Non sono una grande estimatrice dell’Andrà tutto bene, né per indole una persona che riesce facilmente a vedere il bicchiere mezzo pieno. Tuttavia, in questo momento che definire storico è eufemistico, non si può negare che la COVID-19, con tutto ciò che ha portato nella nostra vita, dalla quarantena alla paura per la fine della carta igienica, è in qualche modo una strana occasione per fermarci a riflettere su certe cose. Non è di certo una benedizione mandata dall’alto per ricordarci che siamo solo carne e ossa, non è neppure un modo per gli dèi vendicativi di mettere un freno alla nostra hybris, ma come tutto ciò che è parte della realtà ha conseguenze negative e positive. Non ci scorderemo mai di questo distopico 2020 e forse non torneremo mai a vivere come facevamo prima di sperimentare le conseguenze di una pandemia, questo è molto probabile e abbastanza scontato. Quello che possiamo fare nel frattempo, oltre a seguire nel nome del buon senso e della civiltà le regole che possono salvare noi e chi ci sta intorno, è osservare nella noia e nella strana forma temporale che ha preso la nostra vita tutto quello che ci sta succedendo e come ci sta cambiando, quali sono le nostre reazioni. Sarà dunque perché in questo momento qualsiasi emozione sembra amplificata, ma ammetto di aver avuto un piccolo sussulto nel vedere le foto degli animali che ritornano in città a riprendersi lo spazio che il rumore e l’inquinamento delle metropoli avevano negato loro ormai da tempi immemori; allo stesso modo, ho sentito un brivido freddo quando ho capito che era nato ufficialmente il fandom del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
La cosa che mi domando più spesso in queste ore che sembrano infinite per certi versi ma anche troppo rapide e inafferrabili per altri è “Come avremmo fatto appena vent’anni fa senza internet a disposizione?”. Ma non c’è bisogno nemmeno di andare così tanto indietro nel tempo, visto che per esempio, nel 2009, quando ci fu la pandemia della cosiddetta influenza suina, i social erano ancora agli albori della loro pervasività nella nostra vita. Io ad esempio fui contagiata, così come tutto il gruppo di adolescenti italiani con cui mi trovavo in vacanza studio a Birmingham, ma non ricordo Facebook intasato da meme, opinioni, testimonianze.
Quando Giuseppe Conte, ormai due anni fa, venne fuori come nome scelto dal Movimento 5 Stelle per governare il Paese, in pochi lo conoscevano oltre ai suoi studenti di giurisprudenza. Nel giro di poco tempo, divenne virale un suo video in cui mentre veniva intervistato da Bruno Vespa tirava fuori dal taschino una medaglietta di Padre Pio che a detta sua portava sempre con sé. Il famoso “popolo del web”, come piace chiamarlo agli over cinquanta che fanno televisione, non perse l’occasione per trasformare quel momento piuttosto strano in un meme; esaurita la sua potenzialità memetica, Conte è tornato a essere quello che tutti pensavamo, ossia una figura secondaria dal punto di vista mediatico se paragonata a personaggi come Salvini o Di Maio. In quell’occasione, l’ironia era la chiave di lettura delle immagini che ci trovavamo davanti, così come succede con qualsiasi cosa su internet. Ironizzare, dissacrare, smontare, sovrapporre e riderci sopra sono gli elementi di base del discorso del web, dove tutto diventa una buona scusa per sghignazzare. Che sia una conseguenza della perdita di senso e della disillusione della realtà post-moderna in cui ci troviamo, dove il racconto stesso del mondo che ci circonda è delegittimato e privo di autorità, sembra abbastanza evidente. Ciò che è fondamentale chiedersi in questo momento dunque è quanto questa tendenza possa intaccare realtà fondamentali come quelle politiche, nonostante la politica stessa sembri tutto un gigantesco scherzo: il racconto mediatico di Boris Johnson che manda al macero gli inglesi per un greater good sembra un pessimo cattivo di qualche film di James Bond, così come Trump che vuole comprare l’esclusiva di un vaccino per la popolazione statunitense che può permetterselo, peraltro sviluppato in un Paese straniero, sembra una cosa tanto surreale da sembrare finta.
Certo, è solo un meme, e certo, non intacca più di tanto le cose serie della vita. Oltretutto, in un momento di forte stress e tensione come quello che stiamo vivendo all’unisono in Italia, specialmente per chi si trova nelle zone più colpite dal virus, un po’ di buonumore non può che far bene. Ma il punto non è decretare quanto sia seria o no una pagina come Le bimbe di Conte – che in pochissimo tempo ha raccolto centinaia di migliaia di follower sempre in crescita – perché è ovvio che ciò che abbiamo davanti a questo fenomeno non è di certo l’invaghimento da pensionata primi anni Zero per il Cavaliere. Nemmeno daddy.conte, altra pagina che usa il premier come fosse ad esempio un Mr.Grey, sta ovviamente intendendo quello che rappresenta ma solo utilizzando la visibilità e la centralità di un personaggio politico per sdrammatizzare la situazione. E proprio perché non c’è nulla di serio è il caso di analizzare più a fondo questa tendenza di stravolgere immagini e simboli per crearne di nuovi e di quanto in effetti possa incidere sulla percezione della cosa stessa. Il motivo per cui Giuseppe Conte è passato inosservato attraverso un anno e mezzo di governo con Salvini senza sollevare alcun tipo di interesse internettiano e pop su di lui è proprio perché accanto a sé aveva personaggi simili. Su internet, e quindi nel nostro presente, specialmente nelle generazioni di nativi digitali o quasi, è l’eccezione, l’esagerazione che crea interesse e catalizza il focus di chi osserva diventando una cosa rilevante. Giorgia Meloni che urla “Genitore 1/Genitore 2”, Berlusconi che conta le cose, Renzi che si impappina con l’inglese, Salvini che citofona: gli eventi straordinari generano un dibattito che si propaga attraverso l’immagine e la parodia infinita di questa.
Giuseppe Conte è diventato un evento, un caso mediatico, proprio perché si è trovato a essere per forza di cose il centro di una fase storica che nessuno di noi avrebbe mai immaginato di vivere, anche se gli scienziati la annunciavano da tempo. Le parole che ha usato nei suoi discorsi serali – “Distanti oggi per abbracciarci più forti domani” – oltre che l’immagine stessa di un leader che si siede e parla alla Nazione come una sorta di Fireside Chats di Roosevelt di noialtri, sono l’esempio perfetto di ciò che serve per trasformare un pezzo di realtà in materiale grezzo per internet e per ciò che sa fare meglio, ironizzare. Poco importa se sappiamo o no chi sia davvero Conte, se conosciamo davvero il suo percorso da presidente del Consiglio o se si tratta solo di un’immagine presa e riciclata per farci altro, l’essenziale è che quel momento, quel viso e quel modo di parlare siano compatibili con un’idea che vogliamo avere di quello che ci circonda. E in un momento di paura e instabilità, Giuseppe Conte – o Giuseppi, come lo ha chiamato Trump, giusto per renderlo ancora più meme – è esattamente quel volto, anche in contraddizione con il principio del M5S che per anni si è battuto per la normalizzazione dell’immagine del politico anti-casta: no, nessuno di noi vuole una fruttivendola come ministro dell’Agricoltura o un inserviente scolastico come ministro dell’Istruzione quando c’è una crisi vera. E infatti, le parole del premier sono suonate stranamente rassicuranti, forti, decise, proprio nel momento in cui tutti attorno a noi in Europa e nel mondo sembravano voltarci le spalle fino poi farci dire “Ve lo avevamo detto”. Giuseppe Conte, meme o non meme, è diventato come quel santino di Padre Pio che teneva in tasca: un simbolo di sicurezza salvifica.
Tutta questa incredibile piroetta di significati e immagini per quanto possa funzionare solo come valvola di sfogo per tensione e angoscia ha un risultato, che volendo o no adesso quel personaggio pubblico lo sentiamo tutti un po’ più vicino, un po’ più nostro. Indipendentemente dall’esito delle sue strategie con il virus, che spero con tutto il cuore si rivelino efficaci, Conte ha involontariamente creato attorno a sé un’aura mediatica accattivante. Facendo uno sforzo e volendo immaginare un presente molto più distopico di quello che abbiamo già davanti agli occhi, si può ipotizzare cosa sarebbe successo se invece di un professore di Diritto privato coi capelli fluenti e la passione per le cravatte eccentriche ci fosse stato proprio Matteo Salvini. Probabilmente il risultato sarebbe stata un’ulteriore polarizzazione dell’opinione pubblica del Paese, visto che la sua carica comunicativa è già da sempre molto forte; invece, proprio per il suo agire “nell’ombra” – ossia per il suo essere sin dall’inizio un personaggio politico funzionale a un accordo tra due parti e non un protagonista – Conte è diventato una figura inedita, un poster per ragazze con daddy issues, un meme da inviarsi nella chat di gruppo con gli amici.
Quello che succederà dopo che tutto questo sarà finito non lo possiamo sapere, possiamo al massimo sperare che il futuro sarà solo un po’ meno nero per il genere umano, magari rendendoci conto che i sistemi a cui siamo abituati – economici, sociali – non sono sostenibili e che i servizi pubblici come la sanità sono diritti imprescindibili. Ma quello che invece è già chiaro ora, al di là dell’ironia con cui possiamo legittimare ogni sorta di supporto, anche romanzato e finto, è che internet ha una forza e una velocità di diffusione dei messaggi che dobbiamo conoscere bene e che non dobbiamo sottovalutare per nulla al mondo. Perché oggi è un meme per ridere, domani potrebbe essere lo spunto per una campagna elettorale.