Proprio durante il mese del Pride e in occasione del quarto anniversario dalla strage di Orlando, quando un uomo armato con un fucile d’assalto entrò in un locale LGBTQ+ uccidendo 49 persone e ferendone altre 68, il presidente Donald Trump ha deciso di attaccare i diritti civili delle persone trans nell’ambito della sanità nazionale.
“Il genere è maschio o femmina ed è una questione di biologia”: con queste parole, l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti ha cancellato la norma che impediva a un ospedale di discriminare una persona transgender. Per capire davvero quanto sia meschino e pericoloso questo attacco, dobbiamo metterci nei panni di una qualunque persona trans: in ospedale è infatti molto comune subire il misgendering, cioè essere trattati in base al genere assegnato alla nascita. Per portare un esempio più vicino a noi: a Napoli una donna trans è stata massacrata di botte sotto casa sua e una volta portata in ospedale le è stato detto che sarebbe stata ricoverata in un reparto maschile, dato che i documenti contenevano ancora un nome da uomo. Ci sono anche altri ambienti in cui una persona trans è particolarmente esposta e sono gli uffici comunali e i distretti di polizia: in luoghi come questi, se sui documenti compare ancora un nome diverso dal genere in cui ci si riconosce, si possono avere molti problemi.
Nel 2016, l’ex presidente Barack Obama era intervenuto per permettere che almeno negli ospedali questo disagio scemasse, ampliando il concetto di identità di genere. La definizione per il vecchio inquilino della Casa Bianca prevedeva che l’identità di genere fosse “il personale senso interno di genere che può essere maschile, femminile, nessuno dei due o una combinazione di maschile e femminile”. Questa frase, che per tanti può non significare molto, permetteva a una donna transgender di entrare in un ospedale e sentirsi protetta nella procedura di transizione di genere, che è un processo già in sé molto delicato. L’ospedale, se era in grado di fornire quel tipo di trattamento, era obbligato secondo questa norma a rispettare il volere della paziente, senza potersi opporre per motivazioni ideologiche.
Trump ha rimosso anche questa piccola ma importante protezione per rinsaldare il legame con il suo elettorato ultraconservatore in un momento in cui, a causa delle manifestazioni di Black Lives Matter, la popolarità del presidente sta crollando nei sondaggi. Questo non è certo il primo attacco del tycoon alla comunità trans, parlando di assistenza sanitaria. Già nel 2018, infatti, aveva imposto nei documenti sanitari pubblici una definizione di sesso su base biologica. Ma ritornare all’attacco nel mese del Pride, così importante per la comunità LGBTQ+, e farlo proprio nel giorno del ricordo di una strage che ha costretto questa comunità a contare i propri morti, è una dichiarazione di guerra aperta, che dall’altra parte permette al presidente di stipulare un’alleanza con quegli ambienti che, leggendo la norma di Obama, avevano pensato che si fosse spinto decisamente oltre. In pratica, quello che Trump sta facendo è vendere la tranquillità e la salute di un’intera comunità, di cui è disposto a sacrificare i diritti, in cambio di consensi. La dinamica transfobica di Trump purtroppo, però, non è un caso isolato. Sono molte, infatti, le realtà di destra radicale e integralista che vedono nei diritti delle donne e della comunità LGBTQ+ un errore che va necessariamente e severamente “corretto”.
Noi italiani abbiamo avuto l’opportunità di conoscerle da vicino. L’anno scorso, infatti, la lega di Matteo Salvini ha ospitato a Verona il Congresso mondiale delle famiglie, un evento che, sebbene additato come fomentatore d’odio da più associazioni internazionali per i diritti umani, era inizialmente patrocinato dal governo italiano. Appena la notizia arrivò sui giornali, nessuno fra le forze del M5S e della Lega voleva assumersi la responsabilità né di aver dato il patrocinio né di volerlo togliere. Per quanto l’opinione pubblica stesse lentamente capendo quanto un evento simile potesse essere divisivo, questo non fece desistere gli esponenti più importanti della Lega e di Fratelli d’Italia dal partecipare e dal succedersi sul parco con persone il cui vanto era quello di essere firmatari nei loro Paesi di leggi contro l’aborto o di gravi pene per le persone LGBTQ+. Ma qualcosa è andato storto.
Il Congresso, finanziato da ambienti conservatori americani e russi, si è dovuto scontrare con una gestione tutta italiana dell’evento. Probabilmente, gli organizzatori non sono stati abili a comunicare bene l’evento o la società italiana era già all’erta per i disegni di legge reazionari come quello del senatore leghista Pillon, sta di fatto che per la prima volta dalla sua creazione negli anni Novanta, il Congresso mondiale delle famiglie si è trovato di fronte una reazione che non aveva considerato possibile: il collettivo femminista Non una di meno, infatti, convocò un corteo e tre giorni di mobilitazioni per parlare dei diritti delle donne e delle persone LGBTQ+.
Questa reazione della società italiana sembra aver messo in difficoltà i conservatori di casa nostra che avrebbero voluto far passare questo congresso in sordina, rinsaldando il legame con gli ambienti ultracattolici e filofascisti, senza disturbare per questo tutta la società civile. Questo imbarazzo, complice poi anche l’uscita della Lega dal governo, li ha spinti a riconsiderare la strategia, riadottando una modalità più discreta. Dall’anno scorso, infatti, gli attacchi ai diritti riproduttivi e LGBTQ+ fatti dalla destra si sono articolati su base amministrativa e locale. Ultimo è il caso umbro, che vieta l’aborto farmacologico in day hospital, su un modello già consolidato proprio a Verona. Nel 2018, infatti, il consiglio comunale della città veneta votò una mozione che rendeva l’aborto molto più complicato. Fare azioni di questo tipo permette infatti alla Lega di strizzare l’occhio agli ambienti conservatori, senza però dover fronteggiare una reazione nazionale di chi quei diritti li protegge.
Anche a livello internazionale, i leader mondiali di destra col tempo hanno preferito concentrarsi su una sola battaglia, quella discriminatoria contro le persone trans, evitando di attaccare tutto il movimento LGBTQ+ e subirne poi una reazione congiunta. Colpire la comunità trans, infatti, è molto più semplice: in molti Paesi come gli Stati Uniti è lasciata ai margini del movimento LGBTQ+ e in generale è composta da meno individui rispetto alla comunità gay o lesbica; inoltre, attaccarla risveglia le simpatie anche di ambienti non troppo estremisti, ma comunque ostili alle persone trans. Si rivela dunque una battaglia molto più semplice e molto più proficua dal punto di vista dei consensi. Così, Trump, nell’agosto del 2019, ha chiesto alla Corte Suprema di legalizzare la possibilità di licenziare le persone trans per la loro identità di genere. Vivere nel Brasile di Bolsonaro, poi, per la comunità LGBTQ+ e per le persone trans in particolare, significa affrontare un costante e sempre più minaccioso clima di paura, dal momento che il presidente si è sempre dimostrato loro aperto nemico. Orbán, che ha ottenuto i pieni poteri per fronteggiare l’emergenza Coronavirus in Ungheria, li ha utilizzati nei mesi scorsi anche per eliminare i diritti delle persone trans: è stato infatti rimosso ogni riconoscimento giuridico alle persone transessuali e non sarà più possibile cambiare il genere sui propri documenti anche se ci si è già sottoposti a un’operazione per il cambio di sesso. In questo modo, ha reso ogni trans una persona fuorilegge. Anche una volta riconcessi i poteri al parlamento, la discussione sulla norma non ha avuto un esito diverso e oggi ogni persona trans ungherese è considerata fuorilegge.
Gli attacchi a questa comunità, tuttavia, non vengono solo dai potenti uomini macisti. Anche alcune femministe hanno iniziato a perseguitarla e fra queste c’è l’autrice della saga di Harry Potter, J. K. Rowling. La scrittrice, vicina ad ambienti femministi transescludenti inglesi, ha twittato che: “Se il sesso non è reale, la realtà vissuta dalle donne di tutto il mondo è cancellata”. In altre parole, questi ambienti femministi reazionari pensano che a esistere siano solo due sessi e che l’inclusione nella categoria “donna” richiesta dalle donne trans rischierebbe di danneggiare le persone biologicamente donne. Rowling sostiene, infatti, che in un mondo in cui le istanze della comunità trans fossero pienamente compiute, molte donne sarebbero costrette a condividere spazi come i bagni pubblici con gli uomini, a discapito della loro sicurezza. La scrittrice fa riferimento proprio ai bagni pubblici perché, nel mondo anglofono, c’è da tempo un acceso dibattito sui bathroom bills per l’eliminazione delle distinzioni di genere nei bagni pubblici. In South Carolina, per esempio, le persone transgender sono obbligate ad andare nei bagni che corrispondono al loro sesso biologico. La possibilità che un uomo possa travestirsi da donna per commettere violenza nei bagni, però, non è suffragata da nessun dato, anzi è stata smentita dalle associazioni che si occupano di violenza sulle donne e da ricerche del governo scozzese che invece si sta muovendo per rendere più inclusivi i propri spazi pubblici. Anche in questo caso, abbiamo un esempio in casa nostra con l’associazione Arcilesbica che negli anni è diventata sempre più chiusa nei confronti delle persone trans, costringendo molte attiviste ad abbandonarla per fondare un’altra associazione, Alfi (Associazione di lesbiche e femministe italiane), molto più intersezionale ed aperta alle tematiche trans.
L’ossessione per le persone trans è quindi un morbo che colpisce tanto gli uomini quanto le donne, proprio per la loro natura di presenza nel mezzo. Le persone trans – ma si dovrebbe parlare in questi termini anche delle persone intersex e di chi non si riconosce in nessuno dei due generi – rappresentano tutto ciò che il machismo e il femminismo radicale transescludente temono. Questo è dovuto a un’interpretazione della società che vede l’uomo al vertice. Gli uomini hanno paura perché le donne trans hanno deciso di rinunciare ai privilegi degli uomini, le donne perché vedono messa in discussione l’identità e il fondamento biologico del proprio genere. In entrambi i casi, la mancanza di empatia provoca una cecità crudele e del tutto ingiustificata.
Eliminare i diritti è sempre pericoloso, anche quando sembra che i propri non vengano intaccati direttamente. Per questo motivo la comunità LGBTQ+ dovrebbe difendere in maniera compatta quei pochi metri guadagnati nella lotta alla parità, e ora rimessi ampiamente in discussione, magari rinsaldando il suo legame con la comunità nera, ricordandosi ad esempio che il movimento LGBTQ+ è nato proprio da donne trans nere, che si erano ribellate ai soprusi della polizia; e la società tutta dovrebbe vigilare affinché non si regredisca in termini di diritti, scendendo in piazza per difenderli, se necessario, ed esponendosi in prima persona.