Perché il Ddl Pillon sulla famiglia cancella le lotte delle donne degli ultimi 50 anni
DI Jennifer Guerra 2 Ottobre 2018
Il 10 settembre scorso alla commissione Giustizia del Senato è arrivato il disegno di legge Pillon, contenente le “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” in caso di divorzio o separazione. Le principali novità introdotte dal Ddl sono lo stop all’assegno di mantenimento per i figli, l’introduzione della figura del mediatore familiare – uno specialista a pagamento la cui consulenza viene resa obbligatoria per almeno tre incontri al fine di trovare un accordo tra i due genitori – e la garanzia della bigenitorialità perfetta, ovvero una divisione paritetica del tempo passato con i figli e del loro mantenimento. Sin dalla sua comparsa, il Ddl Pillon ha scatenato le proteste di associazioni per i diritti delle donne e dei minori, delle famiglie e delle associazioni cattoliche. Il 29 settembre è stata indetta una manifestazione a Bologna per bloccare il Ddl, ne è prevista un’altra a Roma il 10 novembre e persino il ministro Fontana, che certo non è un campione di avanguardismo, pare aver mostrato perplessità sulla fattibilità della legge.
L’idea di una revisione del diritto di famiglia era già contenuta nel contratto di governo gialloverde, dove si diceva che “L’interesse materiale e morale del figlio minorenne non può essere perseguito se non si realizza un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali, nel rapporto con la prole.” Il contratto si riferisce, in modo non troppo velato, alla questione dei padri separati, che in alcuni casi sono costretti in situazioni di indigenza per l’impossibilità di pagare gli assegni di mantenimento. Questo, com’è logico, avviene perché nella maggior parte delle famiglie è il marito a provvedere economicamente ai figli, perché molte donne spesso sono obbligate a rinunciare al posto di lavoro in mancanza di alternative, oppure perché, pur lavorando, non riescono a produrre un reddito paragonabile a quello del partner. Con l’entrata in vigore della Legge 54/2006 entrambi i genitori mantengono la responsabilità genitoriale e devono provvedere al sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al reddito. Se, al momento, il contributo per i figli minori va sempre corrisposto dal genitore più abbiente e si basa sulla perpetrazione dello stile di vita precedente alla separazione o al divorzio, il mantenimento del coniuge viene invece corrisposto nel caso in cui uno dei due sia privo di adeguati redditi propri, cioè non riesca a sopravvivere con i propri soldi. Un’ordinanza della Corte d’Appello di Roma del 5 dicembre 2017 ha però avviato la discussione sulla possibilità di abbandonare il criterio del tenore di vita tenuto dall’ex coniuge durante il matrimonio per il calcolo dell’assegno di divorzio e recentemente le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione si sono pronunciate in favore di una misurazione in forma “compensativa e perequativa”, ovvero calcolata su quanto il coniuge meno abbiente possa contribuire alla “formazione del patrimonio comune e personale”, ovvero in base alla sua età e alla possibilità di lavorare.
Quello dei padri separati costretti a vivere nelle automobili per comprare borse di lusso ad avide ex mogli che li avrebbero fregati è uno dei cavalli di battaglia della Lega. Già in tempi insospettabili, Matteo Salvini (anche lui padre separato) si occupava del tema, lamentando di un dramma sociale diffusissimo e promettendo di risolverlo. Addirittura, secondo i leghisti, i soldi riservati ai padri separati verrebbero rubati dagli immigrati. Ora, grazie al Ddl Pillon, molti di questi “padri bancomat”, così come li ha spesso ribattezzati la stampa italiana, sentono di aver finalmente vinto la loro battaglia. A una prima lettura superficiale e stando agli accorati appelli del senatore Pillon, sembra che il Ddl sia stato scritto da una benevola figura disneyana interessata al bene di tutti i bambini, e non dalla versione incattivita e militante di Enzo Miccio. Ma la realtà è molto più complessa di così e il vero obiettivo di Pillon sembrerebbe quello di ostacolare separazioni e divorzi, per preservare il legame indissolubile della famiglia tradizionale, che secondo il senatore bresciano sarebbe ormai minacciata dal divorzio, dal gender e persino dalle streghe. Ma c’è dell’altro.
Una delle principali rimostranze nei confronti del Ddl infatti è che, se non verrà modificato, renderà molto difficile la separazione per le coppie in situazioni economiche difficili. Nonostante il 26 settembre, di fronte alla commissione Giustizia del Senato, Pillon abbia parlato dell’istituzione “di un servizio di mediazione familiare ad accesso libero e gratuito”, nel disegno di legge la figura del mediatore familiare è chiaramente a pagamento. Chissà che non abbia cambiato idea dopo che L’Espresso ha letto il suo curriculum e si è accorto che Pillon vanta un master proprio in Mediazione Familiare.
Una parte consistente del Ddl Pillon sembrerebbe sottintendere inoltre che i figli di coppie divorziate o separate siano vittime di una vera e propria manipolazione psichica da parte dei genitori. Quest’idea si rifà alla presunta “sindrome di alienazione parentale”, poi ribattezzata “alienazione parentale”, che anche se ha perso lo status di “sindrome” comunque resta presunta. Come ha evidenziato la giornalista Luisa Betti Dakli, nonostante due degli autori del ddl – il neuropsichiatra Giovanni Battista Camerini e il pediatra Vittorio Vezzetti – siano fermamente convinti della sua esistenza, l’alienazione parentale è considerata una teoria non scientifica e inattendibile in Spagna, negli Stati Uniti e in Italia da una sentenza della Cassazione e, soprattutto, non è presente nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.
L’inventore della sindrome da alienazione parentale, Richard Gardner, divenne famoso grazie al processo per il divorzio di Mia Farrow e Woody Allen, dove testimoniò in favore di quest’ultimo, accusato dalla ex moglie di aver abusato della figlia adottiva. Per tutto il corso della sua vita, Gardner fu duramente accusato di aver trovato un vero e proprio escamotage per proteggere i padri autori di violenza (cioè accusare la madre di manipolare il figlio), poiché era arrivato a ribadire l’importanza di non alienare il figlio dal padre che lo abusa. Non esattamente il miglior ideologo su cui basare la riforma degli affidi.
Applicando il principio dell’alienazione parentale contenuto nel Ddl, sarebbe molto semplice per un genitore maltrattante imputare all’altro di aver perpetrato false accuse di violenza nei suoi confronti e quindi di aver manipolato psichicamente il figlio con lo scopo di allontanare il figlio dal genitore maltrattato per impossessarsene. Non solo: il coniuge accusato di manipolazione psichica sarebbe anche condannato a un risarcimento danni sia nei confronti del minore, sia dell’altro genitore. Si creerebbe una situazione rischiosa, in cui la paura di vedere sottratti i propri figli potrebbe disincentivare le già esigue denunce per maltrattamenti e violenza domestica. Senza contare che lo stop all’assegno di mantenimento della prole porterebbe molte donne in condizioni di indigenza a restare col marito – magari violento – per l’impossibilità di provvedervi.
Fortunatamente sono molte le rimostranze presentate in Senato nei confronti del Ddl Pillon; questo potrebbe allungare i tempi della discussione e portare anche a una sua riscrittura. Bisogna ancora capire, però, come quel disegno si legno a Palazzo Madama ci sia arrivato. Sembrerebbe che il Ddl Pillon sia stato ideato per compiacere gli interessi di qualcuno. In Italia infatti, in punta di piedi e senza fare troppo rumore, pare si stia muovendo un blocco compatto di associazioni oltranziste sul tema dell’alienazione parentale, capitanate dall’infaticabile Pillon. Tra queste, ad esempio, l’associazione Doppia Difesa fondata dalla Ministra Buongiorno e dalla conduttrice Michelle Hunziker, che ha tentato nel 2015 di avanzare una proposta di legge per punire addirittura con il carcere il genitore accusato di alienazione parentale.
Tra le altre associazioni favorevoli al Ddl Pillon e che si occupano di alienazione parentale, Luisa Betti Dakli riconduce quelle alla cui presidenza siede uno degli autori del Ddl, Vittorio Vezzetti: Adiantum (Associazione di associazioni nazionali per la tutela del minore), Colibrì (Coordinamento libere iniziative per la bigenitorialità e le ragioni dell’infanzia) e la mia preferita, degna del titolo di una canzone dei Nomadi, Figli per sempre Onlus. Sul suo sito, Adiantum oltre a parlare di “dati farlocchi” e di “allarme artefatto” sulla violenza di genere e di coppie omosessuali che ostentano la loro genitorialità, offre incredibilmente numerose indicazioni su come diventare mediatori familiari.
Visto che i Paesi si governano su esigenze reali, comprovate dai dati, e non su quelle delle lobby di mediatori familiari che cercano di istituzionalizzare la loro professione, guardiamo ai dati reali. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, la condizione economica delle madri sole, il cui 57,6% è separata o divorziata, è critica e una madre sola su cinque non riesce a riscaldare adeguatamente la propria abitazione. Nel 2015 (ultimi dati disponibili, pubblicati nel 2016), le separazioni con figli in affido condiviso erano circa l’89% di tutte le separazioni con affido e solo il 20% delle separazioni era classificata come altamente conflittuale. Se vi sembra, questo, un caso straordinario di necessità e d’urgenza.