Mentre sabato le strade di Roma si riempivano di decine di migliaia di persone per la manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne, la giornalista sportiva Greta Beccaglia, in collegamento con la trasmissione di Toscana Tv A tutto gol, veniva molestata in diretta fuori dallo stadio Castellani di Empoli al termine della partita Empoli-Fiorentina. Due tifosi l’hanno palpeggiata e altri le hanno rivolto frasi sessiste, mentre tutto veniva ripreso dalle telecamere della tv locale. Beccaglia ha risposto ai molestatori e ora sta chiedendo aiuto ai social per poterli identificare grazie ai video dell’accaduto. Ma oltre alla gravità del gesto, sono le parole del conduttore della trasmissione Giorgio Micheletti a essere criticabili: “Dai, non te la prendere”, ha ripetuto Micheletti, chiudendo il collegamento per permettere alla collega di “reagire, perché determinati atteggiamenti meritano ogni tanto qualche sano schiaffone che, se fosse stato da piccolo, li avrebbe fatti crescere meglio”.
Grazie soprattutto al racconto di Beccaglia sui social, la notizia è arrivata all’attenzione nazionale, con numerosi esponenti del mondo politico e giornalistico che le hanno espresso solidarietà. In pochi, però, hanno parlato della reazione di Micheletti, che è venuto anche meno al suo dovere di giornalista. Proprio perché gli episodi di violenza fuori dagli stadi non sono infrequenti, i giornalisti si devono attenere al Decalogo di autodisciplina dei giornalisti sportivi, che all’articolo 9 prevede di dissociarsi “immediatamente, in diretta, da atteggiamenti minacciosi, scorretti, litigiosi”. Il decalogo fa parte del Testo unico dei doveri del giornalista, la cui violazione può prevedere anche provvedimenti disciplinari. Il comportamento di Micheletti è stato criticato dall’Ordine dei giornalisti della Toscana, che ha ribadito che “è giunto il momento di smetterla di minimizzare e ricorda che la violenza contro le donne è prima di tutto un problema culturale e sociale”.
La molestia subita da Beccaglia sembra un triste manuale di istruzioni di come si svolge, commenta e reagisce alla violenza di genere in Italia. Una donna che sta semplicemente svolgendo il suo lavoro viene molestata e umiliata pubblicamente, reagisce e si trova di fronte l’indifferenza più totale. Non una singola persona interviene per aiutarla, assicurarsi che stia bene o anche solo confortarla. L’unico interlocutore che ha a disposizione minimizza, riferendosi non a ciò che ha subito, ma alla sua reazione: “Non te la prendere” sposta l’attenzione dagli aggressori al modo in cui Beccaglia ha risposto alla violenza. La constatazione più amara è che se la giornalista non avesse reagito, come accade nella maggior parte dei casi, sarebbe stata colpevolizzata. Beccaglia invece si è comportata proprio nel modo in cui ci si dovrebbe comportare di fronte a una violenza: non è stata zitta e si è attivata subito per identificare i molestatori in modo da denunciarli. Eppure, nell’immediato, non ha ricevuto nessun sostegno.
Pochi giorni fa, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, abbiamo assistito alla solita retorica che sostiene che le donne che non reagiscono o non denunciano sono in qualche modo complici della violenza. Sarebbe bello se anziché fare questo tipo di pressioni sulle vittime si puntasse il dito contro chi complice delle violenze lo è davvero: gli uomini che fanno finta di non vedere e non sentire, che minimizzano o che la prima cosa che pensano di fare è difendere se stessi, affermando che loro non farebbero mai del male a nessuna donna o che non tutti gli uomini sono così. Reazioni che non portano nessun aiuto concreto, specie in una situazione così delicata come una diretta televisiva.
Micheletti dopo le polemiche si è difeso sostenendo di aver pronunciato quelle parole per tranquillizzare la collega (citando, fra l’altro, la sua “scarsa esperienza” e la sua “giovane età”), che a sua volta ha chiesto di non prendersela con il conduttore. Ma ancora una volta, alla domanda del Corriere fiorentino: “Perché nel 2021 devono ancora accadere fatti come questi?”, il giornalista ha attribuito nuovamente il gesto a “persone che hanno un quoziente intellettivo sotto lo zero” e ridotto il tutto a una “questione di intelligenza”. A commettere violenza sulle donne, però, non sono solo persone dotate di scarsi mezzi intellettivi, da compatire o a cui – come suggeriva Micheletti in tv – dare qualche schiaffone rieducativo. Sono persone normali, adulti responsabili delle loro azioni e che sanno benissimo quello che stanno facendo. Anche associare la violenza di genere o la molestia sessuale alla stupidità è l’ennesima forma di minimizzazione. A essere stupidi sono sempre gli altri e così si riduce la violenza non solo a qualcosa di episodico, ma anche a qualcosa di estraneo alla società delle persone intelligenti e perbene. Qualcosa che non ci appartiene e che di conseguenza non va analizzato o decostruito. Vale la pena citare anche il modo in cui la notizia è stata riportata dalla stampa: ci sono i giornali che hanno riferito l’accaduto con un semplice “Greta” (senza cognome né titolo professionale) e quelli che – ora che sembra che l’aggressore sia stato identificato – si chiedono quando arriverà la denuncia della giornalista. Ancora una volta, l’attenzione viene spostata dalla violenza alla donna che l’ha subita, da un lato deumanizzandola, dall’altro facendo le pulci a ogni sua azione o parola.
Nel 2019 un atleta della maratona di Savannah, in Georgia, palpeggiò in diretta tv una giornalista dell’emittente locale WSAV-Tv e, una volta identificato, fu radiato a vita da tutte le gare podistiche. Oltre alla giustizia penale, gli aggressori di Beccaglia andrebbero puniti nello stesso modo, con l’interdizione da tutti gli stadi. Il mondo del calcio, che pochi giorni fa scendeva in campo con un segno di rossetto rosso sulla guancia in solidarietà alle donne vittime di violenza, è un mondo profondamente intriso di sessismo (oltre che di razzismo e di omofobia) in cui spesso giornaliste o conduttrici sportive finiscono per essere bersagli prediletti: basta fare un giro fra i commenti del profilo Instagram di Diletta Leotta, guardare i contenuti proposti dai siti di testate di calcio, o ricordare le polemiche suscitate dalla presenza di Danielle Madam, campionessa di getto del peso di origini camerunensi, alla trasmissione Rai per gli Europei “Notti Europee”. Secondo un’indagine della Federazione nazionale della stampa italiana, l’85% delle giornaliste italiane ha subìto molestie almeno una volta nella propria carriera: a circa il 27% è successo mentre stavano lavorando fuori dalla redazione come corrispondenti o inviate. Se il 50% non ha denunciato, il 15,6% di coloro che l’hanno fatto si sono trovate penalizzate nella loro carriera. Per quanto riguarda gli attacchi online, un recente report Unesco ha concluso che il 73% delle giornaliste di tutto il mondo ne è stata vittima.
È facile, nelle giornate “comandate” come il 25 novembre, perdersi in retorica e gesti simbolici, ma la violenza non si può affrontare pensando che basti qualche parola un solo giorno all’anno, per poi ignorarla e sminuirla gli altri 364. A maggior ragione in un ambiente maschile e machista come il calcio, dove le donne – anche quando professioniste di lungo corso – sono considerate eterne vallette e oggetti di scena, la cui validità si misura in bellezza e centimetri di pelle scoperta. Finché non si riuscirà, nemmeno di fronte a una palese e incontrovertibile molestia in diretta tv, a condannare la violenza di genere in ogni sua forma, rossetti, panchine e scarpe rosse non serviranno a niente. Una parola di condanna nei confronti di quanto subito da Greta Beccaglia sarebbe stata decisamente più utile.