Sabato 12 ottobre, Siria. Una Toyota sfreccia sull’autostrada M4 in direzione di Qamishli. L’autista sa di portare a bordo un passeggero d’eccezione: Hevrin Khalaf, trentacinquenne segretaria generale del Partito del Futuro siriano, attivista per i diritti delle donne e in prima linea per il riconoscimento dell’identità del popolo curdo. La Toyota non arriverà mai a Qamishli. Un commando armato la attende in mezzo alla strada, l’auto viene crivellata con raffiche di mitra e gli uomini prelevano Hevrin Khalaf, dopo aver ucciso l’autista. Una volta fuori dalla vettura, la donna è pronta a pagare il prezzo della sua libertà.
Sabato 5 ottobre, congresso del Centre of Diplomatic Studies and consultation. La Turchia è pronta all’operazione militare contro i curdi, da loro definiti terroristi, per creare una safe zone di 400 chilometri a est dell’Eufrate grazie anche alla scelta degli USA di defilarsi e lasciare campo aperto all’offensiva di Ankara. Hevrin Khalaf rilascia delle dichiarazioni, riportate dal Rojava Information Center, in cui critica aspramente la repressione della Turchia contro i curdi: “Noi respingiamo le minacce turche, soprattutto perché ostacolano i nostri sforzi per trovare una soluzione alla crisi siriana. Durante il periodo in cui l’Isis era al potere vicino al confine, la Turchia non lo vedeva come un pericolo per la sua gente. Ma ora c’è un’istituzione democratica nel nordest della Siria, e loro ci minacciano con l’occupazione”.
L’istituzione democratica di cui parla Khalaf è il progetto di Confederalismo Democratico del Rojava, una struttura politica e sociale che il popolo curdo sta attuando stravolgendo il ruolo delle donne nel Medio Oriente. Questo viene considerato inaccettabile dall’ortodossia islamica su cui si poggia anche l’ Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo) di Erdoğan. Le donne del Rojava hanno infatti combattuto per la parità di genere cercando di smantellare quel patriarcato alimentato dal fanatismo religioso. Inoltre la creazione delle Ypj (Unità di Protezione delle Donne, in curdo Yekîneyên Parastina Jin) è stata fondamentale per le vittorie contro le milizie dell’Isis. I combattenti del Califfato si sono trovati a dover affrontare delle donne in battaglia, preferendo più volte la fuga per una motivazione religiosa. Secondo il loro credo quando un soldato viene ucciso da un uomo, infatti, ha la possibilità di andare nel paradiso dei martiri, con 72 vergini ad attenderlo; se invece muore per mano di una donna il suo destino è segnato: niente paradiso e niente vergini. Da qui il terrore di ritrovarsi faccia a faccia con una donna armata.
Hevrin Khalafa ha sempre sostenuto la causa curda, tentando di creare una convivenza pacifica con i cristiano-siriaci e gli arabi. Dopo la laurea in ingegneria civile ha voluto intraprendere la carriera politica proprio per difendere le minoranze e coltivare il sogno di una Siria pacifica e multi-identitaria. La nascita del Partito del Futuro siriano, il 27 marzo 2018, ha rappresentato per lei l’occasione per lottare contro il dogma baathista e i soprusi subiti dalle donne. La sua raffinata arte diplomatica l’ha portata a essere definita un “Ministro degli Esteri del Rojava”, grazie alla tenacia dimostrata nei numerosi convegni a cui ha partecipato, portando il suo messaggio di pace e di uguaglianza. Tra gli obiettivi primari per la transizione democratica della Siria ha sempre sottolineato il principio di laicità dello Stato e l’importanza della risoluzione 2254 delle Nazioni Unite, che recita: “Tutte le fazioni del popolo siriano dovrebbero essere rappresentate nel processo politico, compresa la stesura di una nuova costituzione”.
Mercoledì 9 ottobre, le minacce della Turchia diventano effettive: il territorio dei curdi viene invaso militarmente. In pochi giorni di battaglia arrivano le prime cifre drammatiche diramate dall’Onu: oltre 130mila sfollati, 400mila persone senza acqua, ospedali pubblici e privati chiusi a Ras al Ain e a Tel Abyad e soprattutto più di 300 vittime, compresi i civili. Inoltre sono state attaccate delle prigioni favorendo la fuga di uomini affiliati allo Stato islamico. Alcune personalità sono più a rischio delle altre, ed Hevrin Khalafa sa di essere tra queste. Le sue posizioni sono una minaccia sia per il governo turco che per le cellule terroristiche che si stanno risvegliando, pronte a tornare in azione. Eppure è intenzionata ad andare avanti: il 12 ottobre vuole essere presente a un vertice del suo partito a Qamishli, costi quel che costi. Come insegnano i curdi, il processo democratico deve andare avanti anche sotto il fischio delle bombe.
Sabato, 12 ottobre. Gli uomini che hanno preso Hevrin Khalafa fanno parte delle milizie mercenarie arabe che appoggiano l’offensiva turca, la cui presenza è stata favorita dagli attacchi alle carceri. Afferrano Khalafa e la portano sul ciglio della strada. Forse la stuprano. Poi prendono le pietre e comincia la lapidazione, non si sa se prima o dopo averle sparato. Quindi registrano dei video con i loro telefoni e li diffondono su internet. Si vede il corpo senza vita di Khalafa tra polvere, terra e sangue, i calci di un uomo per dimostrare che è morta. E una voce in sottofondo, nitida, che pronuncia: “Così muoiono i maiali”.
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. David Sassoli, neo presidente del Parlamento europeo, ha voluto ricordarla così: “Hevrin Khalaf è il volto del dialogo e dell’emancipazione delle donne in Siria. La sua uccisione, opera di terroristi islamisti, più attivi dopo l’invasione dei territori curdi da parte della Turchia, è un orrore su cui la comunità internazionale dovrà andare fino in fondo”.
Intanto a Derik, villaggio al confine con l’Iraq, si sono svolti i suoi funerali. I massimi esponenti politici e militari curdi, nonostante la situazione drammatica al confine con la Turchia, hanno deciso di presenziare in massa. Per qualche ora il rumore della battaglia ha lasciato posto al silenzio della commemorazione, ai pianti per la perdita di una sorella che ha difeso un popolo fino all’ultimo istante della sua vita.
Dietro la morte di Khalafa c’è la storia di una Siria dilaniata nel profondo e il dramma delle donne massacrate dall’Isis, dalla Turchia o dallo stesso regime siriano. Il più recente rapporto di SNHR (Syrian Network for Human Rights) mostra delle cifre allarmanti: dal 2011 al 2017 (anno dell’ultimo rilevamento) sono state uccise in Siria 24.746 donne, e tra queste 11.402 bambine. Più di 8.000 donne, inoltre, sono scomparse o si trovano imprigionate. Secondo il rapporto, vengono colpite per lanciare un messaggio di terrore, un avvertimento per l’intero popolo. Spesso infatti vengono stuprate e uccise davanti ai mariti e ai figli. Quando poi vengono imprigionate, sono condannate a mesi di torture fisiche e psicologiche. È per queste donne che Hevrin Khalaf combatteva, ed è per loro che è morta.
Un rinascimento femminista in Medio Oriente sembra quindi essere stato fermato sul nascere con la violenza dal fanatismo religioso, dai regimi edificati sulle colonne del patriarcato, dai terroristi che considerano la donna un essere inferiore e allo stesso tempo la temono sul campo di battaglia. L’azione militare turca non ha fatto altro che corroborare quelle cellule dormienti, i terroristi sconfitti dai curdi, e ripristinare il periodo più acuto del terrore in cui le donne possono essere violentate e lapidate come se niente fosse.
La speranza è che la resistenza curda possa essere così solida da mantenere quei principi democratici tanto temuti dai loro vicini di territorio, e che il ricordo di Hevrin Khalaf possa servire da esempio e rafforzare la battaglia per i diritti delle donne. Perché è così che ha voluto vivere una paladina dell’uguaglianza, ed è così che muore un’eroina.