Sono 80, hanno un’età media di 39 anni e sono perlopiù uomini. 58 di loro erano in compagnia, 12 da soli e dei restanti 10 non si sa come siano morti. Sono le persone decedute per overdose da eroina dal primo gennaio 2019 a oggi, in appena sei mesi. Ce ne sono poi altri 21, morti per colpa di una sostanza non identificata, ma che è probabile che in molti casi fosse la stessa. Altre 68 sono le morti sospette.
I decessi per overdose di eroina rappresentano oggi in Italia circa il 60% del totale dei morti per droga e l’anno scorso sono stati 161, in crescita per il secondo anno consecutivo. Sono diversi mesi infatti che sui giornali si parla del “ritorno dell’eroina”, una sostanza che si pensava appartenesse ormai al secolo scorso, relegata in libri cult come Noi i ragazzi dello zoo di Berlino e alle pubblicità progresso degli anni Novanta. Immagini come quella diffusa a inizio anno, dei due giovani che fumano eroina su un vagone della metropolitana di Milano, sembrano davvero riportarci a un immaginario vecchio di decenni, di ragazzi che muoiono d’overdose nei bagni della stazione. Ma è una visione naïf.
Sono in molti, infatti, gli esperti che sostengono che ci stiamo raccontando una grande favola collettiva e che, in realtà, l’eroina non se n’è mai andata. Come spiega a Tutta la città ne parla il dottor Salvatore Giancane, tossicologo e specialista nel trattamento delle tossicodipendenze, per un certo periodo di tempo questa sostanza è passata in secondo piano, sostituita da una diversa, più adatta ai tempi e soprattutto molto redditizia per le organizzazioni criminali: la cocaina. Oggi le cose stanno cambiando per due motivi. Prima di tutto, sono cambiate le esigenze dei consumatori: quella che negli anni Ottanta e Novanta era voglia di aumentare la propria concentrazione, resistenza o performance in generale, oggi si è trasformata in una necessità di evasione dalla realtà. In secondo luogo, gli ultimi sviluppi sul piano geopolitico hanno fatto sì che in Afghanistan, il Paese da cui proviene la maggior parte dell’eroina spacciata in Italia, aumentasse l’offerta e diminuissero i prezzi. Oggi infatti procurarsi una dose è molto economico, specialmente nei “supermercati della droga” come Rogoredo a Milano o Tor Bella Monaca a Roma, dove può costare anche meno di un pacchetto di sigarette – 2, 4, 5 euro. Così, nel nostro Paese, i sequestri di eroina sono aumentati negli ultimi 2 anni di oltre il 103%.
Proprio la diminuzione del prezzo dell’eroina sul mercato è uno dei fattori che potrebbe aver fatto sì che questa droga si diffondesse sempre di più tra i giovani. Secondo quanto ricostruito in uno studio del Cnr già nel 2014, l’età media in cui i ragazzi provano questa sostanza per la prima volta si è abbassata a 14 anni, e un’inchiesta de L’Espresso ha mostrato come, negli ultimi 5 anni, la presa in carico ai servizi sociali di minori tossicodipendenti sia quasi raddoppiata. Questo avviene anche perché, spesso, sulle piazze di spaccio questa droga viene venduta per essere consumata insieme alle altre, quelle leggere, o per limitare gli effetti della cocaina. Il fatto che non sia più necessario commettere crimini, come furti o rapine, per procurarsela – proprio per via del costo irrisorio – ha abbassato poi notevolmente le possibilità che i consumatori vengano “scoperti”, da parenti o amici o dalle forze dell’ordine, e quindi anche accompagnati in un percorso di riabilitazione.
Secondo un’analisi dell’Economist, l’eroina è la sostanza che crea la dipendenza più dannosa per sé e per gli altri (gli è stato assegnato un punteggio di 55 su una scala ipotetica di 100) – dopo l’alcool (più di 70 su 100). Seguono il crack, le metanfetamine, la cocaina, il tabacco. La cannabis ha un effetto negativo calcolato con un valore di 20 su 100. In Italia, però, specialmente in seguito alla legge 49 del 21 febbraio 2006, nota come Fini-Giovanardi, si è fatta un po’ di confusione sui reali effetti delle varie sostanze stupefacenti, equiparando le controindicazioni di droghe leggere e pesanti. Questo, secondo il dottor Giancane, ha creato un problema enorme. “Dire ai ragazzi per tanto tempo che le droghe sono tutte uguali non è servito ad alzare il livello di attenzione, ma ha banalizzato le altre droghe. Il messaggio ‘le droghe sono tutte uguali’ è un messaggio devastante,” ha dichiarato a Radio tre. Diciamo ai ragazzi che la cannabis è il preludio della tossicodipendenza e del fallimento nella vita, ma poi loro non riscontrano questo dato nell’esperienza quotidiana, personale e di amici, e quindi sono propensi a credere che gli allarmismi lanciati sulle altre droghe siano altrettanto esagerati. Questo non riguarda solo l’eroina: un altro grosso problema dell’attuale consumo di stupefacenti tra i giovani, infatti, è che essi tendono a consumare anche farmaci legali usati per curare patologie gravi, acquistati sul mercato nero. Questi, mischiati con altre sostanze o con l’alcool, possono dare una “botta” simile a quella dell’eroina. Il problema, però, è che i ragazzi ne sottovalutano gli effetti proprio perché pensano di assumere sostanze controllate e si illudono di poterne gestire le conseguenze perché sono loro a “crearsi” la propria dose.
Questo abbassamento generale della guardia ha poi fatto sì che dal 2005 i fondi nazionali per i progetti di supporto alle tossicodipendenze si interrompessero. Oggi, ad esempio, non ci sono più soldi per svolgere le lezioni che gli operatori delle aziende sanitarie tenevano nelle scuole, per sensibilizzare i giovani al consumo consapevole delle sostanze stupefacenti. A livello regionale le situazioni sono diverse, ma la tendenza è la stessa. In Lombardia, sede come detto di una delle più grosse piazze di spaccio europee, in circa 7 anni i finanziamenti sono diminuiti dell’80%.
Tutti questi motivi costituiscono la ragione per cui, come ricostruisce Dataroom, il numero di decessi per eroina – che è stato in calo per 16 anni, dal 2000 al 2016 – nel 2017 è ricominciato a salire, determinando un aumento di quasi il 10% in un solo anno. Nonostante l’evidenza, l’approccio dell’attuale governo sembra però avere lo stesso impianto ideologico di quello che, solo 5 anni fa, è stato dichiarato incostituzionale. Addirittura, il ministro dell’Interno Matteo Salvini pone nello stesso calderone droghe leggere, pesanti e sostanze che con la droga non hanno nulla a che vedere, come la cannabis light. “Domani stesso darò indicazione a tutti i responsabili della pubblica sicurezza e delle forze dell’ordine in Italia di andare a controllare, uno per uno – per quanto mi riguarda con l’obiettivo di chiuderli – tutti i presunti negozi turistici di cannabis che vanno sigillati dal primo all’ultimo perché sono un incentivo all’uso e allo spaccio di sostanze stupefacenti.”
Quello di cui parla Salvini, in realtà, non trova riscontro nei dati. Secondo il primo studio pubblicato in merito, realizzato dalla European Economic Review che ha incrociato i dati della polizia sui sequestri di cannabis con quelli della presenza dei famosi “negozi turistici”, esiste addirittura un circolo virtuoso che determina una diminuzione del giro d’affari illegale: nelle 106 province prese in analisi si è registrata una diminuzione dell’11-12% dei sequestri per ogni punto vendita e dell’8% nella disponibilità di hashish. Lo studio suggerisce inoltre che le organizzazioni criminali – che vedono nello spaccio la loro principale fonte di guadagno – dall’introduzione dei cannabis light shop abbiano perso circa 200 milioni l’anno.
I soldi che il ministro sta dedicando alla lotta contro i mulini a vento potrebbero essere stanziati per combattere il reale problema delle tossicodipendenze. Per esempio attraverso seri corsi nelle scuole, il contrasto alla criminalità organizzata italiana e straniera che importa questo genere di sostanze, ma anche approcci definiti di “riduzione del danno”, ovvero una serie di strategie atte a contenere le conseguenze negative del consumo di stupefacenti, come la trasmissione di malattie e le morti per overdose. Il primo Paese che ha utilizzato questo approccio è l’Olanda, nel 1984, che ha implementato un programma di distribuzione di siringhe sterilizzate, seguita poi dalla Svizzera, che nell’86 ha aperto la prima “stanza del consumo” a Berna. Centri di questo genere non puntano a convincere i consumatori a smettere, ma a fornire loro le condizioni più sicure per fare uso delle sostanze stupefacenti, limitando i danni e sensibilizzandoli a un consumo consapevole.
Il Drop In di Collegno, vicino Torino, è un esperimento di questo genere. Si trova in un parco pubblico e fornisce ai consumatori siringhe e aghi sterilizzati, acqua e il Narcan, un farmaco utile a fermare l’overdose. Fanno anche test sulle sostanze stupefacenti, comunicando ai consumatori l’effettiva percentuale di droga e quella di “taglio” presente nella dose. Come questo ce ne sono altri 152 in tutto lo stivale, così come rilevato da una ricerca curata da Arcigay, Cica e Gruppo Abele nel 2017. Secondo i dati da loro raccolti sono 33mila le persone che hanno avuto accesso a questi servizi e circa la metà hanno meno di 25 anni. Come racconta Riccardo Facci, presidente del Cnca, la cara vecchia “guerra alla droga” si è rivelata un fallimento a tutte le latitudini, spesso trasformata in una lotta contro i consumatori più che contro le organizzazioni criminali e i grandi spacciatori. Forse sarebbe ora di cambiare impronta, prima che sia troppo tardi.