Carenza di docenti, deficit nelle infrastrutture, stipendi non adeguati: il sistema scolastico italiano ha molte lacune. Non poteva essere altrimenti in un Paese che spende solo il 4,1% del proprio Pil per l’istruzione. Siamo tra gli ultimi in Europa, mentre Paesi con un potenziale di investimento simile al nostro, come Francia e Inghilterra, spendono quasi il doppio.
Non è solo una questione di denaro, dato che le scarse risorse destinate al comparto scolastico vengono spesso usate male, ma è l’intero sistema che va ripensato. Bisogna guardare agli esempi virtuosi degli altri Paesi europei. Secondo il report Education at a glance del 2018, l’Italia ha solo l’1% dei docenti sotto i 30 anni e ben il 58% sopra i 50. Tra i Paesi europei con le percentuali migliori troviamo la Finlandia, che vede il proprio corpo docente composto per il 7% da insegnanti under 30 e per il 57% tra i 30 e i 50 anni.
È un dato esplicativo di come il sistema scolastico finlandese sia diverso in maniera radicale dal nostro, non solo dal punto di vista anagrafico, ma anche nell’organizzazione. Le statistiche di Global Partnership for Education dimostrano che nel 2019 la Finlandia è lo Stato occidentale con il miglior sistema scolastico al mondo, battendo di poco Canada, Australia e Germania. Un risultato che non si ottiene solo massimizzando l’efficienza, ma soprattutto rivoluzionando la filosofia alla base dell’apprendimento. La riforma scolastica finlandese risale all’inizio degli anni Settanta e fu decisa per fare fronte al basso livello di istruzione in cui, fino ad allora, versava la Nazione. Dal 1972 al 1977 una serie di modifiche ha profondamente modificato l’intero sistema, a dimostrazione di come è possibile attuare un progressivo mutamento senza che questo venga percepito in maniera traumatica.
In Finlandia gli anni di scuola dell’obbligo sono solo nove e interessano la fascia di età che va dai 7 ai 16 anni. A questi si aggiunge un anno di scuola materna non obbligatorio. Ciò è possibile perché il sistema scolastico è integrato da una serie di misure di welfare che rendono più agevole la crescita del bambino. Spesso, in sistemi come quello italiano, si “parcheggia” il bambino all’asilo e prima ancora al nido perché non c’è la possibilità per i genitori di conciliare il lavoro con le necessità dei propri figli, anche per le risorse inadeguate messe a disposizione dal datore di lavoro e dallo Stato. In Finlandia, invece, la legge prevede fino a tre anni di congedo parentale. Inoltre, per ogni nato viene recapitato alle famiglie un kit di prima necessità con vestiti, coperte, saponi e altri benefit utili alla cura del neonato. La stessa scatola che contiene il kit può essere usata come culla. Non è fantascienza, ma è la prassi in un sistema ben organizzato che mette al centro il benessere e lo sviluppo dei futuri cittadini.
Una volta entrati a scuola, si viene integrati in un sistema che evita la competizione e si basa sulla cooperazione. Non esistono le canoniche classi su base prettamente anagrafica, come le intendiamo noi. Al contrario gli alunni sono divisi per interessi e livello di apprendimento, evitando in questo modo il livellamento verso il basso tipico delle nostre sezioni. Allo studente finlandese viene insegnato che non esiste il concetto di fallimento, ma che l’apprendimento è prima di tutto la possibilità di esprimere al meglio le proprie capacità. Per questo i voti non sono dati secondo una scala predefinita di valori, ma si calibrano a seconda delle capacità dello studente, variando a seconda dei casi. In questo modo si giudica la volontà di miglioramento e l’impegno profuso e non sono premiati i più bravi in senso assoluto, ma gli studenti assidui e volenterosi.
Lo studente ha diritto a ogni tipo di agevolazione, dalla mensa gratis alle visite mediche, una delle quali è obbligatoria almeno una volta l’anno, in modo da monitorarne il benessere fisico. Le attrezzature all’avanguardia, le aule completamente digitalizzate, e il tablet in dotazione a ogni studente permettono di utilizzare quotidianamente la tecnologia nel processo di apprendimento. In questo viene data grande importanza allo sviluppo delle capacità autonome e al senso di responsabilità che deve dimostrare l’alunno nell’approcciarsi agli strumenti messi a disposizione.
Lo Stato controlla in maniera intelligente il settore pubblico ponendo un freno alla privatizzazione: gli istituti paritari hanno l’autorizzazione a sviluppare percorsi propri solo se collaborano con le scuole statali e ne mantengono programma e impostazione di base. In questo modo le scuole private risultano più un’integrazione del percorso pubblico, perché si concentrano su aspetti specifici, quale l’apprendimento di materie extracurriculari, come quelle artistiche o manuali.
Una volta terminata la scuola dell’obbligo, se si sceglie di continuare a studiare, si può optare per il liceo che prepara agli studi accademici, oppure per le scuole professionali in grado di preparare lo studente sia al mondo del lavoro che alla specializzazione in un ambito specifico. Il sistema universitario finlandese prevede 16 università canoniche e 24 scuole professionali, tipologie che sono entrambe gratuite. Se nel nostro Paese la laurea sempre più spesso viene vista come un un percorso che ritarda l’entrata in un mercato del lavoro già saturo, in Finlandia la gratificazione per il laureato è una costante del suo percorso. Una volta l’anno, normalmente nel mese di maggio, si festeggia il giorno del laureato, momento in cui si celebra a livello nazionale la conclusione del percorso formativo. Dal 2016 la zecca finlandese emette anche una serie Euro speciale dedicata ai laureati intitolata Le congratulazioni a un neolaureato.
La tutela del percorso dell’alunno vale anche per la figura dell’insegnante. Non si tratta solo del già citato dato anagrafico: in Finlandia quella dell’insegnante è una professione ben retribuita che lascia trasparire l’importanza che riveste sul piano sociale. Secondo le stime dell’Ocse, fare il docente nel Paese scandinavo paga soprattutto dal punto di vista della carriera. La retribuzione nelle scuole primarie e medie parte da una base annua di 47mila euro e può arrivare a un massimo di 61 mila euro per la primaria e 69mila per la secondaria. I docenti del liceo partono da 55mila euro e arrivano con l’anzianità a 67mila euro annui. Un’oscillazione importante che permette a chi sceglie questo lavoro di essere motivato e sempre stimolato a migliorarsi e aggiornarsi. Il confronto con l’Italia è impietoso: in media il reddito annuo di un insegnante oscilla, dal minimo al massimo di anzianità, di soli 6mila euro. Non c’è da stupirsi se gli insegnanti italiani si rassegnano facilmente a essere schiavi di una routine che non li stimola all’autocritica e li avvia a una progressiva perdita di contatto ed empatia con gli alunni.
È chiaro che il successo del sistema scolastico finlandese non è l’exploit di un singolo settore. La scuola è uno specchio importante della società e per funzionare ha bisogno che l’intero assetto sociale sia in salute. In Finlandia l’integrazione fra scuola e welfare statale crea un circolo virtuoso che si traduce nel miglioramento dell’intero Paese. La scuola finlandese prepara cittadini più consapevoli e futuri lavoratori in grado di collocarsi positivamente sul mercato. Credere che si possa migliorare il settore scolastico disinteressandosi delle criticità degli altri settori è un’utopia. Occorre un programma a lungo termine e una lungimiranza che la politica italiana non sembra più avere. Eppure, guardare agli esempi virtuosi non è un esercizio sterile: il caso finlandese può insegnare come dare forma a un’eccellenza e quale filosofia è bene adottare. Forse, iniziando a lavorare su un cambiamento di mentalità e chiedendo alla politica una riforma strutturale, che interessi anche i settori sinergici a scuola e università, si potrebbe pensare di ridurre il gap tra noi e i modelli a cui aspiriamo.