Qualche giorno fa un 42enne di Desenzano, in provincia di Brescia, è stato arrestato dai carabinieri perché in casa sua sono stati trovati 1400 euro in contanti e 23 grammi di fentanyl. Il fentanyl è un farmaco oppioide simile alla morfina, prescritto per i casi più gravi di dolore cronico o utilizzato per anestetizzare i pazienti prima delle operazioni chirurgiche. Sintetizzato per la prima volta negli anni Sessanta, è un farmaco molto potente, fino a cento volte più della morfina. Se non viene assunto nelle dosi e nelle tempistiche corrette, anche una singola pillola può rivelarsi fatale.
Il caso di Desenzano ha suscitato scalpore nell’opinione pubblica. Si tratta del primo arresto in Lombardia di un pusher di fentanyl, facendo scattare l’allarme su una sostanza che si credeva non fosse presente in Italia. Il motivo di tanta apprensione va ricercato al di là dell’oceano, negli Stati Uniti, dove è in corso da diversi anni una vera e propria epidemia di oppioidi. Solo nel 2017 30mila statunitensi sono morti per un’overdose causata da queste sostanze. Il National Center on Health Statistics stima che il 60% dei decessi è stato causato dal fentanyl, portando il presidente Donald Trump a definire la strage in corso “un’emergenza sanitaria nazionale”. Andrew Sullivan, sul New York Magazine, ha scritto che “Se la prima epidemia dell’uso di oppioidi fu provocata dall’industrializzazione, non c’è dubbio che l’epidemia di oggi sia scoppiata almeno in parte a causa della deindustrializzazione”. L’abuso di queste riguarda principalmente le regioni interne degli Stati Uniti, più colpite dalla crisi economica e produttiva. Sono i più poveri, i disoccupati e gli emarginati a farne uso, in quella che è sempre più un’emergenza sociale prima ancora che sanitaria. Il boom è stato causato da una liberalizzazione delle ricette che negli anni Novanta ha reso migliaia di americani consumatori abituali di oppioidi.
L’emergenza non sembrava riguardarci, tanto che per l’Italia gli scienziati hanno sottolineato il problema opposto agli Stati Uniti, dato che gli oppioidi sono ancora percepiti come un tabù nella terapia del dolore. Anche quando dovrebbero essere somministrati, molti preferiscono evitarli. L’Italia non corre gli stessi pericoli degli Stati Uniti, per il semplice fatto che la legislazione in termini di distribuzione di farmaci oppioidi è molto diversa. Non esiste una liberalizzazione della vendita, rendendo impossibile una diffusione “legale” di questa sostanza come avvenuto oltreoceano. Eppure, grazie al mercato illegale, da qualche tempo anche l’Italia ha iniziato a fare i conti con la tossicodipendenza da fentanyl.
Nell’aprile del 2017 un uomo di 39 anni è stato trovato senza vita nella sua stanza, a Milano. Al suo fianco le forze dell’ordine e i sanitari trovano una siringa, un accendino e della polvere marroncina. Il decesso è stato attribuito nel referto a “un’overdose da eroina”. Il caso è stato presto dimenticato; le overdosi da eroina sono in costante aumento in Italia e il decesso del 39enne si confondeva con le altre morti. Nel settembre del 2018 – un anno e mezzo dopo – l’Istituto Superiore di Sanità ha però lanciato l’allarme: quella morte è stata causata dall’ocfentanil, derivato del fentanyl. “Identificazione per la prima volta sul territorio italiano della molecola ocfentanil e decesso legato all’assunzione della molecola,” si legge nell’allerta diramata dall’Iss.
I tempi lunghissimi con cui si è diffusa la notizia sono la prova che il sistema di allerta non ha funzionato. “Noi addetti ai lavori siamo stati avvertiti con un anno e mezzo di ritardo,” denuncia Ernesto de Bernardis, medico delle dipendenze e membro del Sitd, Società di medicina delle tossicodipendenze. “Avremmo dovuto saperlo prima per avvisare i consumatori dei rischi legati alla presenza nel mercato italiano di questi derivati sintetici molto più potenti dell’eroina, e quindi con rischio molto maggiore di overdose e decesso. Invece no. Un anno e mezzo”. Oltre al ritardo, si aggiunge il fatto che l’allerta lanciata dall’Iss chiedeva espressamente di evitare la diffusione della notizia, con un’operazione di scarsa trasparenza che ha ostacolato l’obiettivo primario per chi lavora nel settore: la prevenzione. Che quel decesso fosse da attribuire al fentanyl, lo aveva già scoperto in modo indipendente la sezione di Tossicologia forense del dipartimento di Scienze biometriche dell’Università di Milano. Lo studio Un caso di morte per ocfentanil: analisi del farmaco è uscito a inizio agosto dello scorso anno, anticipando di oltre un mese il sistema di allerta nazionale.
Questi ritardi e malfunzionamenti sono già di per sé una notizia preoccupante, oscurata però dal fatto che quello di Milano non è stato un caso isolato. Un 42enne è morto a Torino nell’ottobre 2017 a causa di un oppioide sintetico, l’U47700. A settembre 2018 si è poi scoperto che un decesso per overdose avvenuto in provincia di Varese quattro mesi prima, attribuito all’eroina, era in realtà dovuto al furanilfentanil. In questo caso il sistema di allerta ha impiegato quattro mesi per attivarsi, con la solita nota in cui si chiedeva di non diffondere la notizia. Sempre negli ultimi tempi, sono iniziate le operazioni di sequestro di fentanili e suoi simili. A febbraio un uomo di Cinisello Balsamo è stato arrestato per aver comprato sul dark web 1,3 grammi di fentanyl, sufficienti per confezionare quasi duemila dosi. L’operazione è avvenuta di concerto con la polizia del Canada, Paese da cui proveniva l’oppioide acquistato dallo spacciatore. Nelle stesse ore, altri arresti sono avvenuti a Alba e a Roma. L’ultimo caso è invece quello dei giorni scorsi a Desenzano, con l’arresto e il sequestro dei 23 grammi della sostanza sintetica, pronti per essere venduti. Se fino a pochi mesi il fentnayl non esisteva nel mercato italiano degli stupefacenti, una serie di overdose e arresti ha ufficializzato che l’oppioide responsabile di migliaia di morti negli Stati Uniti ha iniziato a diffondersi anche da noi.
Il dibattito sulle droghe pesanti si è riacceso in Italia, alimentato dai dati che confermano un incremento del consumo di eroina, soprattutto tra i più giovani. Alcuni lo chiamano “ritorno”, ma la realtà è che l’eroina non ha mai lasciato l’Italia dopo il boom degli anni Novanta. Oggi nel Paese ci sono circa 300mila italiani che ne fanno uso, secondo uno studio del Cnr, a cui si aggiungono i quasi 600mila che fanno invece utilizzo di droghe sintetiche. Il numero di minori tossicodipendenti presi in carico dai Servizi sanitari locali è quasi raddoppiato negli ultimi cinque anni, mentre nell’ultimo anno gli under 25 collocati nelle comunità dell’area penale, che includono chi ha commesso reati legati agli stupefacenti, sono stati 1.837, con un aumento di 300 unità rispetto al 2015.
La notizia dell’arrivo del fentanyl in Italia apre scenari gravi: l’emergenza in corso negli Stati Uniti è davanti ai nostri occhi, un monito a fare prevenzione e a ostacolare il consumo dei fentanili prima che raggiunga volumi non arginabili. Un secondo aspetto che preoccupa è invece quello relativo alle tempistiche. Il fentanyl e i suoi simili circolano in Italia almeno dalla primavera del 2017, data del primo decesso registrato, ma gli addetti che si occupano di cura e prevenzione delle dipendenze lo sanno solo da pochi mesi, con conseguenze drammatiche.
“C’è stata una crescita delle morti per eroina, ma adesso bisogna capirne di più, perché è possibile che possa trattarsi anche di eroina mischiata a fentanyl,” ha spiegato Elisa Norio, ricercatrice del Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità (Rissc) di Torino. In effetti, anche la morte per overdose avvenuta a Milano due anni fa è stata ricondotta all’eroina, e molte delle morti successive potrebbero essere state male interpretate. “Non abbiamo ad oggi neppure idea di quanti decessi da fentanili non farmaceutici siano avvenuti nel frattempo. Sembra difficile immaginare che si trattasse di un caso isolato di spaccio,” ha denunciato Ernesto De Bernardis.
Mentre a livello istituzionale ci si batte contro le droghe leggere, con un nuovo disegno di legge che vuole tornare ai tempi della Fini-Giovanardi e con l’operazione Scuole sicure con cui schiere di cani antidroga vengono sguinzagliati nelle scuole per trovare adolescenti pochi grammi di cannabis, la vera emergenza potrebbero diventare gli oppioidi. Piuttosto che criminalizzare i possessori di pochi grammi di marijuana per uso personale, le risorse impiegate per questo scopo dovrebbero essere destinate a prevenire quella che è una crisi sanitaria che in altri Paesi sta causando migliaia di morti. Nel 2018 in Italia si è verificata una morte ogni due giorni per droghe pesanti, con l’eroina a farla da padrone. La comparsa del fentanyl sul mercato illegale italiano porta con sé il potenziale per rendere ancora più grave questo bilancio.