L’identità italiana che propaganda la destra non esiste - THE VISION

L’anno scolastico 2024/2025 si aprirà con nuove linee guida per l’insegnamento dell’Educazione Civica nelle scuole italiane. Le ha inviate direttamente il ministro Giuseppe Valditara al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione lo scorso 7 agosto. L’introduzione principale riguarda l’educazione alla Patria, che il ministro stesso ha associato a una “coscienza di una comune identità italiana come parte della civiltà europea e occidentale e della sua storia”. Identità è una parola che torna spesso nei suoi discorsi e nelle linee guida stesse: “Patria significa radici e valori, elementi essenziali per costruire un’identità solida”. Il punto è che per la destra il concetto di identità italiana è propagandato su canoni escludenti e si avvicina alle forme più esasperanti del nazionalismo.

È sicuramente vero che spesso è la politica stessa a creare quel senso di appartenenza senza il quale tutto si sfalderebbe. Come ha scritto il filosofo Roger Scruton ne Il bisogno di una nazione, “Privandolo dell’esperienza dell’appartenenza, il terreno stesso del contratto sociale si dissolve: gli obblighi sociali diventano temporanei, problematici e contestabili, e l’idea che si possa essere chiamati a dedicare la propria vita a una collettività di estranei arriva a rasentare l’assurdo”. Il problema sorge però quando gli esponenti di destra alimentano il senso di appartenenza dimenticando i passaggi storici che naturalmente l’hanno creato, ovvero un contenitore di culture diverse, l’eredità di dominazioni straniere e l’acquisizione di tradizioni che vengono da lontano, nel tempo e spesso anche da fuori. Rifiutando questi elementi eterogenei, la destra sembrerebbe voler cristallizzare la propria idea di identità italiana, cioè quella basata sul moderno sovranismo e sulla paura di integrare realtà esterne o addirittura quelle di individui che avrebbero tutti i requisiti per ambire alla cittadinanza italiana. Cittadinanza che la destra trasforma in un premio e non in un diritto.

George Bernard Shaw ne Il mondo, datato 1893, scriveva: “Il patriottismo è, fondamentalmente, la convinzione che un particolare Paese è il migliore del mondo perché ci siete nati”. Giacomo Leopardi, scriveva nello Zibaldone: “Dovunque si è trovato amor vero di patria, si è trovato odio dello straniero”. C’è poi un’ultima tematica che riguarda il patriottismo, ovvero l’ipocrisia. Siamo un po’ tutti legati alla nazione quando c’è da tifare una nostra nazionale nello sport o di fronte a qualsiasi “duello” mediatico con altri Stati, a costo di consumare tutte le nostre energie nervose per spiegare sotto un post come la cucina italiana sia migliore di quella francese, o altre battaglie inutili. Siamo un po’ meno italiani quando trascuriamo altre componenti legate allo Stato e al concetto di Patria, e spesso riguarda il nostro senso civico e il comportamento da cittadini più che da individui. In Diari di guerra, George Orwell racchiudeva il concetto in un aforisma a mio avviso perfetto per descrivere la nostra attuale situazione: “Nessuno è patriottico quando si tratta di pagare le tasse”. Non a caso questo governo decide di intitolare l’aeroporto di Milano Malpensa a Silvio Berlusconi.

Silvio Berlusconi

Dopo aver rifiutato per anni qualsiasi discussione sullo Ius soli, sembra che Forza Italia abbia aperto una piccola breccia per lo Ius scholae, una legge che da un lato sarebbe importante, dall’altro quasi un contentino e un piccolo passo per qualcosa che dovrebbe estendersi a ben altri diritti per cittadini nati e cresciuti in Italia. Nonostante questo, Lega e Fratelli d’Italia si sono opposti fermamente. Valditara è rimasto sul vago quando è stato interrogato sull’argomento, fino a dare una risposta che suona un po’ come una “supercazzola” per rigettare l’idea, utilizzando in particolare le seguenti parole: “Non è tanto il numero di anni o il percorso scolastico seguito, quanto la condivisione di valori, la conoscenza della lingua e la condivisione di un progetto di futuro”. Sulla lingua non capisco quale sia il punto, visto che stiamo parlando di ragazzi e ragazze che parlano con l’accento del luogo esattamente come tutti i loro coetanei e che tra l’altro sono spesso  nati in Italia. Ma soprattutto: agli italiani incapaci di usare un congiuntivo corretto, secondo questa logica bizzarra dovremmo stracciare la cittadinanza. Sul futuro e sui valori sembra che sia poi il classico timore della Lega riguardo alle culture diverse dalla nostra, come per esempio altre religioni che cozzano con l’importanza delle radici cristiane citate in ogni intervento dal generale Vannacci, che ha più volte ribadito di dover proteggere la presunta “identità italiana”. Cioè qualcosa di astratto e fittizio.

Il libro di Vannacci ha avuto successo proprio perché ha captato il pensiero sia dei conservatori sia della frangia più razzista della nazione, quella che considera l’identità italiana in termini nazionalistici e non sociali. Sono individui che sono stati convinti attraverso una ricostruzione storica faziosa, lasciando intendere che la cultura italiana sia sempre stata unica e lineare fino ai giorni nostri. Non a caso, nel suo libro, Vannacci si spinge molto più indietro: “Ritengo che nelle mie vene corra una goccia del sangue di Enea, Romolo, Giulio Cesare, Mazzini e Garibaldi”. Avrete notato che ha saltato qualche passaggio. Uscendo dalla mitomania e facendo finta che la sua sia una frase sulla discendenza italica partendo dagli avi, Vannacci ha dimenticato di dire che gli italiani hanno anche sangue arabo, normanno, francese, greco, spagnolo e via dicendo. D’altronde lui parla di identità italiana riferendosi anche ai tratti somatici – come per il caso della pallavolista Paola Egonu.

Se vogliamo portare la discussione al suo stesso livello, come gli è già stato fatto notare, i tratti di moltissimi nostri connazionali, compresi i suoi, mostrano fisionomie mediorientali. Questo proprio per la dominazione araba sul nostro territorio, che a partire dal VII secolo ha toccato la Sicilia per poi raggiungere anche la Liguria, il Piemonte, il Lazio, le Marche, l’Umbria e la Puglia. Un abitante del Trentino Alto Adige – prendiamo come massimo rappresentante Jannik Sinner – potrebbe dire che Vannacci a livello di fisionomia non abbia nulla da spartire con lui, che ha i capelli rossi e gli occhi chiari. Questo perché la presunta identità italiana, anche a livello fisico, non è altro che il frutto della contaminazione dei popoli che sono passati dalle nostre parti. Dunque Sinner ha quei tratti perché la sua regione un tempo era austriaca, parecchi napoletani hanno gli occhi chiari per via delle dominazioni longobarde, tedesche, normanne e vichinghe, e la cultura araba ha lasciato in dote al nostro Paese, soprattutto al Sud ma non solo, quei tratti più scuri che appartengono per esempio allo stesso Vannacci. 

L’identità però riguarda anche altri aspetti di una nazione, come la cultura, il cibo e le nostre stesse tradizioni che la destra rivendica come se fossero la quintessenza dell’italianità. Spesso anche la religione, soprattutto negli Stati dove il fondamentalismo è più esteso, può creare un’identità più dei confini geografici o di altre strutture sociali che compongono una nazione. In Italia nel 2024 non abbiamo influenze del genere al livello dell’Iran o di altre nazioni, ma certe “scorie” restano e i politici conservatori le sfruttano per discriminare le minoranze religiose o per collegare l’identità al Dio-Patria-Famiglia tanto caro alla destra. Partiamo per esempio dal presepe. In un video di qualche anno fa, Meloni parlò della “nostra identità e delle nostre tradizioni sotto attacco” riferendosi al presepe. Stesso concetto espresso più volte anche da Salvini. Peccato che il presepe sia la rappresentazione di un profugo che cerca riparo e lo trova in una stalla. Riparo che la destra non concede ai profughi odierni, tra fantomatici appelli su porti chiusi, blocchi navali e lo slogan “aiutiamoli a casa loro”. Ironico poi che il presepe venga associato all’identità italiana quando Betlemme si trova in Cisgiordania ed è occupata impropriamente (come dicono diverse risoluzioni dell’ONU) da Israele dal 1967. Viene dunque da chiedersi se la propaganda della destra sull’identità italiana tragga linfa dall’ignoranza o sua una strategia per portare avanti le sue idee xenofobe ed esclusive. Destra che tenta di associare all’identità italiana anche cibi e alimenti che di italiano nella loro origine non hanno nulla.

Salvini, uomo di sagre e dalla buona forchetta, usa spesso il cibo sui social proprio perché è un argomento casa-e-famiglia, invitando gli italiani a consumare il sacro cibo nostrano. Gli esperti del settore in questi anni hanno spiegato più volte come spesso ci sia confusione su certe pietanze. In teoria non nascono in Italia nemmeno quelli che consideriamo i nostri orgogli culinari: pasta, parmigiano, cannoli, granite, caponata, persino i pomodori Pachino. Vengono tutti da fuori, alla faccia del sovranismo alimentare. E dobbiamo ad altri popoli anche diversi luoghi turistici visitati da cittadini di tutto il mondo. Senza il periodo dei tiranni greci non avremmo avuto la Valle dei Templi, con Agrigento che al tempo era Akragas e che diventò Agrigentum con i Romani soltanto nel 210 a.C. Il sito archeologico attraversò secoli di declino, e fu riportato in auge grazie al geografo arabo Al-Idrisi, all’archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann e tornò a risplendere sotto la dominazione borbonica. È solo uno dei tanti esempi di un luogo che ci invidiano in tutto il mondo ma che non ha praticamente nulla di italiano, se non il suolo dove è sorto.

Il suolo, appunto. Un essere umano che nasce qui non sempre ha il diritto di essere considerato italiano, mentre dei templi sì. Anche se l’individuo in questione frequenta le nostre scuole, parla la nostra lingua e probabilmente nemmeno sa dove si trova sulla cartina geografica la terra d’origine dei suoi avi – proprio come la maggior parte degli italiani. Questa persona nel 2024 non ha il diritto di essere italiano, però innalziamo come pinnacolo della nostra identità culture, monumenti, pietanze e tradizioni che abbiamo ereditato anche da chi oggi la destra discrimina e vuole tenere fuori, fisicamente e ideologicamente, dai nostri confini. E allora è bene che gli studenti, durante le ore dell’educazione alla Patria proposta da Valditara, sappiano il significato di unione dei popoli, contaminazione, eredità storiche del nostro Paese. E, soprattutto, che è normale che sia italiano un napoletano biondo con gli occhi azzurri come una pallavolista nera. Altrimenti torniamo direttamente a chi il secolo scorso teneva discorsi sulla inscalfibile identità del suo popolo che non doveva essere “sporcata da altre razze” e si chiamava Adolf Hitler.  

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