C’è una scena di The Big Bang Theory in cui Sheldon, Howard e Rajesh stanno chiacchierando nel negozio di fumetti di Stuart. A un certo punto entra una bella ragazza e tutti la fissano sconvolti. Raj chiede: “Che ci fa in un negozio di fumetti?”, e Stuart gli risponde: “Non lo so, forse si è persa” e la gag continua su questa falsariga. Il cliché vuole infatti che le ragazze, specie quelle più cool e popolari, non entrino nei negozi di fumetti e soprattutto non li leggano. Nella società occidentale i fumetti hanno assunto nell’immaginario collettivo il titolo di “cosa da maschi”, specie da nerd come i protagonisti della serie citata. Le ragazze che se ne interessano sono rare e rappresentate nella cultura pop come outsider e alternative.
Questo quadro, per quanto stereotipato, un tempo poteva anche essere vero, ma negli ultimi anni i dati raccolti ci dicono qualcosa di ben diverso: il numero delle lettrici di fumetti è in continuo aumento e secondo alcuni sondaggi ha ormai raggiunto quello dei lettori. Il sito web Graphic Policy ha condotto fino al 2018 un’indagine mensile, basata sulle preferenze e le interazioni degli utenti Facebook a pagine e post di comic books, che ha visto le appassionate crescere fino a rappresentare il 53% della fandom negli Stati Uniti e il 51,55% in Europa. Questa analisi è confermata dai sondaggi americani che analizzano le vendite dei negozi di fumetti e graphic novel e da quelli che prendono in esame convention come il New York Comic-Con: il pubblico femminile negli ultimi anni sembra aggirarsi tra il 40% e il 50%, con le donne di età compresa tra i 17 e i 30 anni che rappresentano il gruppo di acquirenti in maggiore crescita. Sembrerebbe quindi arrivato il momento di lasciarsi alle spalle l’idea dei comics come interesse per uomini. Eppure ciò non significa che le donne nel mondo dei fumetti non siano più vittime di discriminazioni, tutt’altro.
Gli stereotipi e gli atteggiamenti sessisti abbondano sia dal punto di vista della rappresentazione dei personaggi sia nel trattamento riservato in molti casi ad autrici e disegnatrici. Del resto questi schemi derivano da una storia di marginalità precisa. I comics conquistano il pubblico mainstream occidentale negli anni Trenta, con la nascita negli USA delle grandi case editrici come la DC Comics, nel 1934, e la Timely Publication, nel 1939, che diventerà poi la Marvel Comics. A quel tempo i personaggi femminili sono perlopiù relegati a ruoli secondari. Qualcosa inizia a muoversi con lo scoppio della seconda guerra mondiale quando, con gli uomini al fronte, le donne tengono in piedi l’economia. Sono infatti di quegli anni le prime supereroine di carta: Invisible Scarlet O’Neil, Fanthoma (entrambe del 1940) e, ovviamente, Wonder Woman, ideata da William Moulton Marston e Harry G. Peter nel 1941. La principessa delle amazzoni che rinuncia all’immortalità per combattere il male nel mondo degli umani armata del suo lazo e di una forza sovrumana, oltre a essere uno dei personaggi più iconici del panorama, è un vero e proprio emblema della rappresentazione femminile nel fumetto, tanto che attraverso la sua evoluzione è possibile seguire le trasformazioni della condizione della donna nella società occidentale.
“A un certo punto le avventure di Wonder Woman iniziano a farsi più romantiche,” spiega Jennifer K. Stuller, autrice ed esperta di rappresentazione femminile, nel documentario Wonder Women! The Untold Story of American Superheroines, “Prima era Wonder Woman a portare tra le braccia le donne che salvava, ora è Steve Trevor che tiene tra le braccia l’eroina”. Finita la guerra, si sente infatti la necessità di riportare le donne ai loro ruoli di mogli e madri e a questo si aggiungono le accuse di chi considera i fumetti un prodotto immorale, spingendo le case editrici a dotarsi di codici etici. I personaggi femminili, da Catwoman a Lois Lane, vengono colpiti dalla censura e nelle linee guida della DC Comics si legge: “L’inclusione delle donne nelle storie è specificamente scoraggiata. Le donne, se usate nella struttura della trama, dovrebbero essere secondarie in importanza”. Saranno le femministe degli anni Settanta a far notare la penosa situazione in cui verte ormai Wonder Woman, privata del suo regno e dei suoi poteri. Nel 1972 Gloria Steinem dedica la prima copertina di Ms. Magazine proprio all’eroina della DC, riuscendo a persuadere autori ed editori a restituire a Wonder Woman il suo ruolo originario di principessa guerriera.
Anche in Italia, dove durante la guerra il fascismo aveva influenzato il mondo del fumetto promuovendo modelli di donna in linea con gli ideali del regime, bisogna aspettare il fervore degli anni Sessanta e Settanta perché i personaggi femminili smettano di essere relegati alle graphic novel di stampo sentimentale. Se nel 1963 Eva Kant, la raffinata e indipendente ladra compagna di Diabolik creata da Angela e Luciana Giussani, diventa una delle eroine più interessanti del fumetto italiano, nel 1965 entra in scena Valentina Rosselli, la donna di carta più famosa e amata d’Italia. La fotografa con il caschetto à la Louise Brooks, che vive in una Milano borghese, moderna e intellettuale, nasce dalla matita di Guido Crepax, che ne disegna le curve plastiche tra inquadrature ravvicinate e pose provocanti. Valentina è una donna emancipata che vive la propria sessualità liberamente, ma l’aspetto sensuale e voyeuristico dell’opera di Crepax è parallelo a un profondo carattere introspettivo: conosciamo così un personaggio femminile a tutto tondo, ne scopriamo i disagi, le fobie e i desideri, la seguiamo mentre si innamora e diventa madre senza mai ricalcare un cliché. I nudi e le scene erotiche non sono mai l’unico piano di lettura, eppure Valentina rimane la creazione di un uomo e, per quanto sia stata da molti critici associata al femminismo, non si può escludere il peso del male gaze.
Le donne nei fumetti hanno ancora un grosso problema di rappresentazione, la loro storia è costellata di clichè e topos narrativi sessisti. Le eroine dei comic books sono state spesso iper sessualizzate fino al ridicolo e ridotte a stereotipi: la damigella in pericolo, l’amante, la femme fatale e via dicendo. Per anni è sembrato impossibile imbattersi in donne forti e sfaccettate quanto le controparti maschili. Le poche eroine dei comic books, poi, tendenzialmente fanno una fine orribile: vengono uccise solo per provocare una reazione nell’eroe, fatte a pezzi e messe nel congelatore come in un episodio di Green Lantern, torturate, violentate, rese pazze dai loro stessi poteri o costrette a rinunciarvi per un fantomatico bene superiore. Nel 1999, la scrittrice Gail Simone ha creato il sito web Women in Refrigerators proprio per raccogliere tutti questi macabri episodi e denunciare il fenomeno. Con l’aumentare del pubblico femminile, è emersa però anche una critica più stringente a questa rappresentazione di stampo maschilista delle donne – nel 2015, ad esempio, una protesta online ha portato la DC a ritirare una copertina di Batgirl ritenuta misogina – e insieme la necessità di storie di donne che siano raccontate da un punto di vista femminile.
Negli ultimi anni, le cose stanno certamente migliorando e persino le grandi case editrici come Marvel e DC hanno iniziato a creare nuove eroine meno stereotipate – come Kamala Khan alias Ms. Marvel, una ragazza musulmana dotata di superpoteri – e dato maggiore spazio ai personaggi femminili sia sulla carta che al cinema. Anche in Italia si percepisce un’apertura e il panorama fumettistico si sta arricchendo di nuove voci e storie, non solo femminili ma anche femministe e LGBTQ+. Pensiamo ad Alice Milani e ai suoi fumetti biografici su Wisława Szymborska e Marie Curie, al fumetto femminista Post-Pink di Feltrinelli Comics, ad autrici come Ariel Vittori e Fumettibrutti che hanno saputo raccontare l’identità transgender e ancora alla casa editrice Edizioni Minoritarie di Antonia Caruso che si definisce apertamente “antifascista, antisessista, antirazzista, autoprodotta, trans/femminista”. Non è che le autrici e le editrici di fumetti in Italia fossero assenti prima d’ora: Cinzia Leone, ad esempio, oltre ad aver dato vita a importanti eroine di carta, come la sua famosa Gilda, ha anche fondato Il Male, una delle più importanti riviste satiriche degli anni Settanta; poi ci sono Grazia Nidasio, autrice nel 1968 del famoso fumetto per ragazze Valentina Mela Verde, Laura Scarpa con la sua Martina che appare per la prima volta nel 1986 sulla rivista Ragazza In e Silvia Ziche che alterna fumetti disneyani a strisce e vignette umoristiche. Oggi si sta accumulando sempre maggior consapevolezza ed emerge la voglia di rivendicare la parità in un ambiente lavorativo tradizionalmente maschile e purtroppo ancora sessista. Proprio in questo contesto, alla fine di ottobre di quest’anno, è nato Moleste, collettivo per la parità di genere nel fumetto.
“Il punto di incontro di Moleste è stato l’articolo dello scorso luglio scritto da Francesca Torre, ‘Di che parliamo quando parliamo di molestie nell’Italia del fumetto’”, racconta a The Vision Deborah Tommasini, illustratrice e autrice di fumetti, “Il pezzo era uscito in seguito ad alcuni casi di molestie da parte di autori di fumetti americani e tracciava il quadro della situazione attuale in Italia. Da lì sono emerse molte testimonianze e si è sentito il forte bisogno di fare qualcosa per contrastare i comportamenti abusanti e sessisti in questo settore”. Il collettivo, oltre a raccogliere in forma anonima testimonianze di persone che lavorano nel mondo del fumetto e che hanno subito molestie, discriminazioni e violenze, prevede workshop ed eventi di formazione: è uno spazio di ascolto e scambio per contrastare il problema. “Come in molti altri settori,” aggiunge Tommasini, “mancano le donne in posizioni apicali e permane l’idea che non siano idonee a svolgere determinati lavori, perché tradizionalmente accostati al maschile. Tutto questo penalizza sia gli uomini che le donne”. Quello che Moleste si appresta a fare è un lavoro difficile ma necessario, un passaggio obbligato ormai per cercare di scardinare decenni di sessismo e stereotipi nel settore.