Da qualche mese va in onda, su Rai 3, uno dei programmi che, a mio parere, è tra i meno riusciti della storia della televisione italiana. Alla lavagna! è un format che prevede l’interazione tra personaggi famosi e bambini tra i 9 e i 12 anni. Il risultato non è altro che una serie di comizi politici, un miscuglio tra Chi ha incastrato Peter Pan? e un indottrinamento coatto in cui l’uso strumentale dei bambini fa venir voglia di lanciare il televisore dalla finestra. La stagione si è aperta con Matteo Salvini come primo ospite. Chi si aspettava una versione moderna delle lezioni del maestro Manzi – povero illuso – si è ritrovato ad assistere a una lezione sul sovranismo. La sensazione di essere in Corea del Nord si è attutita poi con le puntate successive, sostituita dalla tenerezza nei confronti di quei poveri bambini che si sono trovati davanti “maestri” come Maurizio Gasparri e Cirino Pomicino.
Tuttavia, bisogna dirlo, nell’ultima puntata si è raggiunto l’apice. Daniela Santanchè, sforzandosi di creare una parvenza di sorriso, ha cercato di trasmettere i suoi valori ai bambini presenti in aula e, rispondendo a una di loro, ha detto: “Il denaro è l’unico vero strumento di libertà. I soldi servono a essere liberi. Il mio papà ha insegnato a me e ai miei fratelli che chi paga comanda”. Queste frasi rispecchiano in pieno la vita e la carriera politica di Santanchè, e non stupiscono nemmeno più di tanto, conoscendo il personaggio. Se non le avesse pronunciate davanti a una platea di bambini, ma nel solito salotto platinato di Barbara D’Urso o in qualche farneticante trasmissione di Del Debbio, non avrebbero avuto quest’eco mediatica. D’altronde, Santanchè non si è mai distinta per i nobili ideali, e men che meno per la lucidità di capire il momento giusto per dire le cose – se mai ci fosse un momento giusto per dire cose di quel tipo. Considerando anche il fatto che Santanchè si è in passato distinta per esternazioni che sono persino in contrasto con il concetto di libertà, e da cui quei bambini pilotati da un plotone di autori cinici dovrebbero stare alla larga.
Santanchè è l’emblema di chi prende anni di battaglie femministe e inizia a picconarli senza pietà. Qualche anno fa, durante un incontro per il Festival “Il Libro possibile” ha gelato la platea con alcune dichiarazioni da Medioevo: “La cosa più bella che possa capitare a una donna innamorata è servire il proprio uomo”. Dopo questa affermazione sono piovuti fischi e ululati dal pubblico. Lei, imperterrita, ha continuato con la fiera dei pensieri retrogradi: “Le donne devono essere madri e mogli. L’unica famiglia è quella composta da uomo e donna”.
Adesso qualcuno spieghi alle bambine della trasmissione Alla lavagna! che no, l’ambizione delle donne non è “servire il proprio uomo”, e che limitarle al ruolo di madri e mogli è la negazione di quella libertà sbandierata da Santanchè. La frase “Chi paga comanda” si riallaccia alle eredità malate della società patriarcale, con la donna angelo del focolare e l’uomo lavoratore a portare i soldi a casa, in una posizione di comando. Bisognava forse aspettarselo, da chi nella sua vita si è lanciata in frasi illuminanti come: “Portare i tacchi è impegnativo, bisogna dimostrare di avere un cervello. Chi invece porta le ballerine, sa che ha qualcosa da nascondere”.
Roba da rimpiangere la lezione sul sovranismo di Salvini.
Cadere sulla tematica dei diritti delle donne e LGBTQ+ rientra negli ideali di quella destra più perbenista di cui Santanchè ha fatto parte. Tra Alleanza Nazionale, Forza Italia, La Destra-Fiamma Tricolore e Fratelli d’Italia, non si è fatta mancare nessuna casella della galassia del centrodestra. E, come molti esponenti di questa fazione politica, non ha mai rinnegato le sue origini e certe simpatie fasciste. Fiera di avere una testa di Mussolini in legno su suo comodino, ha dichiarato: “Rivendico con orgoglio di essere fascista, se fascista vuol dire cacciare a pedate nel sedere i clandestini e gli irregolari, se fascista vuol dire che la patria deve essere di chi la ama”.
Questo, per fortuna, non l’ha detto ai bambini. Non ha parlato nemmeno del suo rapporto con Berlusconi e delle opinioni flessibili. Quando lei si è candidata con Storace, nel 2008, dopo una temporanea ma turbolenta rottura con il Cavaliere, ha dichiarato: “Berlusconi non ha rispetto per le donne, lo dimostra la sua vita giorno dopo giorno. Lui ci vede solo orizzontali”. Poi, dopo aver ricucito il rapporto, se n’è uscita con un laconico: “Berlusconi crede fermamente nelle donne”.
Adesso che si è autoproclamata maître à penser della libertà, è giusto ricordare ai bambini il pensiero di Santanchè su temi come religione, accoglienza e integrazione. Di fronte a chi definisce il multiculturalismo una parola da abbattere, non stupisce la sua vicinanza a pensieri xenofobi e intolleranti. La sua personale crociata contro l’Islam rappresenta un tratto distintivo del personaggio. Non contenta di aver definito Maometto “un pedofilo”, ha dichiarato che “L’Islam è un cancro terminale dell’Occidente, bisogna estirparlo prima che le metastasi si diffondano in Italia”. Il rispetto per le altre religioni, e dunque la libertà di espressione e di culto, non ha mai toccato Santanchè. Nel 2009, in occasione della cerimonia di chiusura del Ramadan, ha organizzato un sit-in dove ha tentato di strappare con la forza il velo ad alcune donne. Per tali fatti è stata condannata a quattro giorni di arresto e 100 euro di ammenda, convertiti in 1.100 euro di multa. Quest’odio non l’ha mai saziata del tutto, come si evince dalle successive dichiarazioni: “Gli imam spesso sono delinquenti. Se non ci sottomettiamo, ci tagliano la testa”. La sua concezione di libertà è, bisogna ammetterlo, discutibile.
Ovviamente non poteva sottrarsi al livore nei confronti degli immigrati, abbracciando la nuova ondata sovranista che ha preso piede in tutto il pianeta. D’altronde per lei “il mondo ha bisogno di Trump. Questo è il momento dell’identità, dei confini, dell’esclusione, mica dell’inclusione da panico”. Conciliare libertà ed esclusione è impresa ardua anche per una donna che odia le donne, o per chi è riuscita a insultare e osannare Berlusconi nel giro di poco tempo. In prima linea quando si chiede di “affondare i barconi”, Santanchè si è allineata al pensiero del suo leader politico, Giorgia Meloni, quando ha parlato di fantomatiche “navi pirata” da distruggere. Per i bambini che ha incontrato in quell’aula un pirata è Jack Sparrow, non un disperato che vuole evitare la condanna dei lager libici.
Prima di Santanchè, era stata l’ospitata di Vladimir Luxuria al programma Alla lavagna! ad aver scatenato le polemiche, per aver raccontato ai bambini le turbolenze della sua giovinezza e il bullismo subito per la sua sessualità. Santanchè, ospite da Giletti, ha attaccato l’acerrima rivale dichiarando: “In natura chi ha la vagina è femmina, chi ha il pene è maschio. Lei ha il pene, quindi è un uomo”. Luxuria ha chiuso il discorso dicendo: “Non mi parli di natura proprio lei, che ha fatto molti più interventi chirurgici di me. Sei più trans di me, Dany”.
Gli alunni che sono stati costretti a sentire le castronerie di Santanchè, probabilmente tra una decina d’anni rivedranno la trasmissione. Magari alcuni di loro saranno gay, altri musulmani, e le donne impallidiranno di fronte a quelle parole grette, a una visione del mondo ristretta al proprio recinto fascistoide e distante anni luce da qualsiasi parvenza di libertà. Intanto noi, nel 2019, ci siamo sorbiti questo spettacolo raccapricciante. L’augurio è quei bambini possano prendere gli insegnamenti di Santanchè, analizzarli e, infine, prendere la direzione opposta. Per nobilitare il reale concetto di libertà.
Questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 5 febbraio 2019.