Gypsy Rose Blanchard aveva 23 anni quando fu arrestata per aver organizzato l’omicidio di sua madre Dee Dee. Nicholas Godejohn, esecutore materiale dell’omicidio e fidanzato di Gypsy Rose, fu condannato all’ergastolo, mentre la giovane donna patteggiò una pena a dieci anni di prigione. Nonostante entrambi si fossero dichiarati colpevoli davanti al procuratore distrettuale del Missouri, il caso fu trattato come “straordinario e inusuale” e per la coppia fu esclusa subito la pena di morte. Gypsy Rose infatti aveva deciso di eliminare la madre dopo decenni di abusi psicologici, durante i quali Dee Dee aveva convinto lei stessa e la società intera che sua figlia fosse affetta da gravi patologie. La donna è uscita di prigione il 28 dicembre scorso, grazie alla liberazione condizionale, dopo aver scontato otto anni, ed è diventata una star: su Instagram ha già 8,5 milioni di follower e anche su TikTok è già seguita da 9,8 milioni di persone.
Dee Dee Blanchard era una madre single che soffriva di una condizione nota come sindrome di Münchhausen per procura. Chi soffre della sindrome di Münchhausen si convince o finge intenzionalmente di essere malato, arrivando a farsi del male per ricevere attenzione e compatimento da parte degli altri. Questa sindrome si può anche manifestare appunto “per procura”, ovvero nei confronti di un’altra persona, specie un figlio o una figlia. Sin da quando Gypsy Rose era neonata, la madre le aveva attribuito una lunga lista di malattie, oppure ingigantiva malanni comuni facendoli diventare gravi condizioni, come quando la bambina prese una botta a una gamba e fu costretta a usare una sedia a rotelle. A causa delle sue presunte patologie, Dee Dee isolava la figlia e non la mandava a scuola, modificando il suo aspetto affinché sembrasse malata: oltre alla sedia a rotelle, a Gypsy Rose venivano rasati i capelli e perse i denti a seguito di un trattamento anestetico che la madre le iniettava nelle gengive, per indurla a sbavare. Nel frattempo, la donna organizzava numerose raccolte fondi per sostenere le spese mediche imposte alla figlia. Una volta divenuta adolescente, Gypsy Rose cominciò a sospettare che le sue condizioni di salute fossero inventate e su Internet conobbe Nicholas Godejohn, un ragazzo autistico con un QI sotto la media, e con alcuni precedenti alle spalle per reati sessuali. Dopo tre anni di frequentazione online, i due organizzarono l’omicidio di Dee Dee, che avvenne il 14 giugno 2015 nella casa dei Blanchard, mentre la donna dormiva.
Poiché Dee Dee era solita creare raccolte fondi e aveva un profilo Facebook piuttosto seguito, Gypsy Rose era già abbastanza nota quando si consumò l’omicidio e, sin da subito, riuscì a guadagnarsi la benevolenza e la comprensione dell’opinione pubblica, che non solo considerava l’uccisione della madre legittima difesa, ma trattava Gypsy Rose alla stregua di una bambina, incapace di fare del male. Mentre era in prigione, la storia di Gypsy Rose divenne oggetto di decine di podcast, documentari e programmi true crime, nonché della serie tv Hulu The Act, vincitrice di diversi premi. Molte di queste operazioni furono accusate di capitalizzare sulla storia di Gypsy Rose, che infatti mentre era ancora in prigione minacciò di denunciare il produttore della serie tv. Appena scarcerata, Gypsy Rose ha annunciato l’uscita di un libro e di uno speciale di sei ore del programma tv Lifetime, con interviste registrate in carcere.
Gypsy Rose non è certamente la prima o l’unica persona accusata di omicidio a diventare una celebrità o a guadagnarsi una pletora di ammiratori e sostenitori. Già negli anni Cinquanta si parlava di “sindrome di Bonnie e Clyde” per descrivere l’insorgere di sentimenti romantici o erotici nei confronti di criminali. Gli studi spiegano questa fascinazione, che in alcuni casi diventa una vera e propria parafilia nota come ibristofilia, sia con il carisma di queste figure (basti pensare a Charles Manson, che prima di diventare l’architetto degli omicidi della Family fu di fatto il guru di una setta, e che anche in prigione continuò a ricevere lettere e regali da nuovi seguaci), sia perché il fatto che si trovano in prigione rappresenta una forma di amore impossibile e quindi ancora più desiderato. Nel caso di Gypsy Rose non si tratta però dell’infatuazione di qualche ammiratore, ma dell’ossessione collettiva di milioni di persone, cui vanno aggiunte le ospitate in tv, le interviste e le collaborazioni con le aziende. La donna, infatti, non è chiamata solo a raccontare la sua storia, ma è oggetto di attenzioni e gossip come una celebrità qualsiasi: in un video pubblicato sul profilo TikTok di Lifetime, per esempio, partecipa a un gioco dello stesso programma con suo marito – un fan che le aveva scritto una lettera mentre era in carcere – in cui ciascuno deve rispondere a domande personali sull’altro scrivendo su una lavagnetta, per poi confrontare ciò che hanno scritto.
Il motivo per cui così tante persone si sono appassionate alla vicenda di Gypsy Rose non è difficile da capire: le storie degli abusi in famiglia, specie quando riguardano le madri, affascinano dai tempi di Mammina cara, il film del 1981 ispirato alla vita dell’attrice Joan Crawford. La psicologa Sarah Gundle, in un articolo per la CNN, sostiene inoltre che la storia della donna (insieme a quella dell’ex attrice bambina Jennette McCurdy, autrice del libro Sono contenta che mia mamma è morta) tocchi un nervo scoperto nella società, facendo da controparte all’idea della madre perfetta che i social contribuiscono ad alimentare. Tuttavia, sono poche le persone ad analizzare la storia di Gypsy Rose come l’esito della stratificazione di problemi mentali pregressi o come il fallimento di un sistema che non è riuscito a proteggere una bambina dalla propria madre. La fama e il desiderio di attenzione hanno giocato un ruolo fondamentale nella storia di abusi perpetrati da Dee Dee nei confronti della figlia e ora che sono passati diversi anni dalla sua morte sembra che il pattern si ripeta con la trasformazione di Gypsy Rose stessa in un ennesimo contenuto da consumare, almeno finché l’attenzione di Internet non si rivolgerà ad altro.
I milioni di follower di Gypsy Rose sono l’esito della versione più assurda e crudele della stan culture, dove a prevalere non è la mera passione per un personaggio famoso, ma una sua idealizzazione, frutto di un lavoro di continua fabbricazione e analisi ossessiva dei suoi comportamenti. La creazione del personaggio Gypsy Rose è stato infatti una sorta di esercizio di scrittura creativa collettivo, dove, mentre la protagonista era assente e non poteva dire la propria, ognuno si è sentito legittimato ad alimentare una propria versione dei fatti: ora legata a una madre cattiva punita, ora a una vittima che finalmente consuma la sua vendetta, ora a una storia estrema di abusi psicologici, ora a un’eterna bambina che riconquista la sua libertà.
Mentre era in carcere, la vita di Gypsy Rose è diventata una miniera d’oro di contenuti per produttori televisivi e di podcast, ma anche per le migliaia di utenti qualunque di YouTube e TikTok che hanno commentato la sua storia tra un haul di SheIn e un get ready with me. È comprensibile che una donna che ha passato otto anni in prigione e che ha vissuto il resto della sua vita sotto il controllo della madre, ora che ne è fuori (seppur in libertà vigilata) voglia raccontare la sua storia, ma sembra che, proprio ora che può farlo con la sua voce, la sua vicenda sia passata in secondo piano, e quello che interessa al pubblico è che faccia o meno la millennial pause nei video o quale sia la sua beauty routine, mentre qualcuno si chiede nei commenti se ci siamo tutti dimenticati che questa donna ha organizzato l’omicidio di sua madre.
È ovviamente difficile dare un giudizio sulla vicenda di Gypsy Rose: qualcuno la considera la vera vittima di tutta questa storia, mentre altri la vedono come una crudele mastermind che avrebbe sfruttato le fragilità di un ragazzo per compiere l’omicidio della madre “senza sporcarsi le mani”. Ma proprio perché la sua vicenda si consuma in uno spazio ambiguo della moralità, consegnandosi alla volubilità di internet e dello status di celebrità, Gypsy Rose Blanchard rischia ancora una volta di diventare un fenomeno. Per quanto unica e particolare sia la sua storia, è anche paradigmatica di ciò che Internet sta diventando in maniera sempre più esplicita: un grande monumento dell’economia della reazione, dove a contare non sono i fatti, né la loro analisi, né tanto meno le persone che li riguardano, ma soltanto il loro mero consumo.
La morbosità sull’infanzia di Gypsy Rose Blanchard era ricostruita a posteriori, mentre ora basta aprire TikTok per vedere cosa combina l’ex detenuta più seguita degli Stati Uniti. A vedere le dinamiche della stan culture, è prevedibile che non appena Gypsy Rose commetterà un passo falso i suoi fan le si rivolteranno contro. C’è già chi le chiede se ha preso in considerazione l’idea di cambiare nome, visto che il suo corrisponde a un insulto nei confronti delle persone di etnia rom e questo, paradossalmente, per i parametri di Internet potrebbe essere un motivo ben più grave dell’accusa di aver organizzato un omicidio sufficiente per abbattere il piedistallo su cui è stata eretta.