ilaria, se non alla lettura della sentenza di assoluzione per medici e agenti penitenziari, alla fine del primo processo. Forse perché il dolore è una cosa privata, e comunque non sarebbe servito alla causa. Probabilmente non le interessava la pietà degli altri, anche se sarebbe stato comodo e forse anche utile, perché il suo obiettivo non sembra essere la compassione, ma la verità e la giustizia per suo fratello. Nient’altro. Se l’avete vista a Domenica In rispondere a Mara Venier a domande da tv del dolore tipo “Come ti senti ora che Stefano non c’è più?”, lo ha fatto per esserci, sempre, perché bisogna parlare di Stefano oggi più che mai, visto che il traguardo appare vicino. È anche con questa instancabile attività di presenza che Ilaria è diventata un esempio virtuoso di educazione civica: la sua lotta passo dopo passo, in ogni luogo pubblico disponibile, è tutta dedicata al riconoscimento di quei diritti umani di base negati al fratello e che gli sono costati la vita. È una lotta per tutti, perché una democrazia che si rispetti, su questo punto non può cedere nemmeno di un millimetro. E il ruolo dei cittadini attivi è essenziale nella costruzione di una società migliore e più democratica. “La nostra è diventata non soltanto una battaglia personale per restituire a Stefano quella giustizia e quella dignità che a lui sono state negate, ma una vera e propria battaglia di legalità,” ha detto Ilaria in un’intervista a L’Espresso.

Stefano Cucchi con il padre

E anche l’impegno politico, che per i soliti critici era un tentativo di arricchimento personale, va in questa direzione: sia la candidatura con Rivoluzione Civile nel 2013 e la possibile candidatura sindaco di Roma nel 2016 sono finite in un nulla di fatto, ma Ilaria ha a cuore un progetto che porti tra le priorità politiche i diritti dei detenuti, perché troppi sono ancora gli Stefano Cucchi senza giustizia, vittime silenziose di qualche abuso di potere. È così che Ilaria è diventata un simbolo di civiltà: da un lato con la sua cocciutaggine, con la granitica determinazione che non l’ha mai fatta indietreggiare di un passo, dall’altro non perdendo mai la fiducia nelle Istituzioni, anche quando ne avrebbe avuto motivo. E di questa coerenza e correttezza verso lo Stato Ilaria, con la sua famiglia, aveva dato la prova più grande già pochi giorni dopo la morte di Stefano: quando trovarono in casa 925 grammi di hashish e 133 di cocaina, si precipitarono dal giudice per comunicargli il ritrovamento. “Stefano è morto da ultimo, perché era un ultimo. E mi rendo conto che di ultimi ce ne sono sempre di più,” ha ribadito spesso Ilaria, e il suo impegno ricorda anche che in un sistema giudiziario non proprio impeccabile la legge non è uguale per tutti, spesso è più uguale per chi può pagarsi ottimi avvocati o ha disponibilità di mezzi, o anche solo la forza e la pazienza di lottare.

Ilaria e il fratello Stefano

Questa vicenda ha anche scoperchiato un pesantissimo vaso di Pandora che potrebbe cambiare per sempre le dinamiche interne all’Arma dei carabinieri, perché non succede tutti giorni che un militare decida di confessare, ribaltando una verità di comodo decisa dai suoi superiori. Né era mai successo in un processo che vede imputati membri di un’importante Istituzione dello Stato, tant’è che dopo il caso Cucchi probabilmente niente sarà più come prima, anche in questo tipo di processi. “Il muro è stato abbattuto,” ha detto Ilaria. Tutto merito suo? Certamente no, ma è indubbio che con la sua battaglia di verità ha fatto la sua parte. “Ilà, sei felice?” le chiedeva spesso Stefano, chissà se per rassicurarsi che almeno la sorella la potesse raggiungere, quella dimensione di pace che a lui appariva così lontana. È difficile immaginare che oggi Ilaria possa essere felice, però se le condanne arriveranno, e probabilmente arriveranno, la sensazione sarà quella di un cerchio che si chiude. Solo allora la guerriera indomita potrà deporre le armi.


Rettifica ex art. 8 L. 47/1948 di martedì 23 Ottobre 2018 Ore 15.11

*Con riferimento all’articolo “Ilaria Cucchi ci insegna come si sconfigge uno Stato corrotto”, pubblicato il 22 ottobre 2018 riceviamo e pubblichiamo la seguente richiesta di rettifica a firma di Gianni Tonelli, pervenuta via email.

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Smentisco nella maniera più assoluta quanto riportato nell’articolo in oggetto. Non ho mai pronunciato quelle parole, mai le pronuncerei. Le 500 euro di multa cui fate riferimento, sono relative ad una denuncia per diffamazione che la Cucchi ha presentato nei miei confronti per aver fatto delle dichiarazioni suffragate da sentenza di assoluzione di medici, infermieri e agenti di Polizia Penitenziaria, durante il primo processo. Dichiarazioni, le mie, che trovano pieno riscontro scientifico nella perizia medico legale ordinata dal Gip e acquisita ai fini dell’incidente probatorio, in cui sono contenuti referti clinici del Cucchi, recuperati in sede di incarico peritale. Motivo questo, per il quale ho deciso di oppormi al decreto di penale di condanna che è ben diverso da una condanna, per cui è scorretto dire anche che il sottoscritto sia stato condannato.

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La redazione segnala che, a seguito della richiesta di rettifica sopra riportata, l’articolo è stato aggiornato.

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