Questo è il periodo dell’anno in cui gli studenti fuorisede e i giovani lavoratori meridionali che vivono al Nord iniziano a pensare al ritorno a casa per le vacanze natalizie. Ritrovare la famiglia, la propria terra e i vecchi amici è un modo per staccare dalle incombenze universitarie e lavorative e ricaricarsi. Fuori da questo quadretto in stile Casa Surace c’è però la dura realtà: i prezzi dei voli interni ormai sono inaccessibili.
Il periodo che va dal 21 dicembre al 6 gennaio per i passeggeri delle tratte aeree è da bollino rosso e l’unica soluzione per evitare i prezzi esorbitanti è prenotare con largo anticipo – con molte compagnie è possibile farlo anche 11 mesi prima del volo. Non tutti però possono programmare così presto il rientro, e le cause vanno dalla variazione dei giorni lavorativi alle più disparate esigenze personali. Di conseguenza ci si ritrova a dover prenotare quando il costo è già fuori portata. Chi prova a difendere le scelte delle compagnie aeree tira in ballo il meccanismo di domanda e offerta: durante le feste il numero dei passeggeri si moltiplica a dismisura, garantendo profitti in aumento. Vengono però dimenticati i disagi e le rinunce dell’utenza e un dettaglio in particolare: queste strategie aziendali vanno a colpire principalmente i giovani italiani, gli stessi che sono già dovuti emigrare dalle loro terre d’origine, quelle che si stanno svuotando in modo preoccupante. E tutto questo non significa guadagnare attraverso il turismo nel periodo natalizio, ma speculare sui cittadini che non vanno in vacanza, ma tornano a casa.
Per spiegare questo fenomeno a scala nazionale che, nonostante proteste e petizioni, nessun governo è riuscito ad arginare, useremo l’aeroporto del Sud che nell’ultimo decennio ha avuto il più alto traffico di passeggeri: quello di Catania, che ha staccato quelli di Napoli, Palermo e Bari. Un volo interno Ryanair Milano-Catania nel periodo natalizio può arrivare a costare 500 euro. Con la stessa compagnia aerea e i medesimi tempi di prenotazione, un volo Milano-Londra costa 44 euro. C’è qualcosa che non va.
Oltre a chi rientra per le feste, a rimetterci sono i frequent flyers, coloro che viaggiano costantemente per necessità e che sono costretti a subire variazioni di prezzo smodate. La stessa economia delle singole regioni ne risente, poiché costi così onerosi disincentivano il raggiungimento del luogo. A capirlo prima di tutti è stata la Sardegna, che negli scorsi anni ha emanato un bando per la continuità territoriale valido per il periodo 2017-2021. Consiste nella garanzia di 5 milioni di posti a tariffe bloccate per i residenti sardi, con costi ridotti per i non residenti. Un biglietto per Roma Fiumicino viene dunque a costare 37 euro, e per Linate 46. Per tutto l’anno. La normativa spiega che la misura è attuata per “imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale della regione”. Costo totale dell’operazione: 250 milioni di euro in un quadriennio. L’arrivo di Solinas e della giunta di centrodestra ha però rischiato di modificare i piani, in seguito anche ai ricorsi di Ryanair e Air Italy: l’ipotesi di uno stop del bando è stata però scongiurata da una proroga firmata ad aprile 2019, e le tariffe scontate per i sardi sono salve.
In Sicilia si è discusso più volte di continuità territoriale, ma è stata applicata soltanto per i collegamenti con le isole di Lampedusa e Pantelleria. Nell’aprile del 2016, quando era presidente del Consiglio, Matteo Renzi dichiarò: “Sulla continuità territoriale in Sicilia ci stiamo lavorando”. Fu subito smentito pochi mesi dopo dalla Commissione Europea, che sull’argomento chiarì: “Un sostegno in Italia ai trasporti delle regioni remote, isole comprese, può essere erogato anche in forma di aiuti a carattere sociale, ma la Commissione non ha ricevuto di recente nessuna nuova proposta o modifica di OSP (oneri di servizio pubblico) da parte delle autorità italiane”. Anche successivamente a quella data, con i nuovi governi che si sono susseguiti, sono rimasti gli stessi disagi, dunque la politica italiana non ha intenzione di affrontare questo problema.
I metodi alternativi per “tornare a casa” ci sono, ma rappresentano lo specchio di un’Italia a doppia velocità. I temerari che scendono al Sud in treno sanno bene che, per lo meno da Salerno in giù, le reti ferroviarie e i mezzi non sono al passo con il resto dell’Europa. È un problema basilare di infrastrutture, con il Sud fanalino di coda nei collegamenti e dunque nell’essenzialità dei servizi. Il viaggio Milano-Catania in treno dura 11 ore e 35 minuti, nella migliore delle ipotesi e con un costo comunque non trascurabile dato dall’alta velocità; se non ci si può permettere il treno veloce invece si arrivano a coprire circa 1300 km in 17 ore. In nave ci vogliono comunque 22 ore, per arrivare da Palermo a Genova e i biglietti non costano meno di quelli aerei; e anche in macchina, se si viaggia soli, tra autostrade e benzina i prezzi sono alti così come le ore di percorrenza. Un’odissea insostenibile, soprattutto per chi ha pochi giorni di vacanze e non può permettersi di bruciarli sul vagone di un treno. L’aereo è dunque la soluzione più gettonata, ma le compagnie e la politica non vengono certo incontro ai cittadini.
Le reazioni sono ogni anno le stesse: indignazione che non porta a nulla. Marco Falcone, assessore regionale ai trasporti in Sicilia, ha parlato di una “conclamata emergenza”, chiedendo un intervento del Governo nazionale attraverso un tavolo tecnico per garantire risposte concrete ai siciliani. Ha aggiunto che “Le tariffe insostenibili e i frequenti disagi per i passeggeri rendono la condizione di insularità della nostra Regione una vera e propria prigione”, indicando gli aeroporti di Palermo e Catania come “luoghi di atterraggio stabiliti solo dai desiderata e dalle volontà incontrollate delle compagnie aeree”. L’assessore regionale al Bilancio, Gaetano Armao, è arrivato anche a chiedere l’intervento dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac). Siamo però di fronte a un tipico caso di malapolitica: lo Statuto della Regione Sicilia prevede che le tariffe vengano concordate alla presenza di un rappresentante del governo siciliano. La domanda dunque sorge spontanea: i politici in questione mentono sapendo di mentire o semplicemente non hanno fatto bene il loro lavoro?
Il fenomeno ormai dura da anni, e gli accenni di mobilitazione sono arrivati soltanto in seguito alle lamentele dei cittadini, mentre le classi politiche nazionali e regionali gareggiavano a chi sottovalutava di più il problema. La vetrina del web è servita a mettere sotto i riflettori alcuni casi eclatanti, come la testimonianza dell’ottobre 2016 di Giulia Geraci, siciliana trapiantata a Milano, che ha pubblicato su Facebook lo screenshot di un preventivo online per un volo Milano-Catania con Alitalia nel periodo nero. Andata 23 dicembre, ritorno 8 gennaio, costo: 700 euro. Il post ha subito fatto il giro della rete, sollevando un polverone che, come si evince dalla situazione invariata tre anni dopo, non ha portato a nulla, se non alla risposta di Alitalia che ha invitato Giulia a prenotare il biglietto con largo anticipo, cosa che comunque non giustifica quella cifra. In questi giorni si possono trovare biglietti andata e ritorno da Roma a New York per lo stesso periodo (23 dicembre–8 gennaio) a prezzi minori rispetto al Milano-Catania di Giulia. E purtroppo la cosa non mi sorprende. Si suppone che per una compagnia aerea i costi siano nettamente maggiori per un volo intercontinentale di oltre nove ore rispetto a un volo interno come il Milano-Catania di circa un’ora e quaranta minuti, eppure la logica seguita dalle compagnie non è certo quella spese-profitti.
Per sensibilizzare sull’argomento e tentare di smuovere le acque in ambito nazionale, L’Unione industriali di Confcommercio Palermo ha lanciato una petizione online contro l’aumento indiscriminato del costo dei biglietti aerei da e per la Sicilia. Antonio Lo Coco, il presidente dell’associazione, spiega che “Pagare circa 500 euro per un biglietto aereo di sola andata per Roma è fuori da ogni logica, e noi non vogliamo più subire passivamente una simile condizione di svantaggio”, e parla inoltre delle “difficoltà delle aziende che si trovano nella necessità di usufruire dei servizi aerei per i propri dipendenti e che sono costrette a registrare considerevoli costi di trasferta a discapito della competitività; o, peggio ancora, a rinunciare a spostamenti fuori sede dei propri collaboratori, rischiando pesanti contraccolpi sullo sviluppo dei volumi d’affari”.
Come abbiamo visto, a rimetterci sono tutti: i fuorisede, le aziende, le regioni e, di conseguenza, l’economia nazionale. La classe politica del Paese deve necessariamente rendersi conto al più presto di questa emergenza, perché se non è riuscita a garantire ai giovani il diritto di restare, deve almeno lavorare su un diritto altrettanto importante: quello di tornare.