In Italia, il processo di cambiamento con cui il futuro invade le nostre vite di cui parlava il saggista Alvin Toffler, è in atto. Più che di un cambiamento, però, sembra trattarsi di una mutazione antropologica. Quelle figure che un tempo rappresentavano le eccellenze del nostro Paese in giro per il mondo, anche senza cadere nella retorica del ruolo quasi messianico, adesso vengono oltraggiate. Il bene viene raffigurato con nuove crepe, minato da ipotesi di complotti, dalla ricerca di macchie e dall’invito all’odio patrocinato dalle forze politiche al potere. In poche parole: sono tempi duri, se ti chiami Gino Strada.
Fino a qualche mese fa Gino Strada era considerato uno degli uomini più rispettabili del Paese. Anche i più restii alle celebrazioni e alle beatificazioni smodate non potevano che inchinarsi di fronte all’operato dell’associazione da lui fondata, alle vite salvate in tutto il mondo, ai 9 milioni di persone curate e agli ospedali costruiti nelle zone più disagiate del pianeta. Nelle rare interviste televisive Strada appariva burbero, schietto, a tratti antipatico. Ma nessuno ci faceva caso: doveva curare i malati nelle zone di guerra, non vincere un reality show puntando sulla simpatia. Attaccava tutti. Berlusconi, D’Alema, Minniti: i suoi avversari non erano delle figurine standardizzate legate a un partito politico, bensì i portabandiera – diretti o indiretti – di qualsiasi azione militare. La sua frase manifesto è sempre stata: “Io non sono pacifista, io sono contro la guerra”. Quando però le sue critiche hanno toccato il nuovo governo, qualcosa è cambiato.
Spesso gli elettori assorbono il linguaggio dei propri rappresentanti. Basta che questi diano il via e parte la carrellata di insulti. Quando Gino Strada criticava gli altri governi veniva considerato un uomo retto, una figura totemica da venerare proprio per la trasversalità e i suoi nobili fini. Adesso, per realtà come Riscatto Nazionale, è parente stretto di uno scafista. La scintilla è stata la netta presa di posizione di Strada sulla questione dell’immigrazione: “Gli esseri umani non sono sacchi di patate che vengono dirottati, tu ne prendi 10, io 15. Ma dico, siamo impazziti? Questo è un mondo di barbari. Qui stiamo tornando con le stesse logiche di tempi che speravamo non dovessero più presentarsi. Questa idea di un’Europa che si chiude con muri è un’idea che ha un nome molto chiaro: è un’idea hitleriana”. Qualcuno la chiamerebbe coerenza, ricordando l’opinione del medico sull’operato di Minniti; altri, ovvero la maggioranza rumorosa che ha preso piede nel Paese, lo considerano il tradimento di un nemico del popolo.
Sui casi Aquarius, Diciotti e Sea Watch 3, fino al Decreto Sicurezza, Strada non ha usato le mezze misure, criticando il governo e dicendo che “in Italia stiamo vivendo una nuova forma di fascismo”. Nuova, appunto. Chi l’ha accusato di vedere fantasmi dappertutto, o di tirare fuori un’epoca morta e sepolta, è convinto che Strada si riferisse ai nostalgici col busto del Duce sul comodino, a quei reietti che si radunano a Predappio per onorare una memoria immeritevole d’ossequio. Quello è un folklore equiparabile a un cosplay di pessimo gusto. Strada parlava di una nuova intolleranza strisciante, quella che si nutre dell’odio di massa confluito in un unico condottiero. Anzi, “capitano”. “Mi stupisce la completa disumanità di questo signore,” ha detto Strada riferendosi a Matteo Salvini. “Il suo è un atteggiamento che non è soltanto non solidale o indifferente, ma è gretto, ignorante. È un atteggiamento criminale. È il nuovo fascistello che indossa tutte le divise possibili, eccetto quella dei carcerati”.
Senza volerlo, i suoi sfoghi sono diventati linfa vitale per le campagne di Salvini, sempre alla ricerca di un nemico da dare in pasto al suo popolo, dell’osso da spolpare e poi sputare. E il popolo, incattivito e dai connotati sempre più simili a quelli del proprio capitano, non si è tirato indietro. La macchina del fango si è azionata all’istante. Salvini ha svolto la funzione della miccia, dichiarando in merito agli attacchi di Strada: “La fine della mangiatoia sull’immigrazione li sta facendo impazzire”. Ai più, per fortuna, sfugge il parallelismo tra Strada e la “mangiatoia sull’immigrazione”. Nella mente sovranista invece è molto chiaro: Emergency è una Ong, e questo basta per rinvigorire i loro sentimenti di repressione.
Gino Strada ha fondato Emergency nel 1994 e, con il prezioso aiuto della moglie Teresa Sarti prima, e della figlia Cecilia poi, è riuscito a offrire cure mediche gratuite nelle zone devastate dalle guerre e dalla povertà. È diventata giuridicamente una onlus nel 1998, e l’anno dopo un’organizzazione non governativa, quell’acronimo (Ong) che oggi è sinonimo di ignominia tra i nazionalisti moderni. Quelli del mantra “aiutiamoli a casa loro”, per intenderci. Emergency l’ha fatto: ha costruito ospedali, centri pediatrici e ambulatori mobili a casa loro, cioè in Iraq, Sierra Leone, Sudan, Ruanda, Eritrea, Afghanistan, Angola, Libia, Kosovo, Cambogia e tante altre nazioni martoriate dal lato oscuro dell’uomo.
Di solito, arrivati a questo punto del discorso, i salviniani duri e puri tirano fuori l’asso nella manica. Aiutarli a casa loro si trasforma in un supplemento non richiesto, entra in gioco il piano B: “E non pensate agli italiani?”. Bene, Emergency dal 2006 agisce anche nel nostro Paese: poliambulatori in Sicilia, in Veneto, in Calabria in un palazzo confiscato alla ‘ndrangheta, progetti nelle carceri della nostra penisola garantendo assistenza medica, nelle coste a medicare i migranti dopo le angustie patite in viaggio. Non potendo attaccare Emergency sul suo operato, gli odiatori seriali hanno estratto la più subdola delle armi: quella delle bufale. Partendo da quella di Salvini sulla mangiatoia, smontata dallo stesso Strada semplicemente ricordando che i conti di Emergency sono trasparenti e consultabili in rete, sui social ne è comparsa un’altra, quella di una presunta residenza in Svizzera di Gino Strada per evitare di pagare le tasse in Italia. Anche in questo caso si è rivelata un’accusa infondata.
Se il conflitto con Salvini appare fisiologico, la naturale conseguenza quando si scontrano due poli opposti del pensiero, l’aspetto controverso riguarda la posizione del M5S. Nel 2013 i grillini organizzarono sul loro blog le Quirinarie per scegliere il loro candidato alla presidenza della Repubblica. I tre nomi più votati furono Milena Gabanelli, Gino Strada e Stefano Rodotà. Gabanelli si defilò, lasciando a Strada l’onere della candidatura. Quest’ultimo, infine, decise di non accettare, ma rimase ancora per anni una stella polare nel firmamento grillino. Grillo lo ospitò sul suo blog, gli elettori fedeli all’onestà e alla rettitudine – a orologeria – lo ammiravano senza riserve, nonostante la sua chiarezza nell’affermare che non aveva votato per il M5S, visto che dopo trent’anni di assenza dai seggi elettorali – causa disgusto per tutte le forze politiche italiane – il suo endorsement era andato all’evanescente parentesi di L’altra Europa con Tsipras.
Adesso i grillini, sia i rappresentanti che gli elettori, si sono appiattiti sulle storture del salvinismo dilagante, e Strada è dall’altro lato della barricata. Non si è di certo fatto intimidire dalla rabbia social di chi prima lo posizionava su un piedistallo, ed è arrivato a dichiarare: “Quando alla fine si è governati da una banda dove una metà sono fascisti e l’altra metà sono coglioni non c’è una grande prospettiva per il Paese”. Il problema è distinguere il confine.
È l’epoca in cui le barbarie vengono sdoganate come se fossero la normalità delle cose, in cui il buonsenso ha snaturato il suo significato dietro il megafono di un aizza-popolo vestito da poliziotto; è normale dunque per Gino Strada scivolare nel girone infernale dei buonisti, quelli che hanno l’unica colpa di sentire ancora il grido degli ultimi. Se però a gridare sono loro, non vengono sentiti, poiché tacciati di essere boriosi chiacchieroni col culo coperto – anche se operare tra i campi minati dovrebbe escluderti di diritto da questa definizione – degli scafisti pagati da Soros, con il supporto di Macron e del padre di Renzi. È un passaggio storico, uno come tanti, e come gli altri passerà. Mentre i politici parlano di barconi da affondare e di migranti da rispedire nei lager libici, protetti dallo schermo di uno smartphone o di una telecamera, qualcuno prima o poi si renderà conto che esiste una seconda narrazione, fuori da ogni retorica, e le cose torneranno al loro posto. Le buone azioni saranno semplicemente buone azioni. Nulla più.
Gino Strada non è un eroe, è un medico – anche se i due ruoli, a volte, sono intercambiabili. Eppure, tra cinquant’anni, quando questa rabbia svanirà, la gente si darà appuntamento in Piazza Strada, in una qualsiasi città. Cercherà sulla mappa altri segni di questo tempo, sposterà il dito sui quadranti urbani alla ricerca di Corso Salvini, di Viale Di Battista, di Piazzale Pillon, e non li troverà.