È il quindicesimo giorno del terzo mese dell’Anno Domini 2019, e sul sito del WCF di Verona svetta ancora in tutta la sua autorevole maestosità il logo della Presidenza del Consiglio ad accompagnare il patrocinio del ministro della Famiglia. Nulla è cambiato quindi, nonostante nelle ultime settimane si sia assistito a tutto e il contrario di tutto. Al più classico dei giochi di questo governo – il rincorrersi fra gatto e topo, scambiandosi vicendevolmente i ruoli – a cui ormai ci ha abituato questo Giano bifronte che è il governo Lega-M5S. Due anime che, per quanto sottobraccio si muovano all’unisono, devono apparire diverse ai rispettivi elettori. Così nasce l’ormai insopportabile e imbarazzante scontro fra dichiarazioni rese dietro le quinte dei lavori ufficiali: si prende un tema su cui l’elettorato grillino e quello leghista divergono, la TAV o i migranti o le chiusure domenicali o il Ponte Morandi; si accende il dibattito pubblico con una dichiarazione a denti stretti di una non meglio precisata “fonte del governo” che ha il duplice scopo di fare pressione su una determinata parte, facendo bella l’altra agli occhi degli elettori; finché arriva la smentita, poi la smentita della smentita e così via. Il risultato è che pian piano nessuno parla più del tema in sé, ma dello scontro fra fazioni. E amici come prima.
Da tempo seguiamo la vicenda del World Congress of Families che si terrà a Verona dal 29 al 31 marzo. Abbiamo raccontato nel dettaglio da quali personaggi sia composta questa lobby, in quale modo operi e quali siano gli interessi in gioco. Abbiamo dato conto dei collegamenti con la Russia e dei contatti con alcuni partiti italiani, dalla Lega a Forza Nuova. Abbiamo spiegato chi sono gli speaker che saliranno sul palco di Verona e passato in rassegna le loro idee retrograde in tema di diritti delle donne e LGBTQ+. Abbiamo soprattutto denunciato l’assurdità non solo della concessione del Patrocinio da parte del governo italiano – per l’ennesima volta: il ministro della Famiglia è membro del governo – ma anche dell’utilizzo del logo della Presidenza del Consiglio. Abbiamo spiegato nel dettaglio com’è stato possibile che il ministro Lorenzo Fontana abbia avviato un’iniziativa personale per concedere quel patrocinio a un evento che, alla luce della nostra disamina, non sarebbe stato meritevole di tale concessione: non è connotato da un elevato peso culturale, come dimostrano pregresse esternazioni dei relatori in calendario, né si tratta esattamente di un’associazione bisognosa di fondi per sostenersi, visto che l’evento è organizzato da una lobby con 216 milioni di dollari di budget. In ultimo, pare esserci un fine lucrativo, come si evince dai biglietti d’ingresso in vendita, con tanto di “pacchetti vip” da oltre mille euro. Anzi, le ultime notizie uscite ieri sera sono state una conferma.
Sul patrocinio si è scatenata una giusta polemica, con due interrogazioni parlamentari, una risposta scritta e una orale rivolte alla Presidenza del Consiglio, e una mozione firmata dall’onorevole Monica Cirinnà.
E proprio sul patrocinio abbiamo assistito al ricorrente teatrino del gatto e il topo in salsa gialloverde. Tutto ha avuto inizio con la presa di posizione, sorpresa ma evidentemente tardiva, dei sottosegretari Cinque Stelle Vincenzo Spadafora e Stefano Buffagni. Se quest’ultimo si è limitato a un post social con l’hashtag #NotInMyName, il primo si è speso parecchio. Va innanzitutto ricordato che Spadafora è sottosegretario con delega alle Pari opportunità, ed è quantomeno particolare che abbia deciso di esporsi solo in seguito all’uscita dei primi articoli. Il sottosegretario ha rilasciato quindi un’intervista al limite del paradossale, in cui sembrava quasi denunciare un’irregolarità amministrativa nella proceduta seguita dal capo di gabinetto del ministero della Famiglia, ignorando evidentemente la possibilità (assurda ma esistente) di agire in autonomia per i ministeri senza portafoglio. Abbiamo chiesto a Spadafora qualche dettaglio in più sulla documentazione in suo possesso, ma ci ha semplicemente risposto “sono valide le dichiarazioni già rilasciate”.
Le polemiche sono continuate, la Presidenza del Consiglio si è esposta rilasciando un comunicato – evidentemente quando opportuno si sfruttano i canali ufficiali – in cui ha dichiarato di non aver mai ricevuto alcuna richiesta di patrocinio. Ma quel patrocinio il logo di Palazzo Chigi. Che quindi si è trovato in una posizione decisamente scomoda: sarebbe equivalso ad ammettere di averlo concesso, ma non farlo avrebbe esposto i Cinque Stelle, a parole lontani dai disvalori promossi dal WCF, a numerose critiche. Che fare allora? Come liberarsi dall’impasse? Ecco entrare il gioco la mala informazione. con l’unico scopo di buttarla in caciara, alzare un polverone che copra responsabili e responsabilità, e che alla fine oscuri anche il tema del dibattito.
Così, alle 13:31 di martedì 12 è stata diffuso un lancio d’agenzia da parte dell’ANSA: “Famiglia: fonti governo, revocato logo a Congresso mondiale. Sarà revocato l’utilizzo del logo della Presidenza del Consiglio dei ministri per il Congresso mondiale delle famiglie che si terrà a Verona il 29 marzo. E’ quanto si apprende da fonti del governo. Nei giorni scorsi Palazzo Chigi aveva preso le distanze dall’iniziativa di associazioni conservatrici, appoggiata dal ministro leghista della Famiglia Lorenzo Fontana, negando che ci fosse il patrocinio del governo. ‘Si tratta di una iniziativa autonoma del ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana – era scritto in una nota di Palazzo Chigi -, attraverso procedure interne agli uffici e che non hanno coinvolto direttamente la Presidenza del Consiglio’. Ora si apprende che sarà anche revocato l’uso del logo del governo.”
La notizia è stata ripresa dalle molte testate e giornalisti autorevoli con titoli tra loro molto simili, come: “Governo revoca l’uso del logo dopo le polemiche”. Peccato che nulla di questo fosse avvenuto. Il buonsenso, quello che pare vada tanto di moda di questi tempi, davanti a un generico “fonti del governo”, avrebbe dovuto spingere testate e giornalisti a fare una telefonata agli unici canali ufficiali preposti a lasciare dichiarazioni, appunto, ufficiali. Come i colleghi giornalisti dovrebbero sapere, infatti, Palazzo Chigi è dotato di un suo ufficio stampa, così come i ministeri. Organi che oltretutto vengono pagati lautamente, dunque perché non farli lavorare? Ma anche questa volta il morbo del retroscena ha avuto la meglio, o almeno così è sembrato.
Congresso mondiale famiglie, governo revoca l’uso del logo dopo le polemiche su promotori pro life e anti Lgbtq https://t.co/NJHzySmcMR
— Peter Gomez (@petergomezblog) March 12, 2019
Quando, più volte, ci siamo messi in contatto coi suddetti organi ufficiali, per quasi tre ore l’unica risposta è stata: “Non ne sappiamo nulla”. Così il Cerimoniale, il Ministero della Famiglia, la segreteria del Segretario generale e, inizialmente, anche lo stesso ufficio stampa di Palazzo Chigi.
La smentita ufficiale ci è arrivata intorno alle cinque del pomeriggio. L’ufficio stampa di Palazzo Chigi, nella persona di Massimo Prestia – che è anche collaboratore del portavoce Casalino – ci ha comunicato quanto segue: “Premettendo che la concessione del patrocinio e l’utilizzo del logo della Presidenza del Consiglio sono state frutto di un’iniziativa del ministero della Famiglia, Palazzo Chigi ha chiesto al Dipartimento per le politiche della famiglia [cui fa capo il ministero di Fontana, ndr.] e al dipartimento dell’editoria un supplemento di istruttoria per verificare la totale assenza di lucro che, come invece è stato fatto notare, sembrerebbe esserci dato che è previsto un biglietto a pagamento”. Prestia ha concluso dicendo di non essere a conoscenza di quale potesse essere la fonte dell’agenzia ANSA, ma che con ogni probabilità era stata travisata, dal momento che nulla era stato revocato.
La notizia che il governo avrebbe ritirato il patrocinio al WCF di Verona è falsa. Abbiamo sentito l’ufficio stampa di Palazzo Chigi che ci ha confermato solo l’inizio di un’istruttoria per “verificare la totale assenza di lucro che, prevedendo un biglietto, sembrerebbe esserci".
— The Vision (@thevisioncom) March 12, 2019
È stato innanzitutto Palazzo Chigi, attraverso il suo ufficio stampa, ad aver smentito la notizia, mentre il ministero della Famiglia ha provveduto a farlo solo in serata.
Stando unicamente alle dichiarazioni ufficiali, ad oggi pare sia stata avviata l’istruttoria che sarebbe stata necessaria se il percorso seguito dal ministero della Famiglia fosse stato quello “canonico”, ma che per il momento non è mai stata fatta. Ergo, per il momento nessun patrocinio è stato revocato, tantomeno l’utilizzo del logo della Presidenza del Consiglio. È quasi divertente a questo punto l’ennesima imbarazzata intervista del sottosegretario Spadafora – che pare essere anche la “fonte del governo” che ha divulgato la notizia della revoca – in cui in sostanza rettifica quanto da lui stesso dichiarato in precedenza, ricalcando invece le dichiarazioni dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi. Lo stesso dicasi per il vice presidente del Consiglio Di Maio, che a Di Martedì ha detto “chi è contro la parità uomo-donna non rappresenta niente della cultura M5S”.
Purtroppo l’iter dell’istruttoria potrebbe non essere così rapido – non a caso il regolamento prevede che le richieste debbano pervenire con congruo anticipo e almeno 3 mesi prima dell’evento. Il rischio è quindi che sia troppo tardi, a meno di un aut aut della presidenza del Consiglio, che però sembra pura utopia.
Il risultato di questo ennesimo teatrino è stato solo uno: una grande, inutile confusione. Intanto, nella serata di ieri, il ministro Fontana ha detto di augurarsi che “A livello governativo ci siano preoccupazioni più importanti che non un patrocinio, gratuito per giunta. Mi sembra che ci siano problemi ben più importanti in Italia”. Ma in un Paese in cui i diritti di molti vengono costantemente minacciati, il patrocinio a un evento anti-abortista e anti-LGBTQ+ non può che essere una priorità.