Nel dubbio tra essere o avere perseguiamo il secondo, vivendo una vita infelice - THE VISION

La prima domanda che il digital creator Eddy Beef pone ai suoi intervistati, quando li incontra per strada, è “Cosa fai nella vita per permetterti tutto questo?”. Questa macchina, questo appartamento costosissimo, questa vita lussuosa. Le persone a volte lo respingono, altre soddisfano la curiosità sua e dell’altissimo numero di spettatori che osservano la scena dietro lo schermo del proprio cellulare. Ciò che i suoi più di 650mila giovani followers su TikTok (dove conta oltre 26 milioni di “mi piace”) desiderano scoprire è cosa ci sia dietro il successo economico di una persona che può permettersi certi agi, come una barca di proprietà, una Lamborghini o una casa da cinquemila euro al mese di affitto. “È una cosa un po’ motivazionale, tipo provateci, credeteci”, aveva affermato in un’intervista sottolineando quello che secondo lui è una delle ragioni del successo di questi video. E se sulla sua capacità di stimolare un desiderio negli spettatori non ci sono dubbi, qualche domanda persiste sulla scala valoriale attraverso cui dovrebbe essere misurato il successo individuale in questo genere di contenuti.

L’esempio di Eddy Beef, infatti, permette di cogliere concretamente una delle dinamiche più critiche del nostro tempo: la progressiva trasformazione della percezione individuale all’interno della società. Oggi siamo ciò che abbiamo e misuriamo il nostro successo in base a ciò. Non sappiamo nemmeno chi siano gli intervistati di Eddy Beef, ma ci viene naturale considerarli uomini e donne che ce l’hanno fatta, dato che possono permettersi di vivere nel lusso. Basta una banale ricerca su YouTube per rendersi conto del proliferare di creator che promuovono segreti e apparentemente facili sistemi per arricchirsi, siano il trading online o l’iscrizione a servizi specifici come quelli legati al dropshipping, ovvero un modello di business che consente di vendere prodotti online che non si possiedono direttamente. 

 Una rapida occhiata ai numeri delle visualizzazioni permette immediatamente di rendersi conto del loro seguito. Tutto questo non è altro che il riflesso della società odierna, esito di un dominio totale del modello capitalista, che individua ossessivamente il denaro come unica misura di successo personale. Di conseguenza, come avvenuto per le precedenti, anche la mentalità delle nuove generazioni è strutturata in questo modo, e spinge i ragazzi ad ambire a una crescita sociale che non può essere tale se non si è in grado di arricchirsi. 

Nel 2019 la Lego aveva pubblicato i risultati di una ricerca, durante la quale era stato domandato a un campione di più di 3mila bambini britannici, statunitensi e cinesi, tra gli otto e i dodici anni, quali sogni avessero in serbo per il proprio futuro: quasi un terzo dei bambini inglesi e statunitensi aveva espresso il desiderio di diventare uno youtuber o un vlogger, superando nettamente le aspirazioni rispetto allo sport e alla musica. Qualsiasi insegnante italiano che abbia fatto la stessa domanda in una delle sue classi, potrebbe comunque confermare facilmente lo stesso dato. Se però avere un’ambizione collegata a una passione portava a valorizzare le proprie attitudini, il desiderio di diventare influencer di solito, per quanto riguarda la mia esperienza, sembra connesso esclusivamente a quello di raggiungere un’identità socialmente riconosciuta – tratto comunque distintivo dell’età adolescenziale. Ma se il sogno è solo quello di ottenere numeri importanti su YouTube o su TikTok, si delinea una realtà che indirizza i ragazzi non verso l’autorealizzazione, ma verso l’adeguarsi alle richieste sociali per ottenere seguito. Questa concezione distorta del concetto di successo personale ha origine nel nostro contesto economico, strettamente basato sulla realizzazione individuale a discapito di quella collettiva.

La società in cui sono cresciute e stanno crescendo le nuove generazioni è completamente svuotata di valori comunitari, in favore di un individualismo sfrenato, in cui aleggia l’ossessione di accrescere la propria ricchezza al semplice fine di una realizzazione personale. È facile ritrovare questo modello anche nella sfera culturale di riferimento degli adolescenti; per esempio scorrendo le parole di alcune delle canzoni italiane di maggior successo in questa fascia d’età. Non a caso rap e trap nascono in un Paese, gli Stati Uniti, con un contesto sociale con fortissime disuguaglianze e un modello economico improntato sul successo individuale. Negli ultimi vent’anni infatti, il rap prima e la trap poi, sono passati da essere generi musicali di nicchia a genere di massa, anche perché riflettono una serie di valori in cui l’adolescente medio di oggi, indipendentemente dalla sua provenienza sociale, si identifica.

Realizzarsi individualmente corrisponde al raggiungimento di una condizione economica che permette l’ostentazione della propria ricchezza. I trapper si raccontano su una supercar, circondati da belle donne, nella condizione di potersi ormai permettere qualsiasi cosa, anche lo spreco stesso del denaro, come se l’esigenza fosse quella di spostare sempre più in alto l’asticella. Certe canzoni scatenano ondate di indignazione nelle vecchie generazioni, che tuttavia dovrebbero invece farsi un’auto-analisi. Se gli adolescenti si riconoscono nei testi delle canzoni trap, infatti, è perché estremizzano il modello sociale che è già stato consegnato loro dalla classe dirigente.

“Se tuo figlio spaccia è colpa di Sfera Ebbasta / Non di tutto quello che gli manca”, aveva sentenziato in modo piuttosto piccato lo stesso rapper di Cinisello, sottolineando all’interno della canzone “Mademoiselle” che l’origine del disagio giovanile non sta certo nel fatto che gli adolescenti si riconoscono in certi testi. Piuttosto, dice, bisognerebbe chiedersi perché vi si riconoscano, e la risposta è proprio nella qualità dei valori trasmessi ai ragazzi, che hanno letteralmente cancellato la dimensione collettiva in favore di quella individuale. Siamo infatti immersi in una realtà in cui esiste una chiara percezione delle diseguaglianze economiche e sociali presenti nel mondo in cui viviamo: la paura di soccombere ritrovandosi a far parte della componente più fragile si traduce nel tentativo di stabilirsi nelle fasce più privilegiate, a costo di prevaricare le opportunità degli altri. Per forza di cose, gli adolescenti oggi attingono da questi valori, che in certi casi sono direttamente indotti dai genitori, che riversano le proprie aspirazioni e desideri su di essi, sperando in un costante progresso economico e sociale dei figli, anche se ormai è stata ampiamente smentita questa possibilità.

Quello di consegnare a un’intera generazione di ragazzi una società completamente svuotata di valori collettivi ed esclusivamente focalizzata sul successo economico individuale non è più un rischio, ma un dato concreto. Il problema, però, è che questa è la strada maestra per crescere una generazione di infelici. Le ragioni sono molteplici: innanzitutto, l’ossessiva autorealizzazione economica non è figlia di quel desiderio interiore che spinge i ragazzi a sognare il proprio futuro, ma rischia di trasformarsi sempre di più in una necessità indotta dalla società secondo i modelli che essa propone. Da un lato si stigmatizza la “normalità” come qualcosa da evitare a ogni costo, dall’altro ci si sente in dovere di trasformare qualsiasi azione, passione o talento in qualcosa da monetizzare e con cui performare. In questo contesto, anche la scuola corre il rischio di trasformarsi in una fucina continua di misurazioni, in cui ci si ostina a parlare di merito inteso come capacità di ottenere dei risultati oggettivi, quando questo non tiene minimamente conto di fattori come il benessere individuale e la capacità di intessere relazioni positive e costruttive. Ovvero tutto ciò che ci fa star bene e che passa in secondo piano di fronte a questa smania di misurazione.

​​Di questo passo si susseguiranno generazioni di eterni insoddisfatti. Per far fronte a questa situazione serve lavorare su una svolta consapevole della nostra percezione culturale. Nessuno nega l’importanza della dimensione economica in una realtà come la nostra, ma bisogna fare in modo che questa non sia l’unico orizzonte nelle speranze e nei sogni dei ragazzi. I quali hanno bisogno di riscoprire innanzitutto l’importanza di stare bene con sé stessi, realizzando le proprie  ambizioni in quanto riflesso di un desiderio personale e non di un’ossessione sociale. Le recenti crisi ambientali, politiche e sanitarie ci mostrano la necessità di una decrescita, che imponga in primo luogo l’urgenza di ridurre le diseguaglianze sociali. Allo stesso tempo, un cambiamento così radicale della nostra scala di valori imporrà tempi lunghi e un investimento in settori che non hanno un’immediata ricaduta sul PIL, ma sul benessere della persona. Come l’istruzione, la sanità pubblica e, in generale, la lotta contro il disagio giovanile attraverso la promozione di maggiori opportunità e la crescente attenzione verso le fasce più giovani della popolazione. Forse, limando il superfluo in favore dell’essenziale e recuperando la centralità di una dimensione non soltanto economica della persona, è possibile ricostruire una società meno individualista e più consapevole. Anche per non condannare noi e gli altri a un’eterna infelicità.

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