Ho una perversione. Ogni giorno, da diversi anni a questa parte, visito la pagina Facebook di Matteo Salvini. Non la seguo, non commento mai, sono il classico lurker che sta alla sua pagina come un umarèll sta ai cantieri. Inizialmente pensavo, mentendo a me stesso, che fosse necessario per tenermi aggiornato sullo spessore del pensiero dell’italiano medio, che fosse il termometro sullo stato di salute di un Paese – il suo, e per diversi anni quello di milioni di seguaci adesso più che dimezzati – basato sulla pietas patriottica, religiosa, familiare. Salvini era materiale da articolo, una miniera d’oro come Berlusconi per i comici negli anni che furono. In realtà, e me ne rendo conto soltanto adesso, non seguo in modo maniacale la sua attività social per chissà quale studio antropologico: è più un feticismo paragonabile a chi prova piacere guardando video in cui vengono sturati gli scarichi dei lavandini. Ciò che fuoriesce dalla sua pagina, un aggregato marcio di xenofobia, Dio-Patria-Famiglia, livore, leccornie da sagra e sciacallaggio, per me è pura dopamina. Spesso, di fronte a un evento di una certa rilevanza, il primo pensiero è chiedermi come Salvini commenterà e se lo farà. Così, di fronte a studenti minorenni presi a manganellate dalla polizia, mi sono fiondato sulla sua pagina Facebook. E ho trovato quello che probabilmente è il bignami del peggior politico degli ultimi dieci anni.
Il giorno della vergognosa violenza delle forze dell’ordine contro i manifestanti, Salvini ha deciso di attuare uno dei suoi numeri preferiti: girare la frittata. Nessun riferimento diretto ai fatti di Pisa (o di Firenze e di tutte le altre città dove parecchi agenti avrebbero ecceduto, senza criterio, nell’uso della forza), ma un primo post esplicito: la foto di una manifestazione dove una sagoma di Salvini è stata cosparsa di vernice rossa. Il suo commento: “Predicano pace ma diffondono odio e violenza accarezzando i terroristi di Hamas. Senza vergogna”. Nessuno degli studenti in piazza ha inneggiato ad Hamas nemmeno per sbaglio, ma al leghista serviva un diversivo, uno strumento di distrazione. Inutili i commenti al post, quasi tutti riconducibili a “Parlaci di Pisa”. Ovviamente non l’ha fatto. Poche ore dopo, posta un video in cui tre persone di numero, incappucciate, spaccano con delle pietre la vetrina di un Carrefour a Milano. “Che bravi ragazzi, che studenti modello, che pacifisti. Speriamo che nessun poliziotto o carabiniere disturbi questi giovani impegnati in questa importante azione di giustizia sociale. Sinistra ipocrita”. E qui si raggiunge l’apice del salvinismo, ovvero la mistificazione tramutata in pseudo verità. Nessuno degli studenti picchiati a Pisa era armato o ha lanciato oggetti alla polizia. Erano ragazze e ragazzi con uno zaino in spalla, e la cosa più vicina al corpo contundente che possedevano era probabilmente una gomma da cancellare. Salvini però associa il vandalismo di tre incappucciati a Milano con la protesta pacifica di minorenni a Pisa, ironizzando anche sui poliziotti o carabinieri che “disturbano” i giovani. Non si tratta di disturbo, però, ma di percosse e lesioni che al momento non trovano giustificazioni.
Se fosse un cittadino qualunque, le sue frasi verrebbero derubricate a deliri destrorsi postati con la bava alla bocca, invece è un ministro della Repubblica a farlo. Le forze dell’ordine dipendono direttamente dal Viminale, mentre Salvini in questa legislatura è stato riallocato a ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. In realtà, il ministero dell’Interno è comunque un suo terreno di gioco, avendo piazzato in quella posizione Matteo Piantedosi, suo fedele collaboratore e capo di gabinetto durante il Conte I. Piantedosi che ha commentato i fatti con frasi di rito, premurandosi di sottolineare che “le nostre forze dell’ordine sono tra le migliori al mondo anche proprio dal punto di vista della gestione democratica delle manifestazioni di libero dissenso”. E se pestare a sangue minorenni disarmati è sinonimo di “gestione democratica”, tremo al pensiero di cosa non lo sia.
Chi si è invece fatto sentire con forza è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con una nota ufficiale del Quirinale. Mattarella è andato dritto al sodo: “L’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli, ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”. Dopo un monito del genere, ci illudevamo che il day after potesse rappresentare un segnale di svolta, il momento delle scuse del governo e dell’autocritica, se non di dimissioni. Non è stato così. Meloni, dileguatasi nel nulla, non ha commentato direttamente le vicende. L’ha fatto però, in modo ancora più subdolo, attraverso un comunicato di Fratelli d’Italia che rispolvera il motto “E allora il PD?”. Viene scritto, infatti: “La sinistra che spalleggia i violenti è la causa dei disordini ai quali abbiamo assistito”.
L’unica violenza che si è vista a Pisa, però, è quella usata dai poliziotti, a meno che il partito di Meloni non volesse condannare degli adolescenti colpevoli di aver dato delle testate contro i manganelli. Forse Fratelli d’Italia l’ha scambiato per un nuovo trend di TikTok, o più semplicemente difende comportamenti che possono essere descritti con un solo aggettivo: fascisti. Il governo usa le forze dell’ordine come appendice delle proprie tendenze repressive, silenziando ancora una volta il dissenso con la violenza. E non ascoltare il richiamo del capo di Stato è un ulteriore tassello verso quel premierato che vuole togliere poteri al Quirinale per accentrarli sul capo di governo. È una vera e propria guerra fredda tra Palazzo Chigi e il Colle, uno scontro tra parole chiarissime e silenzi altrettanto espliciti. Dare la colpa alla sinistra di fronte a minori picchiati per il solo gusto di farlo – perché non rappresentavano alcuna minaccia, nessuno di loro era armato e la manifestazione procedeva in maniera pacifica – significa uscire scientemente dall’arco democratico per indossare le vesti degli autocrati senza scrupoli, sordi anche di fronte al rimprovero della prima carica dello Stato.
Se, anche il giorno dopo, Meloni si è svegliata afona, Salvini ha commentato più nel dettaglio i fatti di Pisa. Durante un intervento alla Scuola di formazione politica della Lega (li formano anche, oh) ha fatto innumerevoli giri verbali per poi arrivare a dire: “Giù le mani dalle nostre forze dell’ordine. Chi mette le mani addosso a un poliziotto o un carabiniere è un delinquente”. Anche la terza zampa del governo, tramite le parole di Antonio Tajani, segue la stessa strada: “Le forze dell’ordine non si toccano”. Entrambi parlano come se fossero stati gli studenti a pestare i poliziotti, e non il contrario. Nessuno ha “toccato” i poliziotti: sono stati loro ad alzare i manganelli contro dei ragazzi, e non con le piume. La difesa a oltranza anche di fronte a episodi nitidissimi, soprattutto in un’era in cui ogni evento può essere ripreso con un semplice telefono e annulla ogni dubbio, appare come un arrampicarsi sugli specchi, oltre che come una presa in giro nei confronti degli italiani. L’abbiamo capito che Salvini deve ingraziarsi le forze dell’ordine, visto che spesso è anche un loro cosplayer, ma la vergogna non può essere insabbiata con qualche panegirico studiato ad arte. Il governo non è soltanto complice di queste violenze, ne è il mandante.
Le reazioni della destra non fanno che dimostrare un pressappochismo che affonda le sue radici nell’ideologia, ricordando un po’ il berlusconismo, quando tutti i contestatori erano dei poveri comunisti. Oggi sono dei presunti violenti spalleggiati dalla sinistra, ma, per la proprietà transitiva, tornano comunque a essere dei poveri comunisti. E pazienza se stiamo parlando di sedicenni che tutto hanno nella testa tranne il pensiero di diventare maggiorenni per votare il PD; per la destra l’ossessione rossa permane. È anche l’evidenza di come le nuove generazioni vengano costantemente sottovalutate – e questo difetto è bipartisan. I giovani vengono accusati di non interessarsi alla politica, alla cosa pubblica, di non indignarsi abbastanza. In realtà, sono principalmente loro a scendere in piazza, per la salvaguardia del pianeta o per chiedere di fermare un genocidio. Ma quando lo fanno tornano a casa con la testa ferita. Ovviamente, sono tutti telecomandati dal PD, da Soros, da Bill Gates, dai rettiliani. Per la destra, infatti, il dissenso è sempre una depravazione, una falla nel sistema che prevede un complotto, un pericolo da arginare, con le cattive. Il mancato esame di coscienza dopo questi episodi vergognosi, però, appare come il marchio d’infamia di un governo estremista e liberticida. Adesso dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. Per accorgersene non serve andare sulla pagina Facebook di Salvini a osservare il marciume di un Paese che sta andando alla deriva