Il repentino cambiamento di abitudini imposto dalle misure prese dal governo per far fronte all’emergenza Coronavirus sta mettendo gli italiani davanti a nuove sfide non solo sociali, economiche e psicologiche, ma anche digitali. In prima fila ci sono sicuramente gli studenti di tutte le età alle prese con la didattica online insieme agli smartworker e ai loro datori di lavoro. Le difficoltà che stanno emergendo in questi giorni non derivano solo dalla velocità con cui molti sono stati costretti a cambiare il modo in cui si impara e si lavora, ma in larga parte da un ritardo strutturale del Paese in materia di digitalizzazione della società e dell’economia.
Il rapporto Desi (Digital Economy and Society Index) della Commissione europea rivela infatti che nel 2019 l’Italia è arrivata al ventiquattresimo posto tra i 28 Stati europei, seguita solo da Polonia, Grecia, Romania e Bulgaria. Sul podio svettano invece Finlandia, Svezia e Paesi Bassi seguite da Danimarca, Gran Bretagna pre-Brexit e Lussemburgo. Questo indagine serve a Bruxelles per misurare la competitività digitale dei Paesi membri e tiene in considerazione cinque aspetti: la qualità e la diffusione della rete a banda larga (connettività), la diffusione e il grado di competenze digitali (capitale umano), l’uso dei servizi Internet da parte dei cittadini, l’integrazione delle tecnologie digitali nelle aziende e la disponibilità di servizi pubblici digitali.
In Italia i dati più allarmanti riguardano il capitale umano. In fondo alla piramide delle abilità legate al mondo della rete si trovano le cosiddette competenze digitali di base, che prevedono il saper “utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione”. Solo il 44% degli italiani tra i 16 e i 74 anni presenta competenze digitali di base contro il 57% della media europea, e addirittura il 19% non ha mai utilizzato Internet nella sua vita. L’unico provvedimento preso per colmare questo divario è stato il Piano nazionale per la scuola digitale del 2015, definito dal Governo come un “pilastro fondamentale de La Buona Scuola (legge 107/2015)”. Per ora la strategia ha dato risultati modesti: solo il 20% degli insegnanti ha seguito corsi sull’alfabetizzazione digitale e i corsi di programmazione sono assenti nel 24% degli istituti italiani. Il piano prevedeva anche lo stanziamento di risorse per la creazione di 700 posti di dottorato annuali di ricerca legati all’Industria 4.0, ma a fine 2017 ne risultavano attivi solo 400. Queste misure non sono state affiancate da una strategia più ampia rivolta ad anziani e disoccupati, sempre più a rischio di esclusione digitale oltre che sociale.
Le rilevazioni del Desi smentiscono anche le convinzioni sulla nuova generazione di nativi digitali iperconnessi: mentre il 92% dei giovani italiani tra i 16 e 24 anni usa abitualmente Internet, la percentuale sale al 97% per i loro coetanei europei.
La situazione non è delle migliori neanche per gli insegnanti che ci si relazionano ogni giorno.Il ministero dell’Istruzione ha lasciato carta bianca sulla gestione pratica della didattica a distanza, mettendo a disposizione negli ultimi giorni una pagina dedicata al supporto e alla formazione dei docenti e fornendo delle nuove indicazioni in merito il 17 marzo scorso. La ministra Lucia Azzolina ha specificato infatti che la modalità da privilegiare è quella della classe virtuale e che “il solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti (…) dovranno essere abbandonati”, mentre i programmi scolastici stabiliti a inizio anno verranno rivisti alla luce delle nuove esigenze. Nel documento seguono una serie di accorgimenti da adottare per gli alunni delle scuole dell’infanzia incentrati sul contatto diretto e la dimensione ludica “mediante semplici messaggi vocali o video veicolati attraverso i docenti o i genitori rappresentanti di classe, ove non siano possibili altre modalità più efficaci”. Per gli studenti delle scuole primarie e secondarie la ministra ha consigliato di cercare un equilibrio tra l’attività didattica a distanza e i momenti di riposo per scongiurare i rischi legati all’esposizione prolungata agli schermi, e sottolineato la necessità di continuare a fornire agli studenti “attività di valutazione costanti”. Rimangono ancora alcuni nodi da sciogliere come la questione della maturità 2020 e il conteggio delle assenze virtuali. Nel frattempo, a causa delle difficoltà nella gestione delle piattaforme di didattica online, per ora sono le scuole medie a registrare un leggero ritardo: solo il 77% degli studenti afferma di aver iniziato a seguire le lezioni online, contro il 90% dell’ultimo triennio delle superiori.
Le notizie riguardo alla connettività sembrerebbero invece positive: al diciassettesimo posto in Europa e con un balzo in avanti di ben sette posizioni rispetto all’anno precedente, l’Italia ha un’ottima copertura in termini di banda larga fissa (più del 99,5%) e di quella veloce – che raggiunge il 90% delle famiglie –, rispetto a una media europea dell’83%. Questo dato è però ridimensionato da quello sulla copertura della banda larga ultraveloce (24% rispetto alla media europea del 60%). Nel 2015 la società pubblica Open Fiber aveva vinto una gara d’appalto che prevedeva di portare la connessione in fibra ottica alla rete a banda larga a 9,6 milioni di abitazioni entro il 2020, ma cinque anni dopo solo 2,2 milioni risultano connesse. Secondo le stime della Dataroom del Corriere della Sera, nelle aree non raggiunte dalla fibra delle regioni più colpite dal Coronavirus (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) si troverebbero ben 2.349 comuni in cui non sarebbe possibile lavorare da casa in maniera ottimale. Tutto questo mentre negli ultimi giorni Vodafone ha registrato un aumento del 50% del traffico negli Stati europei maggiormente colpiti dal Coronavirus, dovuto al cambiamento di abitudini delle famiglie costrette a stare a casa e dei 550mila nuovi smartworker italiani.
Le scarse competenze digitali e i problemi legati alla connettività hanno un impatto enorme in ambito economico e amministrativo. Le difficoltà nell’utilizzare le risorse della rete si riflettono sul commercio online, dove a una domanda ancora relativamente bassa da parte dei consumatori corrisponde una scarsa attività da parte delle piccole e medie imprese italiane. Di conseguenza, solo il 10% delle aziende vende online (rispetto a una media europea del 17%), traendone complessivamente l’8% dei loro ricavi. Questi dati, però, cambieranno per le nuove necessità dei cittadini in isolamento e potrebbero addirittura influenzare a lungo termine le loro abitudini di consumo, spingendo le aziende a investire maggiormente nel commercio in linea. Un’indagine Nielsen del 20 marzo ha registrato una crescita a doppia cifra nelle vendite della Grande Distribuzione Organizzata legata all’acquisto di prodotti per la pulizia e per l’igiene della persona, oltre che alla richiesta di cibo a lunga conservazione e anche di certi “comfort food“, come cioccolata, birre e pizze surgelate.
Dal punto di vista dei servizi pubblici digitali, l’Italia ha un sorprendente diciottesimo posto in Europa, legato soprattutto alla qualità della sanità online e dei servizi pubblici per le aziende. Questa tendenza positiva viene però controbilanciata da una generale mancanza di interazione tra gli enti e i cittadini. Sono pochi infatti a usufruire della possibilità di inviare moduli online (37% contro il 64% degli europei), un dato che però si spiega in larga parte con l’assenza di competenze digitali di base evidenziate prima.
La situazione della digitalizzazione in Italia oggi dimostra come i due grandi progetti messi in atto per migliorare la situazione (il Piano nazionale per la scuola digitale da parte del governo e il progetto dell’Open Fiber, entrambi del 2015) non abbiano dato i risultati sperati nei tempi previsti. L’Italia ferma a cinque anni fa in materia di competitività digitale deve ora affrontare sistemico senza precedenti. Che superi o meno questa prova con successo, non possiamo rimandare oltre l’approvazione di misure davvero efficaci per dotare un Paese membro del G8 di un’infrastruttura vitale tanto per l’economia quanto per la società, non solo in momenti di emergenza come quello che stiamo vivendo.