L’Italia non era un Paese che favoriva i giovani già prima della pandemia. A partire dalla crisi finanziaria del 2008 la classe politica ha preferito adottare misure di corto respiro con l’obiettivo di fidelizzare gli elettori che a livello demografico hanno più peso: i baby boomer ed i pensionati. La generazione degli under 35 sta così ereditando un debito pubblico in continuo aumento e una crescita economica debole e con tassi non solo lontani da economie emergenti come quella cinese o di altri Paesi asiatici, ma anche di diversi partner dell’Eurozona. La crisi sanitaria dovuta al Covid-19 ha aggravato questa situazione, che ha colpito con ancora più forza fasce già deboli come donne e giovani. I dati sulla natalità sono uno degli indicatori più allarmanti sulla stagnazione sociale ed economica di questo momento in Italia.
La riduzione delle nascite è un trend discendente che in Italia prosegue ormai da decenni. Nel 2019 sono nati circa 420mila bambini con una riduzione di 160mila nascite l’anno rispetto al periodo precedente alla crisi finanziaria del 2008. I primi dati raccolti dall’Istat sui nati tra gennaio e agosto, e quindi concepiti prima della pandemia, fotografano un calo del 2,3% rispetto allo stesso periodo del 2019. Ma sono i dati provvisori sulle nascite di novembre e dicembre del 2020 a preoccupare gli esperti. Nelle principali città italiane, infatti, si è registrato un calo dell’8,21% a novembre e del 21,6% a dicembre. Visto l’evidente legame tra questo calo e la pandemia, l’Istat stima che il trend proseguirà per accentuarsi nel corso del 2021, portando le nascite molto al di sotto della soglia di 400mila bambini l’anno.
Purtroppo non si tratta di un problema soltanto italiano. A gennaio 2021 la Francia ha registrato un calo delle nascite del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con i livelli più bassi dalla fine della Seconda guerra mondiale. Allo stesso modo, in Spagna è stata registrata una riduzione del 20% dei bambini nati nei mesi di dicembre e gennaio. In particolare a dicembre sono nati appena 23.266 bambini, numeri che non si vedevano dal 1941. Chi nasce oggi in Europa, in prospettiva, si troverà una volta adulto a gestire un debito pubblico molto più alto di quello gestito all’epoca dei genitori, aggravato da un aumento nell’ordine di milioni di individui della popolazione anziana da curare e assistere. L’Italia è uno dei Paesi europei dove questa realtà sarà più pesante per la tenuta dei conti pubblici.
Secondo gli ultimi dati pubblicati da Bankitalia, il debito pubblico italiano è esploso e ha superato quota 2.600 miliardi di euro lo scorso gennaio, stabilendo così un nuovo record. Allo stesso tempo, il ministero dell’Economia ha reso noto che le entrate fiscali e contributive dello Stato si sono contratte per 46 miliardi nel 2020. Inoltre, la crisi è in pieno svolgimento e il governo è costretto a chiedere continui scostamenti di bilancio al Parlamento che, tradotto in termini concreti, significa ulteriore debito pubblico. In questo contesto di crescente incertezza i timori e le paure connesse alla possibilità di avere dei bambini sono quasi fisiologici. Uno studio congiunto realizzato lo scorso maggio con la partecipazione di diversi atenei italiani ha rilevato come il 37% delle persone che aveva intenzione di concepire un figlio ha cambiato idea a causa della pandemia, a fronte di un 11,5% che ha deciso di metter su famiglia grazie a una maggiore disponibilità di tempo libero, per il desiderio di un cambiamento e per la voglia di guardare al futuro con ottimismo.
Invertire queste percentuali dipende anche dalle scelte economiche che saranno adottate a livello comunitario e internazionale. Al momento l’Unione europea ha deciso di sospendere anche per il 2022 l’applicazione delle regole previste dal patto di stabilità. Secondo quanto dichiarato dai commissari economici Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni le norme comunitarie dovrebbero tornare ad essere applicate nel corso del 2023, anche se le politiche di austerity non sembrano una soluzione adatta ad affrontare l’onda lunga che il Covid lascerà una volta debellato. La politica monetaria ed economica dell’Unione europea deve essere riformata per evitare di lasciare ai cittadini comunitari del futuro prossimo il capestro dei debiti accumulati dalla generazioni precedenti. Il limite del 3% al rapporto tra deficit e prodotto interno lordo non è più attuale e dovrebbe essere abbandonato in favore di parametri flessibili che mettano al centro la qualità del debito di uno Stato membro in una prospettiva di crescita solida e sostenibile.
Bruxelles deve incentivare una buona spesa pubblica rivolta ai giovani e alle loro prospettive di vita per dare loro certezze su cui costruire un futuro e una famiglia. Questa è l’unica via per evitare che i pochi giovani del futuro siano costretti a sacrificare aspirazioni e diritti dati per scontati dai loro genitori per ripagare i loro debiti. Il Next Generation Eu rappresenta sicuramente un’occasione importante da non sprecare. Accanto alla transizione ecologica è fondamentale inserire delle misure per garantire la possibilità per chi lo desidera di costruirsi una famiglia. Invertire l’attuale trend demografico deve essere considerata una priorità per ricostruire le nostre comunità, attraverso una nuova cultura del lavoro che sostituisca l’attuale precarietà con un nuovo sistema di relazioni che metta al centro i lavoratori e le loro aspirazioni di vita e carriera. Le strutture e i servizi educativi per la prima infanzia devono essere accessibili a tutti, così come la scuola, l’università e la ricerca hanno bisogno di investimenti in grado di valorizzare i migliori talenti presenti in Italia.
Invertire un declino che dura da decenni non è un’impresa semplice, ma arrendersi di fronte a questa sfida non è un lusso che siamo in grado di permetterci. Per questo serve un cambio di mentalità che investa il modo in cui percepiamo il nostro sistema economico, sociale e anche la concezione della nostra identità nazionale. Per esempio, i flussi migratori rappresentano un’opportunità in questa ottica e non un rischio. I numeri dimostrano che a partire dagli anni Duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso in Italia di persone giovani, ha parzialmente contenuto gli effetti del calo demografico nel nostro Paese. Nel 2019 sono nati 92.360 bambini con almeno un genitore straniero, mentre i bambini nati in Italia da due genitori stranieri sono 62.918. Questi bambini rappresentano insieme il 37% delle nascite nel nostro Paese e se integrati nel nostro sistema sociale come pari, senza discriminazioni legali e ipocriti giochi politici, sono una ricchezza che non possiamo allontanare.
La generazione degli attuali under 35 ha già visto cosa significa vivere con prospettive sociali ed economiche peggiori di quelle dei propri genitori, ma il calo demografico e la crescita del debito pubblico rischiano di aggravare ancora in futuro quanto sta già accadendo.
Nel 1973 Giorgio Gaber ha cantato insieme a noi che libertà vuol dire innanzitutto partecipazione. Non possiamo chiedere ai ragazzi di domani di vivere in un mondo con più disuguaglianze di quelle già presenti oggi, che tutela solo una limitata parte della popolazione. La prossima generazione rischia di essere la prima a non godere appieno delle libertà sancite dalla nostra Costituzione, schiacciata dal peso di debiti su cui non ha avuto nessuna voce in capitolo nel momento in cui sono stati accumulati. Invertire la rotta non è facile né una questione di pochi anni, ma è l’unica possibilità che abbiamo per non abbandonare i nostri figli a un destino che non hanno scelto.