Il neoliberismo è in crisi. Dobbiamo ripensare tutta l’economia investendo nelle politiche sociali. - THE VISION

Un’idea è culturalmente egemone quando scava così tanto nel profondo dell’inconscio collettivo da essere data per scontata e diventare senso comune. A quel punto diventa così pregnante da costruire le categorie concettuali con le quali interpretiamo la realtà, fino a produrre comportamenti, valori e istituzioni che la proteggono. Dal punto di vista economico, e non solo, durante gli ultimi quarant’anni abbiamo assistito a questo fenomeno con il neoliberismo. Oggi, per fortuna, quest’idea è stata finalmente messa in discussione.

Il neoliberismo è una dottrina economica fondata sulla libertà del mercato. In tempi e modi diversi, economisti neoliberisti come Friedrich von Hayek e Milton Friedman, hanno sostenuto che l’economia, per funzionare al meglio, dovesse sbarazzarsi del settore pubblico e delle sue regole farraginose, limitando al massimo il ruolo dello Stato. Tutto deve essere nelle mani delle imprese, a cui viene chiesto esclusivamente di seguire la massimizzazione del proprio utile. Ne consegue un’agenda caratterizzata da privatizzazioni (anche di beni e servizi considerati essenziali come sanità e istruzione), tagli al welfare, rigida politica fiscale (“austerity”) e deregolamentazione di tutti i settori, soprattutto quello finanziario. Il neoliberismo diventa il paradigma economico dominante negli anni Ottanta, grazie alla reaganomics del presidente americano Ronald Reagan e alle politiche di Margaret Thatcher, la lady di ferro, Primo ministro del Regno Unito. Giocano un ruolo fondamentale anche alcuni attori non statali: dai media, come le importanti testate inglesi Financial Times e The Economist, alle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale, la cui posizione allineata sulle politiche neoliberiste ha preso addirittura un nome: Washington consensus.

L’economista americano Milton Friedman, New York, 1986.

Prima che dottrine e istituzioni economiche, il neoliberismo è un’ideologia: è l’idea, spacciata come neutrale e impolitica, ma in verità subdolamente di parte, che lo Stato e il settore pubblico siano un male necessario e che tutto il bene risieda nel privato. Questa, a sua volta, è la conseguenza di un assunto più profondo: la società non esiste, ci sono soltanto privati cittadini, che perseguono i loro interessi personali. A dirlo fu proprio la stessa Thatcher.

Il livello di diffusione di questa idea non è dimostrato soltanto dalle istituzioni che ha contribuito a costruire (inclusa l’Unione Europea), ma anche dal livello di resistenza che ha dimostrato davanti ai disastri provocati a livello globale. Prendiamo la crisi finanziaria del 2008. Allora il responsabile era sotto gli occhi di tutti: come è stato spiegato dagli studi accademici e raccontato dai film, la crisi era stata provocata dalle politiche neoliberiste, e in particolare dall’assunto che i mercati finanziari, per funzionare al meglio, non dovessero essere regolati. E invece fu proprio la mancanza di una legislazione pubblica che permise alle grandi banche e alle agenzie di rating di creare un sistema economico bacato, il cui collasso ebbe effetti devastanti sulla vita di milioni di persone.

Margaret Thatcher

Allora il neoliberismo ne uscì illeso. Come ha scritto Philip Mirowski nel suo Never Let a Serious Crisis Go to Waste: How Neoliberalism Survived the Financial Meltdown il problema fu che l’ideologia neoliberista era diventata così pervasiva che anche le prove più plateali del suo fallimento non potevano altro che essere interpretate in modo fuorviante, con l’effetto di rafforzare questa stessa ideologia invece che metterla in discussione, come fossero l’errore che conferma la regola. Lo dimostra bene il rigido regime di austerity che fu applicato pochi anni dopo dalla troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) proprio durante la crisi dell’Euro, che mise in ginocchio interi Paesi come la Grecia.

Oggi, però, le cose sembrano andare diversamente. Dopo anni di egemonia culturale neoliberista, molte voci si stanno finalmente alzando. Non solo da parte economisti e intellettuali storicamente critici nei confronti di questo fenomeno come il premio Nobel Joseph Stiglitz, ma anche dalle file del coro che per anni aveva decantato le lodi del neoliberismo, diffondendone il vangelo in tutto il mondo. Il Financial Times da sempre schierato su posizioni conservatrici e paladino del liberismo, sembra aver cambiato rotta negli ultimi anni, ponendo molta più attenzione sulla necessità di superare il neoliberismo e di promuovere un nuovo patto sociale. Una delle sue firme di punta, Martin Wolf, ha addirittura sostenuto in un articolo di poche settimane che il neoliberismo è stata una delle ragioni profonde che ha portato Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

Donald Trump

Anche sul piano delle organizzazioni internazionali abbiamo assistito a un giro di vite. Il Fondo Monetario Internazionale è stato per decenni l’istituzione che più di tutte ha sostenuto il neoliberismo, legando i prestiti a Stati in crisi – come la Grecia nel 2012, o l’Argentina nel 2001 – all’obbligo di privatizzazioni e rigore fiscale. Ma negli ultimi anni ha riconosciuto che questo tipo di politiche, invece che promuovere la crescita economica, non ha fatto altro che accrescere le diseguaglianze. Spostandoci nel nostro continente, l’Unione Europea ha dimostrato che le cose erano cambiate proprio con il Recovery Fund: dopo la rigida posizione pro-austerity e anti-intervento pubblico tenuta nella crisi dell’Euro, durante l’emergenza Covid-19 le istituzioni europee hanno stanziato 750 miliardi di euro, di cui 390 a fondo perduto, per affrontare la crisi economica. È un piano di investimenti pubblici senza precedenti, che ha trasformato cose impensabili fino a poco prima (come gli eurobond, ovvero l’emissione di debito condiviso da parte delle istituzioni europee) in una realtà se non nominale almeno di fatto. Nonostante le diverse posizioni tra i Paesi cosiddetti “frugali” e quelli del Sud Italia, la forte posizione pro-intervento pubblico di un Paese come la Germania, per anni il più strenuo difensore del pareggio di bilancio, la dice lunga su quanto il vento abbia cambiato direzione.

La Presidente dell’Unione Europea Ursula von der Leyen

Dai tempi della crisi dei mutui subprime sono cambiate diverse cose. Innanzitutto, si è sviluppato un ambiente intellettuale e culturale più critico verso quella che fino ad allora era considerata una verità incontestabile, che ha fornito una diversa lettura del mondo e categorie concettuali tanto alternative quanto decisive. L’economista francese Thomas Piketty ha venduto milioni di copie con Il capitale nel XXI secolo, mostrando come il livello di disuguaglianze raggiunto dalla società neoliberista avesse toccato il livello di inizio Novecento, diventando ormai insostenibile. Anche il ruolo dello Stato nell’economia è stato in gran parte rivalutato. L’accademica italiana Mariana Mazzucato, professoressa di Economia dell’innovazione al University College di Londra, ha svolto alcuni lavori seminali in questo ambito, dimostrando in libri come Lo Stato innovatore e Il Valore di tutto come l’attore pubblico giochi un ruolo imprescindibile nella costruzione di un’economia equa e nell’innovazione: per esempio, se non ci fosse stato uno stato disposto a prendersi i rischi di un investimento potenzialmente poco remunerativo, oggi non avremo tecnologie come il Gps, il touch screen e persino Internet.

Mariana Mazzucato

Dal punto di vista politico è stato determinante anche il successo di uomini e donne radicalmente alternativi all’attuale sistema economico. Non tanto per gli incarichi che hanno ricoperto, quanto per il minuzioso lavoro di costruzione del consenso sociale che hanno svolto. Da questo punto di vista, Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez negli Stati Uniti ne sono l’esempio per antonomasia. I due politici democratici hanno stravolto l’agenda del Paese che aveva inventato il neoliberismo, ponendo al centro dell’agone politico temi come il salario minimo garantito, la sanità pubblica gratuita per tutti e la tassazione dei più ricchi. A questo bisogna aggiungere le proteste in tanti Paesi del mondo contro le disuguaglianze economiche, a cominciare dall’America Latina, e quelle dei giovani di Fridays For Future e Extinction Rebellion in difesa dell’ambiente, che hanno mostrato al mondo il nesso tra l’attuale sistema economico e la distruzione del pianeta.

Flashmob della Extinction Rebellion, Natural History Museum, Londra (2019)

Una volta preparato il terreno culturale, concettuale e sociale per il cambiamento, è arrivato il coronavirus, il grande catalizzatore di tutti questi elementi. Davanti alla necessità di un lockdown e alla tragedia umana e sociale della pandemia, i Paesi di tutto il mondo non hanno potuto fare a meno che intervenire massicciamente nell’economia per tutelare cittadini e imprese. Al contrario della crisi dei mutui subprime del 2008, complicata e difficile da raccontare, la risposta da proporre davanti all’emergenza Covid-19 era palese a tutti: continuità del reddito, investimenti pubblici, distribuzione più equa delle risorse, protezione dei posti di lavoro e prestiti garantiti per le aziende per evitare fallimenti. Tutte cose che il libero mercato da solo non avrebbe potuto garantire in nessun modo.

Antonio Gramsci

Se da una parte il neoliberismo è ormai fortemente contestato, dall’altra parte non è chiaro quale paradigma economico lo seguirà. Ci troviamo probabilmente in quella che Antonio Gramsci, nei suoi Quaderni del carcere, considerava essere l’essenza della crisi moderna: un crollo di autorità, una messa in discussione dell’egemonia culturale dove le persone si staccano dalle vecchie ideologie (in questo caso, il neoliberismo) e non credono più a ciò che prima era dato per scontato. Ma allo stesso tempo non si sa cosa verrà e si corre il rischio tangibile di una possibile involuzione. Con le parole di Gramsci: “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.

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