Tra vicinanza alla Russia e antiamericanismo, su Gaza e Ucraina c’è un doppio standard inaccettabile - THE VISION

Ho sentimenti contrastanti quando mi accorgo di come la causa palestinese stia venendo in parte strumentalizzata. Da un lato è comunque un sostegno che sta prendendo sempre più piede e verso cui sento un senso di appartenenza, un moto di umanità e libertà in cui riconoscermi, soprattutto perché sfida quei tentennamenti dei governi occidentali che, invece, sembrano aver paura di pronunciare qualsiasi frase contro il governo israeliano. Finalmente la causa palestinese sta ampliando i propri canali e Netanyahu è riconosciuto sempre da più persone come un autocrate spiegato. E quale giubilo a sentire sul palco di Sanremo un cantante, Ghali, dire la parola impronunciabile: genocidio. Dall’altro lato, però, vedere alcuni sostenitori pubblici del popolo palestinese chiedere al contempo subdolamente al popolo ucraino di arrendersi e portare avanti in Italia la propaganda di Putin mi suscita una sorta di repulsione.

Il doppio standard è una delle più grandi cialtronerie in politica e in generale nella società. Quindi salviamo i palestinesi ma gli ucraini morissero tutti ammazzati. Liberate Assange ma Navalny lasciatelo crepare in Siberia. Io credo che alla base di questo comportamento ci sia un antiamericanismo di fondo mai del tutto sradicato. Per cui il rifiuto di supportare l’Ucraina dipende dal sostegno bellico e finanziario degli Stati Uniti al popolo invaso, mentre l’appoggio ai palestinesi viene più spontaneo, essendo Israele un prezioso alleato della Casa Bianca. Se non fossimo accecati dalla faziosità, riusciremmo ad appoggiare tutti i popoli invasi e vessati senza soffermarci su quei contorni che sfociano nel motto “il nemico del mio nemico è il mio amico”. Io sostengo la causa palestinese e devo tapparmi il naso quando mi ritrovo nello stesso schieramento degli Orsini, dei Di Battista, dei Santoro, dei Travaglio. Non per il rischio che questo possa modificare la mia battaglia, ma perché l’ipocrisia di chi si posiziona per ideologia ha trasformato anche le guerre in un tifo da stadio.

Julian Assange

Oltre al già citato antiamericanismo, uno dei motivi che porta alla formula “palestinesi buoni-ucraini cattivi” è la vicinanza di certi personaggi all’universo russo. Soprattutto la galassia del Movimento Cinque Stelle, tra politica, stampa e satelliti della creatura grillina. Prendo come esempio la morte di Navalny, evento di stretta attualità che può descrivere al meglio l’incongruenza di pensiero che aleggia in certi ambienti. Alla notizia della sua dipartita – chiamarlo omicidio verrebbe quasi spontaneo – sono stato due giorni sui profili social di Alessandro Di Battista in attesa di un commento sulla vicenda. Ha parlato di altre cose, schivando in toto l’argomento. Alcuni commentatori hanno provato a spronarlo: “Scusa Dibba, ma non ci dici niente di Navalny?”. Come risposta, ha messo un post per pubblicizzare il suo spettacolo teatrale su Julian Assange. Proprio perché il doppio standard è abominevole, è giusto ricordare come sia possibile indignarsi per Navalny e per Assange, così come avere la coscienza critica di contestare le scelte ingiustificabili degli Stati Uniti, ma anche dell’Unione Europea o del nostro Paese. Nella sfera della tifoseria no: bisogna portare avanti la propria narrazione con il paraocchi.

Alessandro Di Battista

Con due giorni e mezzo di ritardo, finalmente è arrivato il commento social di Di Battista su Navalny: ovviamente un attacco alla stampa e ai politici buttando in mezzo la solita pappardella sull’Ucraina e la Nato. “Politica e media stanno usando la morte di Navalny per un obiettivo preciso: continuare la folle strategia in Ucraina”. Se a morire fosse stato Assange, Dibba si sarebbe probabilmente incatenato davanti l’ambasciata degli Stati Uniti in Italia, ma tralasciamo questo dettaglio. È incredibile come, a due anni dall’invasione russa, la “folle strategia” sia quella del popolo invaso e di chi lo sostiene e non del dittatore che ha devastato una nazione e fatto carneficine su carneficine. Qui forse è doveroso un ripasso su alcune tappe della storia politica di Alessandro Di Battista.

Nel 2016 Dibba guidò una delegazione del M5S alla Duma per dialogare con Russia Unita di Putin. Incontrarono Sergei Zheleznyak, all’epoca vicepresidente della Duma, nonché il politico che firmò il contratto ancora valido tra Lega e Russia Unita. Zheleznyak disse di essere pronto a siglare un accordo anche con il M5S, ma ancora oggi nessuno sa se sia realmente avvenuto. Quando Di Battista tornò in Italia, casualmente depositò una proposta di legge per chiedere all’Italia di uscire dalla Nato. Sempre casualmente accompagnò Grillo all’ambasciata russa di Roma per discutere con diplomatici e funzionari di diverso livello e apparvero sul blog grillino notizie delle testate Russia Today e Sputnik, cancellate da Casaleggio Jr quando il M5S arrivò al governo nel 2018. Sempre nel 2016, secondo quanto riporta il libro Supernova. Come è stato ucciso il Movimento Cinque Stelle, scritto dagli ex collaboratori di Gianroberto Casaleggio Nicola Biondo e Marco Canestrari, con alle porte il referendum costituzionale voluto da Renzi, Di Battista avrebbe pronunciato una frase negli uffici del gruppo parlamentare del M5S: “Che ne dite di farci dare una mano per la campagna sul referendum costituzionale dall’ambasciatore russo? Con tutto quello che stiamo facendo per loro…”. 

Davide Casaleggio
Gianroberto Casaleggio

Il 22 febbraio 2022 Di Battista scrisse in modo laconico, con la boria di chi la sa lunga: “La Russia non sta invadendo l’Ucraina”. Meno di quarantotto ore dopo, la Russia avrebbe invaso l’Ucraina. Da quel momento iniziò, sempre casualmente, la sua campagna di critica serrata alla Nato, a Zelensky e contro chiunque osasse condannare i crimini di Putin. Andò in Russia per per realizzare una serie di reportage per Il Fatto Quotidiano. Scrisse, tra le altre cose: “I russi hanno il morale alto e sono stretti al loro presidente”. Roba da velina di partito. Non possiamo dunque stupirci per le sue posizioni attuali, soprattutto perché il M5S nel 2020 si è astenuto all’Europarlamento quando si è votato sulla richiesta di un’indagine internazionale per l’avvelenamento di Navalny. Per la cronaca, si astenne anche Fratelli d’Italia, e la Lega addirittura diede voto contrario.

Alexei Navalny

Un altro grande sostenitore della popolazione palestinese, ma allergico a quello ucraino è Alessandro Orsini. Sempre parlando della morte di Navalny, a differenza di Di Battista non è stato parco nei commenti. Ha definito “una pagliacciata” la fiaccolata per ricordare l’ennesimo oppositore fatto fuori dal regime di Putin, e la sua tesi è che i media occidentali parlino della morte di Navalny per coprire il fatto che l’Ucraina abbia perso la guerra – l’ha deciso lui a quanto pare, il conflitto è finito. Ospite poi da Bianca Berlinguer, ha cercato per tutta la durata della trasmissione di non rispondere direttamente alle domande incalzanti della conduttrice, spostando l’attenzione su Gaza. Ha dichiarato che “è assolutamente scorretto che Navalny venga elogiato solamente per essersi opposto a Putin. È vero, in passato ha avuto posizioni spesso più che deprecabili, come quando ha definito i musulmani e i caucasici degli “scarafaggi”, ma Orsini finge di non capire che la notizia è l’ennesimo nemico di Putin morto in circostanze “poco chiare”, non la sua glorificazione. 

Alessandro Orsini

Sembra che ogni argomento, che si tratti di geopolitica, del Festival di Sanremo o di cronaca giudiziaria, venga ormai sviscerato attraverso il mezzo della guerra tra fazioni. L’appiattimento ideologico rende quasi inconcepibile concentrarsi sulle singole questioni senza lo spettro del partito preso. È come se, sostenendo la popolazione palestinese e criticando le azioni dell’Occidente, dovessi fare lo stesso per qualunque altro evento mondiale. Dovrei quindi tollerare il tentativo della Russia di sottomettere la popolazione ucraina soltanto perché lo stesso Occidente è contro Putin, altrimenti vengo definito un servo della Nato o uno schiavo degli Stati Uniti. Ci sono dei presupposti dogmatici che spingono a imporre un aut aut, una scelta aprioristica sui temi della società in cui viviamo. 

Forse è lo specchio dei nostri tempi che tra le prime file di chi chiede il cessate il fuoco a Gaza ci siano anche quegli individui che non solo non hanno mai chiesto il ritiro delle truppe russe in Ucraina, ma hanno esortato gli ucraini ad arrendersi e l’Occidente a lasciare campo libero all’imperialismo di Putin. A prescindere dal fatto che siano liberi cittadini, soggetti accecati dal tifo o megafoni di chi li sta foraggiando, la società e le sue propagande interne prevedono il pregiudizio anche nello schieramento, in quanto vengono valutati i nomi dei protagonisti in campo e non quello che hanno fatto, le bandiere e non le azioni. E se siamo sempre di più un pianeta di bandiere, è bene che per un po’ non faccia vento.

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