Quelle di Putin non sembrano manifestazioni di un delirio di onnipotenza. Lo sono. - THE VISION

Quando Vladimir Putin ha attaccato l’Ucraina, lo scorso febbraio, e ancor più nelle settimane successive, quando si è visto che non aveva intenzione di ritirarsi nemmeno davanti alla resistenza locale, e poi quando ha iniziato a minacciare con l’atomica, in molti hanno cominciato a parlare di pazzia o di una qualche misteriosa malattia – forse un tumore al cervello – che avesse gravemente danneggiato le funzionalità cerebrali del presidente russo. In realtà, quello a cui abbiamo assistito è il coronamento di anni di politica aggressiva e imperialista – in stile autoritario, anche se non sideralmente lontana da quanto fanno altre potenze mondiali – mossa da interessi geopolitici, economici e ritorni politici interni, conditi da qualche valutazione sbagliata; oltre a questo, però, non si può ignorare il ruolo giocato da un fenomeno psicologico che è effetto stesso del potere. Di fatto, quelle di Putin non si limitano ad apparire come manifestazioni di un delirio di onnipotenza che ha perso il contatto con la realtà, in effetti lo sono, e la scienza sembra confermarlo.

Ucraina, 2022

Nella mente di chi detiene il potere, infatti, succede qualcosa che lo estrania completamente dal resto della società. Lo sottolinea lo storico nederlandese Rutger Bregman, autore del libro Una nuova storia (non cinica) dell’umanità, in cui sostiene che questo fenomeno è caratteristico dei potenti, che si staccano così dalla norma rappresentata dal comportamento della maggioranza, che è essenzialmente pacifica e altruista. Bregman evidenzia come Niccolò Machiavelli basi Il principe e la sua famosa trattazione del potere su un’interpretazione del tutto sbagliata dell’essere umano, come fa anche Thomas Hobbes nel Leviatano: entrambi, infatti, partono dal presupposto che l’essere umano sia essenzialmente malvagio e che vada, quindi, gestito, manipolato e contenuto con la forza da chi è in posizione di comando. Per Bregman, invece, questa concezione sarebbe errata, dato che la vera forza della società umana è la cooperazione, resa possibile da una sorta di superpotere dell’essere umano: l’empatia. Nonostante ciò, queste opere hanno plasmato il modo stesso in cui oggi pensiamo al potere, cioè come qualcosa che riguarda spietatezza, violenza strategica e persino inganno e frode, secondo un’interpretazione che confonde il potere con il dominio, considerandolo come una strategia per costringere e manipolare le persone. Le basi teoriche con cui sono cresciute generazioni di politici e militari, che hanno provocato – e continuano a provocare – un’infinita serie di storture e atrocità, non sono poi lontane da quelle, e sono in grado di influenzare la vita della specie umana, la cui caratteristica fondamentale – come mostra sempre Bregman, citando diversi studi – in realtà sarebbe la compassione. La modalità di vita associata propria dell’essere umano, infatti, per certi aspetti, come hanno fatto notare vari ricercatori,  tra cui Bregman, non sarebbe nata dalla legge del più forte, ma del più socievole; e il nostro parente più prossimo non è l’aggressivo gorilla, ma l’amichevole e pacifico bonobo, presso i cui gruppi si osservano fenomeni in cui la maggior parte degli elementi si coalizzano contro gli individui accentratori o eccessivamente arroganti.

Ucraina, 2022

Se molti politici illiberali, ancora oggi, continuano a scatenare guerre, esercitare un controllo autoritario sulla popolazione, reprimendo diritti e proteste, secondo questo filone di ricerca sarebbe anche perché, assieme a una cultura del potere fondata su modelli fuorvianti, interviene anche un meccanismo psicologico che si potrebbe sintetizzare con il famoso detto per il quale il potere logora chi ce l’ha, o – più precisamente – logora le sue capacità cognitive. Sotto i disperati tentativi di mantenere il potere con la forza, ovviamente, ci sono interessi economici e politici, ma c’entra anche la mente. A tutti i livelli, non solo ai vertici del potere istituzionale: le stesse dinamiche, infatti, sembrerebbero influenzare il comportamento di un superiore arrogante con gli impiegati, come pure gli automobilisti con l’auto più grossa e costosa, oppure chi non si preoccupa di fare rumore mentre sorseggia il caffè.

Vladimir Putin

Come sottolinea Dacher Keltner, psicologo, ricercatore e docente di psicologia all’Università di Berkeley, la malvagità non è insita nel potere, che non si può limitare alla definizione di “forza”, mentre è semplicemente la capacità di influenzare le persone, tanto che per il filosofo Bertrand Russell era un mezzo fondamentale della vita sociale. Il problema è che una volta ottenuto spesso se ne  abusa. Non solo l’aneddotica, ma anche la letteratura scientifica dimostra infatti che il potere affievolisce le inibizioni, rendendo chi ce l’ha più libero di esprimere le proprie tendenze – cosa che può essere un bene in alcuni casi, un disastro colossale in altri – senza preoccuparsi di vincoli sociali, opinione pubblica e conseguenze. Questo diventa via via sempre più preoccupante: in generale, infatti, le persone tendono a diventare più egocentriche e desiderose di arricchirsi una volta al comando, sempre meno attente agli altri e più impulsive. Questo fenomeno è osservabile anche nella vita quotidiana: chi si trova su un gradino sociale più alto o si percepisce come tale, tende più facilmente a mentire e a legittimare da parte propria la violazione delle regole che gli altri devono seguire (perché il fine giustifica i mezzi, no?); chi ha l’auto più grossa, per esempio, tende persino a guidare in modo più aggressivo, perché il veicolo rappresenta la ricchezza e quindi una posizione dominante sugli altri automobilisti. 

Bertrand Russell

L’effetto del potere sulle persone che lo detengono è analogo a quello di una lesione cerebrale traumatica: rende più impulsivi, meno prudenti e meno empatici. Anche gli esperimenti di Sukhvinder Obhi, neuroscienziato della McMaster University, in Canada, confermano lo stesso quadro. Dalla stimolazione magnetica transcranica effettuata su un campione misto di persone con e senza un qualche potere emerge un’alterazione del processo neurale del mirroring, effetto dell’empatia; una sorta di spontanea imitazione degli altri, per esempio quando ridono o quando si sentono a disagio, legata all’attivazione della stessa area del cervello in chi compie l’azione e in chi la guarda. Alcuni test hanno così dimostrato che le persone che detengono una qualche forma di potere fanno più fatica a percepire e interpretare il pensiero degli altri. 

Questo meccanismo è controproducente, perché non porta a società più sane, economicamente benestanti e giuste, ma il contrario, motivo per cui alla lunga provoca malcontento e sollevazioni popolari. In democrazia, non a caso, il ruolo del potente di turno è bilanciato da collaboratori e avversari politici, e l’opinione pubblica può esprimersi attraverso comportamenti sociali che possono a loro volta influenzare il potere, dalla satira alle proteste di piazza. Questo fenomeno riguarda anche dimensioni sociali più ridotte: secondo l’antropologo Christopher Boehm, per esempio, le società di cacciatori-raccoglitori usavano e usano tuttora l’ironia, i commenti e i pettegolezzi per vigilare su chi esercita il potere e poi, eventualmente, isolarlo o allontanarlo se viola in modo grave le regole del gruppo; qualcosa di simile  – sottolinea ancora Bregman – accade a scuola nei confronti degli insegnanti troppo autoritari: l’ironia degli studenti nei loro confronti, infatti, può essere spietata.

Si tratta di modi per esorcizzare e riportare alla realtà il potere, che inebria e corrompe portando addirittura a credere di essere più attraenti e più intelligenti degli altri – è sufficiente evocare il nome di Donald Trump – e a poco a poco fa perdere il contatto con la realtà. Non bisogna dimenticare, infatti, che presso i primati, i bambini della scuola materna o gli studenti universitari non sono i bulli e i manipolatori ad acquisire potere, ma coloro che dimostrano empatia ed entusiasmo, aiutando gli altri e promuovendo così il bene dell’intero gruppo. Quello che spesso accade è quindi un paradosso, che Keltner chiama proprio “paradosso del potere”: le seduzioni del comando, cioè, inducono a perdere quelle stesse caratteristiche, come l’altruismo e l’allegria, che hanno permesso di acquisirlo.

Donald Trump

Il paradosso del potere, dopotutto, non dovrebbe sorprenderci, eppure spesso non prendiamo davvero in considerazione le sue implicazioni: considerando che tutti possono esserne in qualche misura corrotti, bisognerebbe stare sempre molto attenti a chi detiene qualsiasi tipo di potere. Ecco perché è indispensabile nutrire una democrazia sana, mentre i problemi maggiori riguardano inevitabilmente quelle che sono democrazie di facciata o veri e propri regimi, dove la possibile follia – o più spesso l’abuso di potere – di chi è al comando – in questi casi un gruppo molto ristretto di persone o persino una sola persona – non è tenuta sotto controllo. È facile immaginare, quindi, cosa può accadere quando il potere non è distribuito democraticamente ma accentrato nelle mani di una una sola persona che, dopo diversi mandati al governo, tra collaboratori accondiscendenti e sottomessi e un’opinione pubblica silenziata con censura e arresti, in quella che di fatto appare apertamente come una dittatura, perde il contatto con la realtà. Lo stiamo vedendo in Russia e a pagare in questo caso sono innanzitutto i cittadini ucraini, ma anche gli stessi russi, con conseguenze che ricadono su tutti.

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