Pochi giorni prima dell’invasione, i russi schierarono l’esercito e i carri armati ai confini con l’Ucraina. Parlarono di “esercitazioni”. Il 18 febbraio, il ministro degli Esteri Lavrov disse: “Gli Stati Uniti dicono che invaderemo l’Ucraina? Fake news che fanno sorridere. Chiunque sia interessato alla politica estera ha capito che questa non è nient’altro che propaganda. Gli autori di queste storie false devono credere in quello che dicono, e va bene così se loro sono contenti”. La galassia filogrillina si mosse immediatamente in suo sostegno. In un editoriale, Marco Travaglio scrisse: “Tg e talk rilanciano l’ennesima fake news americana sull’invasione russa dell’Ucraina (ancora rinviata causa bel tempo)”. Faceva anche ironia. Eppure, in tanti attendevano il parere del “vate”, di colui che sentenzia su tutto e non si sa in quale veste – un giorno ex deputato del Movimento Cinque Stelle, poi falegname a Viterbo, scrittore giramondo, barricadero, youtuber, libero cittadino perennemente in tv e su tutti i media: Alessandro Di Battista.
Il suo commento non si fece attendere. Il 22 febbraio scrisse in maniera perentoria: “La Russia non sta invadendo l’Ucraina”; e aggiunse anche due frasi a corollario del suo verdetto: “Credo che Putin (e non solo) tutto voglia fuorché una guerra” e “Controllare un territorio vasto e in gran parte ostile ai russi è un’operazione impossibile”. Meno di quarantotto ore dopo la Russia invase l’Ucraina. Invece di nascondersi per la vergogna o semplicemente chiedere scusa, Di Battista (come Travaglio) iniziò a costruire sulla sua figuraccia una narrazione più strumentale, mantenendo il filo comune sulla “colpa degli americani” (sempre quelli delle fake news sull’invasione in Ucraina, per intenderci). E se con i mesi l’Italia ha iniziato sempre più ampiamente a considerare causa della mancata pace l’Ucraina e non la Russia, la colpa è anche – e forse principalmente – di certi personaggi con un’eco mediatica enorme, ovvero con milioni di follower sui social e sempre presenti nei salotti televisivi. Di Battista è in prima fila tra questi. Prima di capire cosa ha detto in questi mesi e quali altre figure di palta ha collezionato, è però necessario comprendere i motivi delle sue posizioni da appeasement, che l’hanno spinto in Russia a fare reportage per Il Fatto Quotidiano raccontando il presunto amore del popolo russo per Putin.
“I russi hanno il morale alto e sono stretti al loro presidente”, sentenziava con una solennità da Istituto Luce. Lo stesso popolo ha poi in parte tentato di di scappare dalla Russia in seguito alla mobilitazione militare, con le compagnie aeree che bloccavano la partenza degli uomini tra i 18 e i 65 anni, i biglietti aerei disponibili sul mercato nero a 10mila euro, la Finlandia che chiudeva le frontiere e la Gerogia che pur non arrivando a chiuderle le regolamentava. Chi ha provato a protestare scendendo in piazza non se l’è passata bene: manganellate e migliaia di arresti in tutto il Paese. Però per Di Battista i russi seguono tutti il loro condottiero, quindi gli crediamo.
La passione di Di Battista per la Russia non nasce da una formazione comunista e da qualche nostalgia di un tempo ormai andato – in stile Vauro – considerando che viene da una famiglia dai valori profondamente fascisti. Lo stesso Movimento Cinque Stelle, prima di entrare in Parlamento, era una forza anti-putiniana. Quando fu uccisa Anna Politkovskaja Grillo accusò Putin di essere un assassino e sul suo blog dipinse più volte la Russia come una nazione alla deriva, con il popolo incatenato da una dittatura. Poi qualcosa cambiò. Molti si stupirono quando, nel 2016, Di Battista andò con Manlio Di Stefano a Mosca per incontrare esponenti politici di Russia Unita, il partito di Putin. Incontrarono anche Sergei Zheleznyak, all’epoca vicepresidente della Duma, lo stesso politico che firmò con Salvini un accordo (tuttora valido) tra Lega e Russia Unita. Zheleznyak dichiarò di essere pronto a siglare un accordo anche con il M5S, ma ancora oggi nessuno sa se alla fine sia stato firmato. Qualche mese fa, ospite a DiMartedì, Debora Serracchiani ha fatto una domanda esplicita a Di Battista: “Perché quando è andato al congresso di Russia Unita poi è tornato qui per depositare una proposta di legge per chiedere all’Italia di uscire dalla Nato?”. Di Battista, in evidente difficoltà, ha farfugliato qualcosa senza rispondere direttamente alla domanda.
Eppure, l’intera strategia di Di Battista e del M5S mutò. Dibba iniziò la sua battaglia per eliminare le sanzioni alla Russia e portò Grillo all’ambasciata russa a Roma. All’epoca c’era il referendum “di Renzi” alle porte e i grillini si interrogarono su come evitare la vittoria del “Sì”. Nel libro Supernova. Come è stato ucciso il Movimento Cinque Stelle, scritto da Nicola Biondo e Marco Canestrari, ex collaboratori di Gianroberto Casaleggio, viene rivelata una frase pronunciata da Di Battista negli uffici del gruppo parlamentare del M5S: “Che ne dite di farci dare una mano per la campagna sul referendum costituzionale dall’ambasciatore russo? Con tutto quello che stiamo facendo per loro…”. Poche settimane dopo quella frase, e prima che il libro venisse pubblicato, uscì un’inchiesta di BuzzFeed nella quale il M5S venne accusato di fare propaganda per il Cremlino e di avere contatti con la galassia di Putin. Dopo gli incontri di Di Battista a Mosca e all’ambasciata russa a Roma, infatti, sul blog di Grillo apparvero articoli di Sputnik Italia e Russia Today, che all’epoca fecero una feroce campagna contro il referendum costituzionale. Nel 2018, quando il M5S arrivò al governo, Casaleggio Jr. li fece sparire dal web.
Nel 2017, infatti, ci furono degli strani movimenti. Durante la campagna elettorale per le elezioni del 2018, un senatore statunitense sganciò la bomba: “Secondo le informazioni della nostra intelligence, Putin sta lavorando per favorire un governo Lega-M5S”. All’epoca quel senatore, pur essendo già stato vicepresidente qualche anno prima, non era un nome così conosciuto dalle nostre parti. Oggi sì: Joe Biden. In Italia non venne preso sul serio, d’altronde lo stesso Di Battista giurava che il M5S non si sarebbe mai alleato con la Lega. Eppure, proprio in quel periodo, un deputato di Russia Unita mandò una mail al responsabile del Dipartimento di Politica estera del Cremlino. La mail finì nelle mani del Dossier Center, organizzazione finanziata dal dissidente russo in esilio Mikhail Khodorkovskij, che decise di indagare sulla sua veridicità collaborando con la Bbc, Der Spiegel, Zdf e La Repubblica. Il contenuto della mail, stando all’inchiesta collettiva, era un piano per “costruire una ‘rete informale’” con sei partiti europei: Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia, tre partiti di estrema destra in Germania (Alternative für Deutschland, Nationaldemokratische Partei Deutschlandse e Pegida) e due partiti italiani, ovvero Lega e Movimento Cinque Stelle. A Bruxelles il M5S e la Lega cominciarono a votare compatti contro le indagini sull’avvelenamento di Navalny e, ancora una volta, contro le sanzioni alla Russia. Di Battista continuava a ripetere che il M5S non si sarebbe mai alleato con nessun partito, tantomeno con la Lega. In effetti sembravano realtà molto diverse quelle guidate da Salvini e da Di Maio. Eppure, quando scoppiò lo scandalo dei troll russi su Internet, la propaganda era a favore di Lega e M5S. Gli analisti politici sottovalutarono il fenomeno, proprio perché consideravano i due partiti agli antipodi. Poi, in seguito alle elezioni del 2018, il cerchio si chiuse e M5S e Lega si allearono formando insieme il governo.
Di Battista non si ricandidò in Parlamento, ma dall’esterno lodò il nuovo esecutivo, persino la nomina di Marcello Foa – in quota Salvini – come presidente della RAI, nonostante le sue vecchie battaglie contro l’ingerenza dei partiti nel servizio pubblico. Cambiò anche il lessico. Diede del radical chic a Saviano, chiuse gli occhi davanti alle leggi di Salvini contro l’immigrazione e accettò di buon grado la nuova natura gialloverde. Non fece altrettanto quando poi il M5S si alleò con il PD e, soprattutto, quando entrò nel governo Draghi, scelta che portò Di Battista all’uscita dal Movimento. Eppure, continuò a spendere parole di miele per Putin, come quando dichiarò, nel 2019: “Per la pace nel mondo meno male che c’è Putin”. Ecco, dopo questo ripasso di storia contemporanea dovrebbero essere più chiare le prese di posizione di Di Battista sulla guerra in Ucraina.
Avendo un canale su Youtube, Di Battista in questi mesi ha realizzato diverse videointerviste. Tra queste, ha avuto come ospiti Toni Capuozzo – colui che diffuse fake news sulla strage di Bucha – e l’immancabile Alessandro Orsini – poco dopo l’invasione russa assunto da Il Fatto Quotidiano e protagonista della propaganda anti-Nato. Il martellamento di Di Battista contro Zelensky e l’Occidente non si è placato nemmeno di fronte al suo acerrimo nemico: Silvio Berlusconi. Quando sono stati diffusi gli audio farneticanti del Cavaliere, nei quali parlava delle sue dolcezze con Putin e dava eco a fake news sull’Ucraina, Di Battista è riuscito nell’impresa di mettersi dalla sua parte, giustificando il sostegno alle parole di Berlusconi con l’arrampicata sugli specchi del “con l’età escono fuori le verità anche da un bugiardo”.
Il pensiero di Di Battista sulla guerra si può riassumere con la sua adesione a un appello firmato anche da altre diverse figure di spicco, tra cui Massimo Cacciari, Pietrangelo Buttafuoco e Marcello Veneziani, dal titolo Un negoziato credibile per fermare la guerra. Di Battista e Il Fatto Quotidiano si sono prodigati a diffonderlo su tutti i loro canali. Come ci si poteva aspettare, però, non è altro che l’ennesimo appello per la resa dell’Ucraina. Nel testo viene chiesta la neutralità dell’Ucraina e il non ingresso nella Nato. D’altronde, ultimamente sembra essere stato smarrito il concetto di autodeterminazione dei popoli. Il secondo punto è il più esilarante, in quanto si parla di lasciare la Crimea a Putin, perché è “tradizionalmente russa e illegalmente donata da Kruscev alla Repubblica Sovietica Ucraina”. In pratica Putin nel 2014 entra con i suoi carri armati in Crimea, territorio ucraino, realizza un referendum farsa (per intenderci, come quelli recenti nelle quattro regioni del Donbass, con i cittadini prelevati dalle proprie abitazioni con il mitra puntato addosso), la comunità internazionale giustamente definisce illegittimo quel referendum, però Di Battista e compagni chiedono di lasciare la Crimea a Putin perché un tempo era russa. A questo punto allora anche noi possiamo offrire il Trentino all’Austria e la Sicilia alla Spagna, o magari ambire a ripristinare l’Impero romano.
Il resto dell’appello sembra direttamente scritto da Lavrov e Medvedev: autonomia nel Donbass (che tradotto vuol dire “l’Ucraina rinunci ai suoi territori”) e ritiro delle truppe russe dall’Ucraina con il simultaneo ritiro delle sanzioni. Argomento, quello delle sanzioni, che Di Battista usa da mesi per far credere che non stiano colpendo la Russia, informazione falsa largamente contraddetta da diversi economisti e dagli stessi dati dell’economia russa. Per Di Battista, inoltre, le sanzioni sarebbero state un boomerang contro l’Europa, a causa del rincaro delle bollette. Peccato che l’innalzamento dei prezzi sia partito mesi prima dell’invasione in Ucraina, e che quindi abbia poco a che vedere con le sanzioni a Putin. Inoltre i rincari del gas sono stati del +5% a ottobre, rispetto alle precedenti previsioni del +70%. La verità è che Di Battista porta avanti la propaganda subdola della mobilitazione contro il popolo invaso e l’invito implicito a inchinarsi all’invasore. Da “Yankee go home” ai tempi del Vietnam si è passati a “Kiev arrenditi”. Si chiama declino della civiltà e Alessandro Di Battista sembra fare di tutto per seguirlo.