La finanza etica è la soluzione al neoliberismo perché riscopre l’importanza della collettività - THE VISION

Un assunto strutturale nella cultura neoliberista è che l’arricchimento del singolo debba per forza tradursi in uno svantaggio per la collettività, giustificato dalla teoria della “mano invisibile” di Adam Smith per cui il mercato sarebbe in grado di raggiungere il migliore degli equilibri possibili senza interventi regolatori esterni. Il capitalismo dei mercati finanziari degli ultimi sessant’anni (finanzcapitalismo), incentrato sulla massimizzazione del profitto e retto da una logica speculativa,  ha confermato e spesso esasperato questa tesi, amplificando le disuguaglianze sociali e promuovendo lo sfruttamento della forza lavoro, in particolare dei Paesi emergenti. Nel frattempo, l’utilizzo di energie non rinnovabili da parte dei privati ha devastato l’ambiente e accelerato l’emergenza climatica che ora è una delle più grandi sfide dell’umanità. Il concetto di capitalismo e quello di sostenibilità sembrano quindi viaggiare su binari paralleli: da un lato l’arricchimento individuale a tutti i costi, dall’altro il bene comune che prevale sugli interessi personali. Negli ultimi anni ha però preso piede un approccio alternativo, in grado di conciliare questi due modelli: la finanza etica.  

La finanza etica riunisce la realizzazione di un utile economico e la massimizzazione dei benefici per la collettività. Rifiutando ogni forma di speculazione e ponendo il rispetto dei diritti umani al centro del suo programma, questo modello coinvolge piccoli e grandi investitori in un processo di riabilitazione finanziaria, per cui alla promozione di un’economia più sostenibile si affianca il contrasto delle politiche basate sullo sfruttamento del capitale umano e delle risorse naturali. L’approccio etico si fonda infatti sulla partecipazione in forma cooperativa, sulla base della partecipazione dei soci e sul principio “una testa, un voto”, sia per invitare le imprese a perfezionare il proprio sistema produttivo in un’ottica più sostenibile, sia per denunciare eventuali violazioni di politiche interne o socio-ambientali. Nella scelta degli investimenti, infine, le società che praticano finanza etica escludono i settori economici non sostenibili per definizione, come armi o energia da fonti fossili, e l’acquisto di obbligazioni governative emesse da Paesi che applicano la pena di morte o non garantiscono alla popolazione il rispetto dei più basilari diritti civili.

Fra i requisiti che un modello finanziario deve possedere per essere definito “etico” spicca la tutela dei diritti dei lavoratori. Gli investimenti etici si rivolgono solo alle società in cui la ricerca del plusvalore, e quindi del guadagno, non si ottiene con lo sfruttamento di manodopera sottopagata, l’imposizione di orari di lavoro eccessivi, o il risparmio sulle misure di protezione e tutela dei dipendenti. La sicurezza sul lavoro rappresenta, in particolare, una questione che imprese e multinazionali non possono più permettersi di sottovalutare né nel contesto internazionale né in quello italiano, dove i recenti casi di cronaca hanno evidenziato ancora una volta quanto la prassi delle aziende spesso non rifletta le direttive precauzionali previste dalla legge. È essenziale individuare le realtà imprenditoriali che garantiscono standard di sicurezza adeguati e denunciare quelle che non se ne preoccupano, affinchè tutti i dipendenti, italiani o stranieri, possano recarsi sul luogo di lavoro con la certezza di tornare a casa alla fine del loro turno. 

Rientra in un approccio socialmente etico anche il finanziamento delle aziende che garantiscono comportamenti corretti e inclusivi in fase di selezione del personale, specialmente in relazione a pari opportunità e ai lavoratori migranti. Come evidenziato dall’Interfaith Center on Corporate Responsibility, per esempio, molte industrie con sedi in Asia o in Sudamerica prevedono il pagamento delle cosiddette recruitment fees (tasse di reclutamento), commissioni che i candidati migranti, per poter essere assunti, sono costretti a versare alle aziende e che possono superare il 50% del loro salario mensile. Scegliere la finanza etica significa anche spingere le imprese a proibire esplicitamente simili pratiche, pretendere trasparenza circa i meccanismi di assunzione adottati e promuovere l’elaborazione di policy aziendali responsabili e rispettose dei diritti umani.  

Un altro settore privilegiato dagli investimenti etici riguarda la “finanza verde” (green). Ne sono un esempio le obbligazioni verdi (green bond), strumenti finanziari che permettono di sostenere progetti quali trattamento dell’acqua, prevenzione e controllo dell’inquinamento, edilizia eco-compatibile o valorizzazione delle energie rinnovabili. Scopo della finanza verde è contrastare la devastazione ambientale seguita a decenni di politiche economiche esclusivamente incentrate sull’accumulo del profitto, finanziando invece iniziative legate a un processo di transizione ecologica che ora più che mai deve essere accelerato. Al di là dei green bond, chi lavora nell’ambito della finanza etica si documenta circa l’impatto ambientale delle multinazionali, la loro disponibilità a modificare le proprie politiche in un’ottica più sostenibile e i comportamenti che lui stesso può adottare per contribuire alla causa.

L’inversione di prospettiva che la finanza etica si propone di incoraggiare non passa solo per una scelta accurata delle imprese in cui investire, ma prevede anche vere e proprie forme di attivismo che si sviluppano all’interno della società stessa, come fa ad esempio Fondazione Finanza Etica con le sue attività di Azionariato Critico. Chi possiede un certo numero di azioni, anche minimo, ha infatti la possibilità di rivolgersi direttamente alle imprese quotate in borsa e di intervenire alle assemblee degli azionisti, cui partecipano anche i grandi investitori e i rappresentanti dell’impresa stessa. Qui può porre domande, presentare mozioni e sollevare tematiche sulle quali discutere. Quando la società in questione ha già dimostrato di adottare policy socio-ambientali responsabili, ai finanziatori etici spetta il compito di suggerire miglioramenti o introdurre nel discorso collettivo nuovi aspetti da perfezionare. Quando invece le imprese coinvolte hanno fallito nel soddisfare i requisiti minimi di sostenibilità, adottato politiche di sfruttamento o violato la normativa fiscale, l’azionariato etico assume una funzione critica, volta alla denuncia delle conseguenze pericolose associate a tali comportamenti. 

In entrambi gli scenari, l’investitore etico è un investitore insoddisfatto, nell’accezione più costruttiva del termine. Anche in assenza di elementi particolarmente controversi, il suo scopo è infatti stimolare il contraddittorio, utilizzando il dialogo per suggerire agli azionisti nuovi spunti di riflessione. Quando lo scambio si svolge in un contesto istituzionale, l’approccio etico è generalmente apprezzato dalle società, perché utile nell’evidenziare problematiche che, una volta risolte, potrebbero portare all’azienda inaspettati benefici in termini di produttività e immagine pubblica. Quando invece l’invito alla comunicazione si scontra con imprese refrattarie al dialogo, l’azionariato critico può adottare strategie di protesta più incisive, come manifestazioni o flash-mob. Negli ultimi dodici anni, Fondazione Finanza Etica ha partecipato a 37 assemblee, sottoponendo decine di domande a sette grandi gruppi quotati in borsa, in collaborazione con organizzazioni della società civile italiana e internazionale.

Assumersi la responsabilità di contrastare un modello economico affermato a livello globale, ricercando il confronto con chi detiene il potere e mettendone in luce le fragilità, non è una scelta scontata. Opporsi a chi possiede la porzione maggiore di capitale non comporterà alcun vantaggio economico a breve termine, e il rendimento di un’eventuale conversione in chiave ecologica o socialmente sostenibile delle aziende avrà bisogno di tempo per tradursi in risultati concreti e visibili alla maggioranza dell’opinione pubblica. Per tutti questi motivi è necessario che i risparmiatori siano consapevoli dell’importanza che la finanza etica riveste in una prospettiva di benessere futuro, e agiscano nella certezza che ogni contributo individuale è essenziale per il raggiungimento degli obiettivi comuni prefissati, anche se oggi possono apparire lontani e a tratti persino utopici.

Il piccolo risparmiatore si colloca, nella gerarchia dell’apparato finanziario, come il dipendente nella società capitalista: senza di lui il sistema non può sopravvivere, ma da solo non è in grado di fare la differenza. La strategia più efficace che chi si trova in una posizione economica svantaggiata può adottare per esercitare un ruolo davvero incisivo all’interno del sistema è unire le forze: la battaglia di un singolo può essere ignorata con facilità, ma quella di un’intera categoria di persone no. Ormai è sempre più evidente che nessuno è immune ai danni prodotti da decenni di mercato retto dal modello neoliberista tradizionale. Per questo è arrivato il momento di chiamare ogni cittadino ad approcciarsi al mondo della finanza con uno sguardo critico, sollecitare la discussione pubblica per individuare le potenziali aree di intervento, e stimolare la conversione della struttura economica dominante in un’ottica più sostenibile. Un’ottica che garantisca il benessere davvero per tutti, nessuno escluso.


Questo articolo nasce in collaborazione con Fondazione Finanza Etica, Fondazione culturale di partecipazione del Gruppo Banca Etica. Negli ultimi dodici anni, con le sue attività di azionariato critico, Fondazione Finanza Etica ha partecipato a 37 assemblee, sottoponendo decine di domande a sette grandi gruppi quotati in borsa, in collaborazione con organizzazioni della società civile italiana e internazionale.

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