Se non riusciamo ad accorgerci delle disuguaglianze è perché diamo per scontati i nostri privilegi - THE VISION
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Forse i tempi sono maturi per ammettere che come società abbiamo un problema a saper riconoscere le discriminazioni. O, ancora più drasticamente, a renderci conto che nel rapporto causa-effetto il segnale di pericolo si accende quando i diritti si trasformano in privilegi. Facciamola semplice: io sono un maschio bianco, etero, cis. Semplici parole che il mondo della destra ha estrapolato per farne esercizio di scherno. Fuori dalle risate dei conservatori, io vivo in una società in cui ho più diritti di altre persone solo grazie al colore della mia pelle, al mio genere o al mio orientamento sessuale. Questo non vuol dire che debba sentirmi in colpa o fustigarmi in piazza. Se però non mi accorgo della stortura o, peggio ancora, approfitto di questo vantaggio sociale per screditare, consapevolmente o inconsapevolmente, chi nel 2024 non ha i miei diritti-privilegi anche all’interno del mio stesso Paese, allora divento complice delle discriminazioni e blocco ulteriormente il processo, già statico di suo, che dovrebbe condurre all’uguaglianza.

I diritti, senza il principio dell’universalità, diventano privilegi, che vengono distribuiti a caso. Se io fossi nato in Italia ma da genitori del Gabon o del Sudan, nonostante i miei studi nelle stesse scuole degli altri bambini, il mio accento catanese e la mia vita perfettamente allineata a quella dei coetanei, sarei stato un ragazzino “non ancora italiano” a causa di un vuoto legislativo che, a quanto pare, i politici nostrani non vogliono colmare nemmeno con lo Ius soli o lo Ius scholae. Sono invece nato da genitori italiani, e anche solo la nascita rappresenta un privilegio, che tante altre persone non hanno. Ciò che è frustrante è l’indifferenza di fronte alle disuguaglianze, spesso trainata dal pensiero “Non è qualcosa che mi riguarda”. Un diritto acquisito viene percepito come scontato, quasi come una legge della natura.

Servono però degli esempi concreti per inquadrare la situazione. Possiamo cominciare dal divario di genere. Secondo le ultime rilevazioni, in Italia le donne guadagnano il 10% in meno degli uomini anche svolgendo lo stesso ruolo. Parlando a livello globale, secondo un report del World Economic Forum, di questo passo la parità salariale tra uomini e donne è prevista per il 2154. Inoltre, in quanto uomo, ho il privilegio di poter uscire di casa la sera da solo senza il timore di subire abusi di ogni tipo, che siano molestie sessuali e violenze in generale. Non devo giustificarmi se ho la camicia leggermente sbottonata o dei pantaloncini troppo corti. Non ho dovuto attendere il 1946 per poter andare a votare o il 1981 per poter fare una scelta legata al mio corpo e alla mia persona – anche se sull’aborto il governo attuale sta facendo di tutto per aggiungere ostacoli ingiustificabili. Stesso anno in cui è stato abolito il delitto d’onore, tra l’altro. Inoltre, se divento padre ho molte più possibilità di mantenere il lavoro a tempo pieno, mentre se fossi una donna avrei una percentuale ben più alta di essere costretta a passare al part time o addirittura smettere di lavorare. Questo non fa di me un mostro, ma la consapevolezza di vivere in una società fatta “a misura d’uomo” dagli uomini, con le scorie del patriarcato ancora ben presenti nel tessuto del Paese è necessaria per poter invertire il trend e sperare in un cambiamento culturale e sociale. Ho anche il diritto di sposarmi con un’eventuale compagna. Diritto che diventa un privilegio, visto che in Italia esistono le unioni civili ma non i matrimoni egualitari. Dunque se fossi omosessuale non potrei farlo. Rischierei di essere definito “non normale” da un neo-europarlamentare italiano o di venire pestato in piazza per aver baciato il mio compagno. Inoltre, non potrei adottare un bambino.

Gli esempi potrebbero continuare all’infinito e in ogni campo, per ogni diritto e associati a qualsiasi gruppo sociale. Possono essere utili per inquadrare la questione ad ampio raggio, ma serve associare i comportamenti della comunità ai pensieri politici che li hanno generati, amplificati o fatti riemergere. Secondo diversi esperti le destre globali sfruttano l’insicurezza che serpeggia, in particolar modo quella maschile, per esacerbare discriminazioni e disparità. Il tema della presunta caduta del maschio non è altro che un’insofferenza sociale che, attraverso l’ideologia di certi politici, porta gli uomini a temere i diritti acquisiti dalle donne negli ultimi decenni. Come scrive Giorgia Serughetti, scrittrice e docente di filosofia politica all’Università di Milano-Bicocca, ne Il vento conservatore “il populismo sovranista e conservatore offre una sponda politica alle frustrazioni che attraversano il mondo maschile. In particolare, gli ‘uomini forti’ della destra radicale intercettano questo disagio identitario, offrendo come risposta il sogno nostalgico di una presunta età dell’oro in cui il posto degli uomini nel mondo e il loro privilegio erano garantiti dalla cultura, dalle istituzioni, dalla legge”.

Riflettendoci a fondo, ci si potrebbe chiedere il motivo per cui conservatori ed estremisti di destra abbiano paura, visto che l’eventuale aggiunta di un diritto per alcune minoranze non ne sottrarrebbe alcuno a loro. Il matrimonio egualitario non impedirebbe a una coppia eterosessuale di sposarsi ugualmente, così come dare la cittadinanza a ragazzi nati e cresciuti in Italia non intaccherebbe “l’italianità” dei conservatori di turno. Qui entra in gioco il reale fattore di mobilitazione: non temono di perdere un diritto, ma un privilegio. Riducendosi o azzerandosi le disuguaglianze, non si sentirebbero più “sopra gli altri”. E non è ovviamente un fenomeno soltanto italiano. Anzi, negli Stati Uniti è ancora più acceso e il dibattito è in corso da più anni. Il sociologo Michael Kimmel ne ha parlato nel libro Angry White Men – American Masculinity at the End of an Era. Kimmel analizza proprio il timore della caduta del privilegio da parte di una fetta consistente della popolazione. Nello specifico, “gli uomini bianchi etero rispetto ad altri gruppi sono a tutti gli effetti dei privilegiati perché beneficiano della disuguaglianza”. Anche Kimmel non incolpa questi uomini in sé, ma il modo in cui certa politica li spinge a mantenere la disuguaglianza per non far perdere loro quel privilegio.

In teoria la prospettiva dei privilegi potrebbe allargarsi anche solo per motivi geografici. Anche il meno fortunato degli italiani sarà comunque sempre in una posizione di vantaggio rispetto a un soggetto nato in un Paese dove l’aspettativa di vita è sotto i 60 anni, non esiste la sanità pubblica o il diritto all’istruzione, le donne non possono scoprire il volto o guidare una macchina. Sono però realtà così distanti tra loro da essere imparagonabili, mentre è assurdo che all’interno della stessa nazione ci siano delle differenze di trattamento ancora così evidenti. E qui torniamo al discorso politico, perché una rivoluzione culturale e qualsiasi movimento di civiltà verrà sempre frenato, se uno Stato è governato dalla destra più estrema. Quindi permangono le differenze tra conservatori e progressisti per poter instaurare un processo di cambiamento o mantenere lo status quo – se non addirittura arretrare.

I conservatori sono sempre esistiti, seppur con forme diverse. Si opponevano al divorzio e all’aborto; alla rivoluzione industriale ai tempi del luddismo; prima ancora attaccavano Galileo e non si schiodavano dal pensiero che fosse il Sole a girare intorno alla Terra. È la ciclicità della storia. Nel futuro i nostri successori forse resteranno sbigottiti al pensiero di un periodo storico senza matrimoni tra persone dello stesso sesso allo stesso modo in cui oggi ci sembra fantascienza un’elezione senza donne ai seggi. La storia però la fanno gli esseri umani, quindi dobbiamo essere noi a interrompere il processo che lega in modo malsano il triangolo diritti-disuguaglianze-privilegi. Altrimenti corriamo il rischio di restare intrappolati in un periodo buio, con la complicità di chi non ha colpe a essere un maschio, etero, bianco, ma che non vuole perdere il suo privilegio, e dunque una posizione di vantaggio, nella società.

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