Quando attacchi il Sistema, il Sistema risponde. E lo fa anche con dossieraggi che non dicono nulla. - THE VISION
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Nella nuova esilarante puntata del benaltrismo all’italiana – una piaga che non accenna a diminuire e a mietere vittime anche in ambiti insospettabili e mondi che avremmo preferito se ne risparmiassero – l’oggetto in discussione sono i Ferragnez. 

Secondo un’inchiesta esclusiva pubblicata da L’Espresso, il rapper Fedez avrebbe “tutt’altra faccia”, rispetto a quella del paladino che si batte contro la censura per cui vorrebbe passare. La ragione sarebbero alcune clausole contenute all’interno di contratti che il cantante avrebbe stipulato con gruppi finanziari e assicurativi. Il settimanale, venendone a conoscenza, le ha inserite niente poco di meno che in un dossier di documenti e prove “esplosive” ai suoi danni. Questi documenti dimostrerebbero che la libertà di espressione tanto cara al cantante milanese quando si tratta di soldi venga tranquillamente svenduta visto che Fedez si autoimbavaglierebbe in virtù di un accordo che gli imporrebbe “di non criticare banche e assicurazioni”, questo almeno da quanto si legge sulle pagine del settimanale. Il senso ultimo a cui mira l’intera operazione de L’Espresso sembrerebbe dunque quello di “smascherare” l’incoerenza di Fedez, che quando gli conviene sembrerebbe autocensurarsi ricavandone guadagni e ricavi milionari

Ad ogni modo, premesso che è abbastanza incomprensibile l’interesse de LEspresso per l’acquisizione di contratti intercorrenti tra soggetti privati che non hanno alcun rilievo per la società e la politica, non è chiaro in primo luogo in che modo, una notizia simile possa essere rilevante ai fini del dibattito e della vita dei cittadini del Paese; e in secondo luogo, non si capisce, pur ammettendolo, dove e in cosa consista lo scoop e “l’esplosività” del materiale al centro dell’inchiesta, visto che quanto scoperto non ha gran che di eccezionale.

In sostanza, infatti, L’Espresso ha scoperto che se un personaggio dello spettacolo fa un contratto con una banca, una grande azienda o una compagnia di assicurazioni, in quel contratto ci sarà anche scritto che non ne potrà parlare male. Se non accettiamo che di norma questo sarebbe già semplicemente il buon senso a suggerirlo, i contratti con le aziende sono fatti proprio così, prevedono clausole vincolanti, e non fanno eccezione quelli di lavoro e quelli pubblicitari. In alcuni settori come quello finanziario e assicurativo, poi, sono la norma. Non si può quindi, di certo far passare per scoop esclusivo il fatto di aver scoperto che se lavori per un’azienda esiste un contratto di riservatezza. Senza neanche considerare il fatto che Fedez non è né un giudice, né un giornalista, né un politico. Non ha insomma nessun obbligo deontologico e non deve certo risposte e spiegazioni sui suoi contratti di lavoro a nessuno, men che meno all’opinione pubblica italiana. Probabilmente, infatti, Fedez fa semplicemente le cose che ha interesse a fare, come tutti. 

Se poi si volesse andare fino a fondo nell’assurdità della questione sollevata dal dossier, andrebbe anche detto che nonostante le indubbie capacità dei Ferragnez di generare profitti, stiamo parlando comunque di inezie rispetto al mondo dell’imprenditoria di medio/alto livello e dell’industria. Pur partendo dal presupposto – opinabile – che Fedez e Ferragni  siano tra le espressione più compiute del capitalismo contemporaneo, non si capisce come e perché una scoperta simile dovrebbe sconvolgere l’opinione pubblica, né tanto meno come potrebbe rovinare la loro reputazione e la loro credibilità o indebolire le loro prese di posizione. Anzi, se vogliamo è proprio per questo che sono doppiamente meritevoli per il loro impegno civile e sociale. È proprio per via del loro status che potrebbero fare altro evitando di esporsi in prima linea così come hanno fatto per il Covid – con iniziative tanto meritevoli da essere premiati con l’onorificenza dell’Ambrogino D’Oro –  e così come lo stanno facendo per il DDL Zan, con enormi e concreti risultati. Non si capisce quindi perché e in quale misura, il fatto che esistano o meno contratti con aziende che richiedono riservatezza, possa rendere meno valido e lodevole il loro impegno, così come le dichiarazioni di Fedez sul ddl Zan o la denuncia di quello che ha avvertito come un tentativo di censura al concertone del primo maggio.

È sbagliato, inoltre, paragonare e mettere sullo stesso piano questi due eventi; la scoperta delle clausole e la denuncia della presunta censura della Rai, utilizzando il primo allo scopo di rendere meno importante, grave e rilevante il secondo. Non sono sullo stesso piano e non è difficile capire perché. È evidente che se lavoro e ho un contratto con un’azienda non ne posso parlare male; diverso è invece, se si è chiamati a partecipare a un evento pubblico finanziato con soldi pubblici (decidendo di non percepire alcun compenso, per giunta) e su una rete pubblica, in cui tecnicamente ognuno è libero di dire ciò che pensa, e si subisce invece un tentativo di condizionamento per ragioni di opportunità politica. In altri termini, più che una questione di coerenza, è una semplice questione di libertà di scelta.

Eppure, in queste ore moltissimi giornali, e moltissime persone, inferocite, si stanno scatenando sui social chiamando in ballo proprio la coerenza: “con i soldi delle assicurazioni e delle banche è facile fare il paladino della giustizia” e si cercano “gli artisti liberi e indipendenti di una volta”, evidenziando quanto sia scioccante la scoperta fatta da L’Espresso: “Il Fedez che denuncia la censura della Rai al primo maggio è lo stesso Fedez che accetta di non rilasciare dichiarazioni inerenti al settore bancario e assicurativo”?. Come se la cosa potesse avere un peso.

La cosa davvero scandalosa, infatti, non dovrebbe riguardare la scoperta delle clausole nei contratti di lavoro di Fedez, quanto il fatto che i giornali se ne servano per parlare alla pancia del paese, piuttosto che fare informazione. Davvero ci cambia sapere che un influencer ha un contratto di riservatezza milionario? Non ci interessa di più orientare il giornalismo di inchiesta ad obiettivi di rilevanza per la gestione della cosa pubblica? Se si decidesse di scoperchiare il tema degli interessi, della coerenza e dei finanziamenti il problema non sarebbe di certo dei Ferragnez, ma piuttosto della politica. 

Ciò che emerge da questa vicenda, e dalla pubblicazione di questa “inchiesta”, è soltanto che per molti commentatori di questo Paese il fatto di avere un accordo commerciale nel settore bancario ti farebbe automaticamente diventare meno meritevole di difendere i diritti civili. E questo è grave, e anche un po’ ipocrita, soprattutto considerato che le testate del Gruppo L’Espresso di proprietà di Exor, gruppo riferito agli Agnelli, quotidianamente si confrontano con gli interessi degli industriali e le dinamiche della politica.

Se si volesse giocare a ricercare l’integrità etica e inseguire l’onestà bisognerebbe allora andare da chiunque riceva fondi e chiedergli come mai non lo si critichi. Ma anche in questo caso sarebbe sbagliato partire dai Ferragnez, perché non è scandaloso rispettare un contratto lavorativo che vieta di dire alcune cose. E per quanto si possano approvare o meno le cose che fanno e dicono Fedez e Chiara Ferragni o per quanto si possa trovare discutibile la scelta di esporsi su certi temi piuttosto che su altri, questo non è “un inganno della società dei consumi” perché non siamo di fronte a persone compromesse soltanto perché parlano da una posizione privilegiata.

Fedez non è il nuovo Che Guevara e il fatto che venga percepito come tale è preoccupante e dimostra ormai la quasi irrecuperabilità di uno spazio di critica attiva, di discussione e di coscienza di classe. È il sistema che si è creato a essere sbagliato e scandaloso e Fedez è solo l’ennesimo ingranaggio che lo rende manifesto, svelando il meccanismo in cui viviamo.

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