La vita non è un torneo di tennis. L'esempio negativo di Djokovic può causare centinaia di vittime. - THE VISION

La pandemia ha portato alla luce pregi e difetti di molti di noi, rimarcando la differenza tra chi rispetta le regole e chi no, tra chi agisce con senso civico per il bene della collettività e chi preferisce non farlo. Questa scrematura riguarda anche i personaggi noti, persino gli idoli di milioni di persone che dovrebbero essere ancora di più un esempio da seguire. Un concetto reso evidente dal comportamento del tennista Novak Djokovic negli ultimi giorni.  

L’affaire Djokovic è iniziato il 4 gennaio, quando il tennista serbo ha comunicato su Instagram di essere in partenza per l’Australia grazie a un’esenzione medica per poter partecipare all’Australian Open, primo slam dell’anno. Il regolamento per la partecipazione al torneo prevede il completamento del ciclo vaccinale contro il Covid (almeno due dosi), salvo una documentazione medica che comprovi l’impossibilità di vaccinarsi per motivi di salute. Mentre Djokovic è in volo, il mondo si interroga su quale possa essere il motivo di questa esenzione, considerando che i criteri contemplano soltanto una grave reazione allergica ai vaccini oppure malattie acute o cardiopatie negli ultimi sei mesi. Ovviamente la seconda opzione è stata subito esclusa, in quanto un cardiopatico grave (che fuori dalle regole dell’Australian Open può comunque fare il vaccino anti Covid, e anzi rientra tra le categorie fragili e quindi è maggiormente invitato a farlo) non potrebbe di certo gareggiare a livelli agonistici. Anche la prima è stata scartata, e il motivo è semplice: Djokovic è un dichiarato No-Vax.

Il Primo ministro australiano Scott Morrison, prima ancora dell’arrivo di Djokovic nel Paese, ha dichiarato che “Djokovic sarà rimandato a casa con il primo aereo se non sarà in grado di fornire prove sufficienti a sostegno della sua esenzione dalla vaccinazione”. Le dichiarazioni sono arrivate soprattutto per timore della reazione dell’opinione pubblica australiana, dato che le regole sull’isola sono tra le più rigide al mondo sia in fatto di immigrazione che di lotta al virus, avendo avuto i lockdown più lunghi di qualsiasi altra nazione.

Quando Djokovic è atterrato a Melbourne, il 5 gennaio, il suo visto d’ingresso è stato respinto alla frontiera e il tennista è stato portato in un albergo usato come struttura di accoglienza dei migranti. Il governo serbo ha immediatamente convocato l’ambasciatore australiano, ma soprattutto è entrata in gioco l’intera famiglia del tennista durante una conferenza stampa.

Il Primo Ministro australiano Scott Morrison

Mentre i legali di Djokovic si attivano e ottengono un appello da valutare il 10 gennaio dai giudici, a Belgrado padre, madre e fratello del tennista iniziano a dipingere Novak come un martire ostracizzato dai poteri forti. La madre ha denunciato le condizioni del figlio in un albergo pieno di scarafaggi, con cibo scadente e ben pochi comfort. È purtroppo il trattamento riservato a qualsiasi migrante che tenta di entrare in Australia da alcuni anni. Un’attitudine favorita da un pensiero sciovinista che Djokovic ben dovrebbe conoscere. Novak qualche mese fa fu fotografato – a suo dire, a sua insaputa – insieme a Milan Jolovic, uno dei comandanti serbi ai tempi del massacro di Srebrenica, dove nel 1995 vennero uccisi più di ottomila bosniaci musulmani. Djokovic in passato ha anche posato per una fotografia con in mano una bottiglia di  liquore con il nome di Draza Mihailovic, generale legato all’esercito nazifascista durante la seconda guerra mondiale. Ha inoltre più volte intonato marce militari nazionaliste e ha sempre definito il Kosovo parte della Serbia. In poche parole: un nazionalista convinto ha subito i trattamenti del governo nazionalista australiano.

Se la madre di Djokovic e il fratello si sono limitati a lamentarsi per le condizioni del figlio, il padre, Srdan, ha approfittato dei riflettori per trascendere nella mitologia, nell’epica e nella religione. Ha infatti dichiarato: “Novak è lo Spartaco del nuovo mondo. È prigioniero, ma più libero che mai. Si è convertito nel leader del mondo libero, delle persone povere e con necessità. Lotta per l’uguaglianza delle persone”. Nel mentre il governo australiano ha messo in chiaro un punto: Djokovic non è in arresto, può prendere un aereo e lasciare l’Australia quando vuole. Il padre ha però continuato con i suoi discorsi: “Gesù è stato crocifisso, ha sopportato ed è ancora vivo in mezzo a noi. Allo stesso modo, cercano di crocifiggere Novak e di gettarlo in ginocchio”. 

Srdjan Djokovic padre di Novak Djokovic, Belgrado

Ieri, 10 gennaio, è arrivata la sentenza dei giudici australiani sul ricorso presentato dai legali del tennista. Dopo sette ore di procedimento trasmesse in diretta streaming, il giudice Anthony Kelly ha annullato la cancellazione del visto, liberando Djokovic da ogni restrizione. Il ministro dell’Immigrazione Alex Hawke potrà comunque esercitare il potere di annullargli il visto, quindi la vicenda non è ancora terminata. Ufficialmente il tennista è arrivato in Australia da visitatore non vaccinato con un’esenzione medica. Finalmente è stato chiarito il motivo dell’esenzione: Djokovic ha contratto il Covid il 16 dicembre, quindi non era tenuto a vaccinarsi. Questa decisione mette Djokovic in una luce ancora peggiore, perché se a livello formale gli permette di rivendicare il suo diritto di partecipare allo slam australiano, al contempo danneggia la sua figura mediatica.

Il motivo è chiaro: Djokovic è risultato positivo al tampone molecolare il 16 dicembre alle ore 13:05, e il risultato gli è stato comunicato alle ore 20:19. Il giorno dopo, il 17 dicembre, si è presentato a un evento dell’Associazione Tennis Belgrado, premiando bambini e facendosi fotografare in mezzo a loro senza mascherina, quando sapeva già dal giorno prima di essere positivo al Covid. Il 18 dicembre si è presentato invece alla premiazione Champion of Champions indetta dal quotidiano francese L’Équipe. A questo punto le opzioni sono due: Djokovic si è inventato una positività al Covid fornendo una documentazione falsa per poter partecipare all’Australian Open senza doversi vaccinare, oppure la positività era reale e ha partecipato a diversi eventi pubblici pur sapendo del rischio di contagiare diverse persone. In entrambi i casi si tratterebbe di comportamenti gravissimi.

In questi giorni i fan del tennista serbo stanno cercando in tutti i modi di ribaltare una situazione nella quale Djokovic appare come difficile da difendere. Hanno tirato fuori addirittura la cospicua donazione che il tennista ha versato agli ospedali di Bergamo all’inizio della pandemia. Siamo arrivati alla fase “ha fatto anche cose buone”. Un gesto nobile non può però cancellare negligenze, posizioni antiscientifiche e soprattutto quello che sembrerebbe a tutti gli effetti un possibile reato di epidemia colposa. A prescindere dalla linea difensiva dei suoi avvocati per permettergli di partecipare all’Australian Open, Djokovic dovrà necessariamente chiarire la questione della sua positività. Perché un no-vax rappresenta già di per sé un potenziale onere per la società durante un’epidemia; se poi va in giro senza mascherina ad abbracciare bambini e stringere centinaia di mani durante eventi pubblici pur sapendo di essere positivo, allora siamo di fronte al delirio di un uomo che a quanto pare non crede nemmeno al Covid stesso. Ci sono già dei precedenti, e per niente confortanti: nel 2020 Djokovic organizzò l’Adria Tour, un’esibizione in patria con diversi tennisti di prestigio. Tutti senza mascherina, fotografati anche in discoteca ben lontani dal mantenere una distanza di sicurezza uno dall’altro. Alla fine del torneo ci furono diversi positivi tra i partecipanti. Tra questi anche Djokovic, risultato asintomatico.

Questa vicenda è probabilmente un grave smacco per l’immagine di Djokovic e la sua credibilità. Resterà uno dei tennisti più vincenti e forti della storia, ma i valori dello sport non contemplano certi atteggiamenti. Per anni Novak si è lamentato chiedendosi come mai non fosse amato dal pubblico come Federer e Nadal. Forse adesso, con un po’ di ritardo, potrà darsi una risposta.

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