Sabato 7 marzo tutto procede come da copione. I giornali riferiscono il quotidiano bollettino dei contagiati, dei guariti e dei ricoverati. Online girano pezzi in cui si vedono le piste colme di gente, nonostante gli inviti del governo a rimanere a casa, sotto i post su Facebook si scatena qualche polemica. Il profilo del Ministro Speranza tace, mentre gli altri parlano di Nicola Zingaretti positivo al Coronavirus e del fatto che, forse, le autorità stanno pensando a un inasprimento delle misure di contenimento. La zona rossa, in quel momento concentrata nella provincia del lodigiano, potrebbe essere estesa a tutto il territorio lombardo. Brusaferro, dell’Istituto superiore di sanità, “non lo esclude”, il governatore Fontana conferma alla stampa che sì, è un’ipotesi che stanno valutando. Tutto però è ancora aleatorio, nulla è deciso e la vita delle persone procede più o meno normalmente mentre il Consiglio dei Ministri e un team di esperti valutano il da farsi.
A un certo punto, inizia a circolare la notizia di un nuovo decreto della Presidenza del Consiglio, redatto d’urgenza e non ancora approvato, che imporrebbe il divieto di entrata e uscita da tutto il territorio Lombardo. Tutta la regione chiusa, zona rossa, nessuno spostamento se non strettamente necessario. Difficile ricostruire esattamente la cronologia, dal momento che molti pezzi vengono aggiornati e dunque l’orario originario di pubblicazione non è più visibile, tutto però avviene nel giro di mezz’ora, tra le 20.00 e le 20.30. La notizia si fa più concreta su Open, che riporta il parere di chi ha visto il provvedimento, definito “il più drastico mai deciso nella nostra storia repubblicana”. Più o meno negli stessi minuti Repubblica certifica che la Lombardia è serrata, ma il testo integrale esce per la prima volta alle 20.12 sul Corriere della Sera. Alle 20.34 è sul profilo ufficiale di Lega – Salvini Premier. Ne parlano i tg, il documento della bozza inizia a girare su WhatsApp: riporta l’orario delle 18.00, ma non c’è firma. Il premier non parla. Il tempo passa, Salvini, manco a dirlo, parla di cibo. Poco dopo la mezzanotte, la CNN riporta la notizia del decreto e indica come fonte l’ufficio stampa della Regione Lombardia. La regione Lombardia dice di averla letta sui giornali.
La bozza parla di misure che verranno messe in atto a partire dall’8 marzo, ma lascia spazio alle interpretazioni: significa che partiranno dalla mezzanotte e saranno valide già nella giornata di domenica, oppure a partire dal giorno successivo? I controlli alle stazioni ferroviarie e presso i nuovi “confini” saranno immediatamente attivati? Il premier non si esprime. Intanto, i cittadini lombardi o quelli domiciliati all’interno delle nuove zone rosse non sanno se potranno rientrare a casa loro. Diversi fuorisede a Milano abbandonano il territorio, accalcandosi nelle stazioni e nei treni diretti in tutta Italia, oppure a bordo di un’automobile, in una corsa contro il tempo verso il confine con la Liguria, nel timore di trovare i posti di blocco ai caselli. In realtà nessuno sa davvero se e quando questi posti di blocco saranno attivati. Nessuno ancora lo sa perché Conte non proferisce verbo. Sui giornali online iniziano a essere diffusi foto e video che mostrano la stazione di Milano Centrale presa d’assalto, con persone accalcate contro ogni norma di sicurezza che tentano di prendere l’ultimo treno per rientrare a casa prima della mezzanotte. Molte di queste immagini si dimostrano poi false – TPI, ad esempio, pubblica una foto d’archivio, poi rimossa senza rettifica. In ogni caso, per quanto gonfiato, il dato è reale: la gente sta abbandonando Milano in fretta e furia perché teme che allo scattare dell’8 marzo nessuno potrà più mettere piede fuori dalla Lombardia. Anche di fronte a questo scenario, il premier continua a non parlare.
Mentre si aspetta un cenno da parte di Conte, che fornisca una versione chiara e ufficiale delle misure che verranno adottate, qualcuno punta il dito contro l’elefante nella stanza: come è possibile che la bozza di un decreto tanto delicato sia passata alla stampa prima che il governo l’abbia varata in maniera definitiva? E come è possibile che testate autorevoli come Repubblica, Corriere, Open, non si siano chieste se, forse, non fosse il caso di aspettare la versione ufficiale? Insomma, appare piuttosto ovvio che ci sono comunicazioni che andrebbero lasciate alle autorità, le quali, oltre a informare i cittadini delle decisioni prese, hanno anche il compito di rassicurarli, specialmente in un momento del genere, mostrando di avere la situazione sotto controllo. Altrettanto chiaro è che va data a quelle stesse autorità la possibilità di avercela davvero, la situazione sotto controllo, di riferire la decisione solo quando questa sia definitiva, e dopo aver deciso e messo in atto le misure che ne derivano, in modo da non peggiorare una situazione già delicata. Evidentemente non è così ovvio, per nessuno, tranne che per il Post, l’unica testata all-news nazionale che ha avuto il coraggio e la fermezza di aspettare prima di pubblicare qualsiasi informazione. Tutti gli altri si sono scatenati con post e repost, nell’attesa che si esprimesse Conte.
E finalmente, in piena notte, poco dopo le 2 del mattino, Conte si è mostrato al Paese – o almeno a quei pochi masochisti che hanno deciso di aspettarlo svegli, me compresa. Per chi si è consumato nell’attesa, pensando che tutto quel tempo fosse dovuto alla ricerca del colpevole che aveva fatto traperlare una notizia tanto delicata in maniera così irresponsabile, la conferenza stampa è stata una delusione senza paragoni. Conte si è mostrato lievemente irritato, come quando un amico ti invita a un evento fichissimo, ma tu sei obbligato ad andare al compleanno di una collega del cugino di tuo padre di cui non ti interessa nulla. Le aspettative di una presa di coscienza da parte del governo della gravità di quanto accaduto, montate durante le ore di attesa, vengono mano a mano polverizzate dalle frasi di Conte. Dice che è “inaccettabile” che lui stesso abbia letto il decreto sui giornali: vero, è decisamente inaccettabile; che la diffusione della bozza ha creato “confusione, incertezza”: vero, ma comunque un eufemismo; poi, spiega l’iter normativo dell’approvazione del DPCM: sicuramente interessante, ma non è questo il punto; infine, parla del duro lavoro portato avanti dal comitato tecnico-scientifico: okay, grazie a tutti, ma chi deve rispondere?
Nessuno. Conte non chiede le dimissioni di nessuno del suo staff o dei presenti alla riunione. Non esprime alcun biasimo, non fa riferimento al fatto che poche ore di anticipo sulle comunicazioni ufficiali potrebbero aver vanificato gli sforzi suoi e del comitato tecnico-scientifico, gli sforzi che saranno richiesti a 16 milioni di persone che vivono nei territori interessati, e a tutte le forze di sicurezza che probabilmente verranno inviate sul campo. Tutto inutile, o quasi, per colpa di una manciata di persone. Innanzitutto di chi ha deciso di diffondere la bozza: se fosse confermato il sospetto che, come si dice in queste ore, “la persona vicina a Conte” è il responsabile della comunicazione di Palazzo Chigi Rocco Casalino, quest’ultimo si dovrebbe dimettere. Ma se anche non fosse stato Casalino, ma lui non riuscisse a identificare (ammesso e non concesso che ci stia provando) chi del suo staff dovesse aver commesso una tale sciocchezza, si dovrebbe dimettere. In secondo luogo, sarebbe bello ricevere le scuse ufficiali da parte del direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, e di Fiorella Sarzanini, la giornalista che ha firmato il pezzo. In queste ore si sta parlando di 10mila persone che hanno dichiarato alle autorità di essere arrivate in Sicilia dal Nord Italia, e il boom si è registrato nel weekend.
Qui il diritto di informare non c’entra assolutamente nulla. Come ha fatto notare Arianna Ciccone di Valigia Blu, che ha tentato come altri di ricostruire quanto è successo, portare a esempio i whistleblower di grossi scandali come Watergate o Wikileaks non è pertinente. Stiamo parlando di una misura che sarebbe stata annunciata in via ufficiale appena poche ore dopo, non di un misfatto che il governo avrebbe tentato di nascondere ai propri cittadini; di una scelta drastica e, sono convinta, sofferta, per contenere un enorme problema di sanità pubblica, che sta mettendo in ginocchio persino gli ospedali della regione in cui la sanità dovrebbe essere tra le migliori del Paese, e che ora rischia di coinvolgere aree d’Italia non altrettanto attrezzate. Sulle 10mila persone che hanno raggiunto la Sicilia, quante hanno buone probabilità di essere contagiate e non saperlo? Quante persone potranno contagiare a loro volta? Lo sapremo solo tra un paio di settimane. Nel frattempo, di fronte a questo pasticcio enorme, l’atteggiamento autoreferenziale che molti giornalisti stanno portando avanti in queste ore, mettendosi sulla difensiva e parlando di tutela delle fonti e censura, non fa onore alla categoria. Perché il rapporto di fiducia tra lettore e giornalista si stabilisce anche e soprattutto in situazioni di emergenza come questa e, purtroppo, per il giornalismo italiano è stata un’occasione mancata.
In questi giorni molti hanno biasimato quegli italiani che, seppure in maniera affrettata e irresponsabile, sono stati presi dal panico e hanno lasciato la Lombardia in fretta e furia. Èd è vero che tutti coloro che sono partiti hanno una responsabilità individuale di fronte alla decisione che hanno preso. Tutto sommato è stata una scelta di convenienza, che fosse personale, economica o affettiva, in contrasto con quanto richiesto a tutti nei giorni precedenti dalle autorità. La Lombardia non era diventata improvvisamente una regione in guerra e loro non incorrevano in nessun pericolo rimanendoci, dunque lasciarla è stato, quantomeno, egoista. Tuttavia, è innegabile che buona parte del panico di quelle ore si sia generato perché la decisione del governo è stata comunicata in anticipo, quando nulla era ancora chiaro, e si è lasciato che per ore le persone rimanessero nella più totale incertezza. È giusto e sacrosanto pretendere responsabilità dai cittadini in un momento come questo, ma come possiamo aspettarcela se le stesse autorità che la richiedono, oltre che la stampa, sono i primi a mostrarsi irresponsabili?
Quella di chiudere Lombardia e 14 province del Nord è stata probabilmente la decisione più delicata che questo Paese abbia dovuto affrontare dal secondo dopoguerra a oggi. Nei prossimi 14 giorni, quelli che servono a COVID-19 per manifestarsi, vedremo se sarà servita a qualcosa, o se è stato tutto inutile.