Dopo le elezioni europee vanno per la maggiore i discorsi sul fascismo dove si ripete il mantra del pericolo scampato: CasaPound ha preso meno voti del Partito animalista, Forza Nuova meno del Partito pirata. Quello che sfugge a molti è che i fascisti, piuttosto che votare formazioni politiche che non riuscirebbero a superare la soglia di sbarramento del 4%, si sono rivolti al loro nuovo partito di riferimento: la Lega. Nella transizione da Lega Nord a Lega, bisogna ricordare alcuni aspetti del cambiamento dal partito di Bossi e quello di Salvini. Il Senatùr amava ripetere la frase “Mai con i fascisti”, mentre Salvini ha con loro un rapporto ondivago. I programmi elettorali di Lega e CasaPound sono sovrapponibili, con l’unica differenza che la Lega è più attenta a non cadere nelle incongruenze istituzionali (a differenza di chi propone di invadere la Libia). Salvini infatti non fa mai riferimenti espliciti al fascismo, dato che il suo ruolo istituzionale non lo consente, ma è molto abile nel calamitare il voto dei nostalgici del Ventennio.
Orfani del Msi, delusi da Fini e distanti dall’approccio politico di Berlusconi, i neofascisti hanno trovato in Salvini il perfetto rappresentante di una politica nazionalista, xenofoba e autoritaria. Il leader della Lega è consapevole di questa infatuazione e non perde mai l’occasione per rafforzarla con messaggi sempre meno velati. “Tanti nemici, tanto onore” e “Me ne frego” sono soltanto alcuni dei motti mussoliniani rilanciati da Salvini per ingraziarsi la fetta di elettorato che vive con il busto del Duce in camera da letto, ma è perfettamente integrata nella società: quella che si crogiola dietro la giustificazione “Ha fatto anche cose buone”, ma che non si azzarderebbe a fare il saluto romano in pubblico. L’errore dei media è stato quello di associare il neofascismo esclusivamente ai pochi militanti che ogni anno si riuniscono a Predappio, a quelli che indossano magliette di dubbio gusto sui crimini nazifascisti e agli esaltati che cantano Faccetta nera. Giornalisti e commentatori si sono dimenticati che ogni ideologia politica, anche la più criminale, è destinata a mutare nel tempo, adeguandosi al contesto storico. Se la sinistra odierna non è più quella dei montagnardi della rivoluzione francese, è logico che il fascismo non sia più legato all’immagine dei balilla e delle battaglie del grano. Possiamo chiamarlo sovranismo o nazionalismo, ma la matrice resta quella che nel 2019 riunisce figure politiche che vanno da Orbán a Le Pen, fino a Fontana.
Negli ultimi mesi i neofascisti hanno conquistato il palinsesto mediatico aizzando i cittadini delle periferie contro le minoranze, come accaduto nel quartiere romano di Torre Maura, dove è divampata la protesta contro i rom. Tra saluti romani, slogan fascisti e insulti, l’estrema destra ha fatto leva sull’insoddisfazione popolare per creare un nemico su base etnica. Gli estremisti di destra hanno replicato esattamente quello che fa Salvini su scala nazionale, ma senza la sua intelligenza comunicativa. Se il ministro dell’Interno maschera le sue azioni dietro il “buonsenso”, utile per rassicurare l’elettore moderato o che si considera tale, i fascisti duri e puri danno libero sfogo alla violenza, minacciando di stuprare le donne rom o di impiccarli tutti. Salvini preferisce incanalare la rabbia delle periferie per traghettarla nella direzione a lui più congeniale, cioè la preferenza nelle tornate elettorali. È la strategia che l’estrema destra ha sempre usato nel corso della storia: creare paura, alimentare l’odio, per poi presentarsi come l’unica soluzione credibile ai problemi dei cittadini. Durante il Ventennio ci si “proteggeva” dagli ebrei, adesso dagli immigrati, ma la sostanza è sempre la stessa.
In quest’ottica non stupisce la crescita di Fratelli d’Italia al 6%. Il fatto che Salvini e Meloni raggiungano da soli il 40% del consenso elettorale è la dimostrazione che per i neofascisti sia inutile votare CasaPound e affini: il “voto utile” è per i partiti più grandi. Ovviamente da destra si tende a minimizzare e ridicolizzare la preoccupazione dell’Anpi e degli antifascisti sull’estremismo nero. Ma, come vuole il luogo comune della battuta, di solito chi rifiuta la dicotomia fascismo antifascismo è fascista (così come chi non vede differenze tra destra e sinistra solitamente è di destra). L’antifascismo non sarà mai un sentimento fuori dal tempo o una pulsione obsoleta. Se le professoresse vengono sospese perché insegnano ai loro studenti il pensiero autonomo e la polizia sequestra gli striscioni di protesta contro Salvini, la sua funzione di memoria storica per evitare il ripetersi di certi errori si mostra come più necessaria che mai.
La rilevanza del rigurgito neofascista che stiamo vivendo non sta tanto nelle misere percentuali elettorali di CasaPound, quanto nella sua legittimazione degli ultimi anni, grazie anche al contributo significativo di Matteo Salvini. Il leader della Lega ha deciso di recente di pubblicare un’intervista biografia con Altaforte, casa editrice legata a CasaPound, allontanata dopo le polemiche dall’ultima edizione del Salone del libro di Torino, e indossa a favore di telecamere le felpe Pivert, brand legato al movimento di estrema destra. Quella di Salvini non è altro che una normalizzazione del fascismo che da un lato porta all’accettazione da parte dell’opinione pubblica delle realtà legate all’estrema destra e dall’altro attira verso la Lega gli elettori più conservatori e intolleranti, che trovano una rappresentanza, ma senza essere costretti a definirsi apertamente fascisti. Allo stesso tempo, quelli che dovrebbero essere considerati virus nocivi per il corpo sociale e trattati di conseguenza trovano spazio crescente nel dibattito pubblico, negli studi televisivi e sui giornali. Se Formigli, Mentana e Parenzo accettano di essere ospiti di CasaPound nella sua sede romana per partecipare a “dibattiti democratici”, si crea il paradosso di dare una legittimità democratica a chi, per le idee che instilla e propina e secondo la Costituzione, non dovrebbe trovare uno spazio nel panorama politico e sociale italiano.
Il ministro dell’Interno non perde occasione per farsi immortalare durante lo smantellamento di un campo rom o lo sgombero di uno stabile occupato, salvo poi dimenticare la sua crociata legalitaria ogni volta che si accenna all’abusivismo negli stabili gestiti da CasaPound. Nel suo continuo ammiccamento, il ministro diserta le celebrazioni del 25 aprile, associando l’antifascismo a una strumentalizzazione politica e non considerandolo un valore fondante della nostra Repubblica. La demonizzazione dell’antifascismo è in atto anche su Internet, dove gira da anni una presunta lettera di Pasolini a Moravia che recita: “Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso”. Peccato che Pasolini non abbia mai scritto quella lettera.
La verità è che l’Italia è infestata da fascisti inconsapevoli, che si considerano estranei a certe derive solo perché non hanno nostalgia dei discorsi del Duce in Piazza Venezia, ma nei fatti sostengono le nuove forme di fascismo, più sottili, meno ridondanti ma altrettanto pericolose. Disprezzare i migranti e condannarli ad annegare in mare in nome della superiorità italiana è fascismo. Urlare “Prima gli italiani” è fascismo. Limitare la libertà di espressione è fascismo. Ha un volto diverso, per alcuni più rassicurante, ma non si allontana da certi ideali. Bisogna comprendere l’evoluzione naturale di ogni fenomeno, anche del fascismo, ma non si può farlo ad alta voce senza correre il rischio di essere bollati come radical chic, anche quando in realtà non lo si è e l’antifascismo è una delle poche certezze rimaste. Quindi diciamolo sottovoce che quattro italiani su dieci hanno votato due partiti pericolosi, troviamo sinonimi per definire quello che nella sostanza rimane fascismo, ma non rinunciamo a denunciare la deriva che sta vivendo il nostro Paese.